London beer revolution: come sta cambiando la capitale inglese
Recentemente ho avuto l’occasione di passare diversi fine settimana a Londra, lontano da Festival ed eventi birrari; ho potuto così visitare – da “turista” – alcuni dei tanti birrifici che negli ultimi anni hanno affollato la scena della capitale britannica.
Sarà probabilmente The Kernel Brewery – che pure non è stato il primo microbirrificio londinese dell’era recente – a passare alla storia per aver avviato la rivoluzione “craft” della città: nel 2009 Evin O’Riordain inaugura il suo birrificio sotto le arcate di uno dei più antichi viadotti ferroviari del Regno Unito, realizzato per la sopraelevata London and Greenwich Railway, prima ferrovia a vapore della capitale, operativa già dal 1836. Dalla nascita di Kernel sono passati pochi anni, eppure lo scenario londinese si è completamente trasformato, l’esplosione numerica (e culturale) dei birrifici è stata impressionante.
Bermondsey (il quartiere in cui tutto è nato, a Sud-Est di Tower Bridge) è ormai zona di culto, famosa in tutto il mondo: la sua “Beer Mile” – un percorso di “craft beer crawl” che tocca diversi birrifici – è diventata talmente celebre da costringere Kernel prima ad accorciare gli orari di apertura e poi ad annullare completamente (dal settembre del 2015) la mescita nella tap-room, dove ora si fa esclusivamente vendita da asporto (e soltanto dalle 9 del mattino alle 2 del pomeriggio). In effetti il sabato di Bermondsey può essere molto, molto affollato. Ho provato sulla mia pelle code (ordinatissime, siamo in Inghilterra!) di venti minuti per raggiungere le spine. Questo non basta però a rendere l’idea della portata e della potenza del fenomeno.
Una trasformazione che sta progressivamente investendo tutte le zone della città e che va ben oltre il dato numerico. La London Brewers’ Alliance, nata nel 2010, elenca 55 produttori, tutti nati negli ultimi 5 anni. Una crescita sostenuta da una forte componente di moda, che sta attirando anche gli investimenti dei banker, che a Londra sono tanti e hanno disponibilità economiche decisamente importanti. Molti di questi birrifici aprono le porte al pubblico nel weekend (tipicamente il sabato, da tarda mattinata a metà pomeriggio), attrezzando i locali di produzione con tavoli e sedie e accogliendo appassionati e curiosi, in un ambiente spesso vivace e sempre decisamente informale, ricavato dagli spazi di lavoro e per questo molto suggestivo. Va detto che i nuovi birrifici tendono un po’ ad assomigliarsi tutti, ma forse anche per questo fanno massa critica e riescono ad essere molto incisivi nei contenuti, decisamente lontani dalla classica immagine dei birrifici UK. A partire dalla grafica, sempre molto moderna, e da un’impostazione dal sapore (purtroppo) vagamente hipster, con le immancabili lavagne nere e il frequente accompagnamento di street food, organic, farmer, local, sustainable, etc…
Diversi – rispetto alla tradizione inglese – i bicchieri, che spesso abbandonano la classica pinta per opzioni più originali nelle forme e nei formati. Mi ha colpito ad esempio il 2/3 di pinta, piuttosto frequente: una misura strana, né piccola né grande (equivale a poco meno di 38 centilitri) che però mi ha convinto, perché è sufficiente per “studiare” bene la birra, ma è anche un po’ meno impegnativa della classica pinta, se l’obiettivo è quello di “studiarne” molte! Diverso il metodo di servizio: il tradizionale “cask” servito con la hand-pump senza gas di spinta, lascia spazio ai KeyKeg o ai fusti in acciaio, spinti a CO2. Molto diffuse le lattine, che effettivamente sono ottime per le birre fortemente luppolate (la lattina blocca completamente i raggi del visibile, responsabili del diffuso “difetto di luce” e gli stili costruiti sul luppolo sono raramente rifermentati) e che stanno diventando molto popolari, tra i nuovi bevitori.
Questi cambiamenti si stanno riflettendo anche in quella fondamentale istituzione inglese che è il pub. Secondo la British Pub Association, nel Regno Unito chiudono 29 pub a settimana: un numero enorme, in parte probabilmente derivante dalla situazione economica, ma che credo si spieghi anche con l’offerta che i “vecchi” pub inglesi stavano proponendo. La nascita dei nuovi birrifici ha reso immediatamente evidente quanto il pub tradizionale fosse diventato inadeguato a rispondere alle nuove esigenze dei consumatori. Le Ale tradizionali (che personalmente continuo ad adorare) non sono semplici da servire: la gestione del cask è molto delicata, con il risultato che spesso le Real Ale sono proposte in condizioni pietose, inammissibili, con il risultato che i frequentatori del pub tradizionale sono invecchiati, si sono ghettizzati.
Oggi funziona un altro modello, quello del pub indipendente, moderno, attento alle mode, che propone a rotazione birre di piccoli birrifici craft, che ha più linee a CO2 che hand-pump (che fortunatamente non stanno comunque sparendo) e che è attento ai nuovi stili e alle nuove proposte dei birrifici emergenti, compresi i birrifici esteri. Il livello (altissimo) dei prezzi di Londra permette di proporre anche birre molto particolari, con un prezzo d’acquisto importante, per il pub. Superare le 5 sterline a pinta non è difficile, e nel caso delle birre d’importazione (spesso americane, ma talvolta anche italiane) si può tranquillamente arrivare a 8 sterline.
Per i publican, essere liberi dalla “beer tie” (il vincolo di acquisto dei pub di proprietà dei birrifici) permette anche di ottenere migliori prezzi di acquisto, con un evidente vantaggio per la marginalità. La nuova, più giovane ed esigente clientela porta anche una maggiore attenzione sull’offerta culinaria, prima obiettivamente un grosso limite. Le cucine dei nuovi pub (o gastro-pub) di tendenza offrono adesso un’ampia scelta, spesso di buon livello. Se l’offerta è limitata (magari soltanto qualche formaggio o qualche salume), la selezione è comunque attenta, con materie prime di qualità, presentazione (e prezzo, naturalmente) adeguati alle attenzione di un pubblico sempre più gourmand.
Sono convinto che si stia assistendo, nel Regno Unito, ad una trasformazione molto importante, destinata a cambiare profondamente il futuro. Credo (e spero) che sia possibile mantenere le vecchie tradizioni birrarie, facendo rivivere le Ale tradizionali: Londra sta creando un fenomeno che può essere molto positivo, per tutta la birra britannica, a patto di avere l’intelligenza e la lungimiranza di aprirsi alle nuove idee e ai nuovi consumatori. Quello che, purtroppo, non sta facendo il Camra: ogni anno che passa il GBBF – pur rimanendo una vetrina importante, a livello internazionale – sembra sempre più fuori dal tempo, sempre più lontano da quello sta succedendo fuori dalla porte di Olympia.