Le craft inglesi si difendono dalla grande industria
Tu ti allarghi a colpi di annessioni o maxi-fusioni? E io mi consolido sul territorio o mi alleo con altri della mia stessa taglia: sarà modesta, ma l’unione fa pur sempre la forza. Così – in un ideale faccia a faccia con i giganti della mega-industria – potrebbe suonare la risposta dei birrifici medio-piccoli, in una sorta di riproposizione della replica di Pier Capponi ai francesi, Se voi suonerete le vostre trombe, noi suoneremo le nostre campane! Interessante ad esempio è rilevare quanto accade in Gran Bretagna, dove alcuni marchi nazionali di area craft si stanno attrezzando in vario modo a fronte di quella che sembra, da parte delle multinazionali, una manovra offensiva destinata a estendersi sul lungo periodo.
Così, mentre fa colpo la notizia relativa alla vendita di un nome storico come quello scozzese di Broughton (Biggar, Scottish Borders, la fondazione nel 1979) a un trio di uomini d’affari legati, ciascuno, a trascorsi proprio negli ambienti delle macrobreweries (Heineken e Diageo in modo specifico), ecco che rimbalzano – non certo indirette contromosse di proposito, ma certo operazioni che cadono a puntino, in tal senso – gli annunci diffusi da parte di due marchi ben conosciuti del panorama craft, quali St Austell e Oakham.
Partiamo dal secondo dei due. La Oakham Ales (di Peterborough, Cambridgeshire) ha reso nota la propria volontà di incrementare i volumi annui sfornati, ponendosi come traguardo quello dei 100mila ettolitri; intanto si è provveduto a potenziare lo staff direttivo, con l’inserimento di sette nuove figure. Quanto all’agguerrita brigata di St Austell (con base nella città omonima della Cornovaglia), ha appena aperto un nuovo sito di brassaggio: capace di quintuplicare il potenziale produttivo dell’azienda, servirà a elaborare ricette ispirate ai repertori anche diversi da quello britannico; sarà aperto a visite turistico-didattiche; e consentirà di rifornire in via continuativa ben 35 pub del circondario territoriale.
Procede inoltre, tornando a nord, in Scozia, il cammino intrapreso dalla Brewers Association of Scotland, patto di collaborazione siglato nel febbraio scorso da 8 realtà del Paese di William Wallace: Cairngorm (Aviemore), Fyne Ales (Argyll), Harviestoun (Alva, Clackmannanshire), Innis & Gunn (Edinburgh), Inveralmond (Stirling), Stewart (Edinburgh), WEST (Glasgow) e Williams Bros (Alloa). Una coalizione formatasi al momento giusto, appare evidente, a fronte dell’opportunità di anticipare sviluppi quali quelli cui abbiamo assistito in special modo nella seconda metà dell’anno, con l’accelerarsi dei processi di concentrazione tra giganti del settore e/o di cannibalizzazione, ad opera di alcuni di essi, nei confronti di soggetti appetibili e… assimilabili.
Ecco: i colossi. Come si muovono entro i confini di Sua Maestà? La Sab Miller – che inglese era (anzi anglo-sudafricana), ma che è stata di fatto assorbita dalla belga-brasiliano-statunitense AB InBev – aveva qualche mese fa messo a segno un colpo a sensazione, accaparrandosi un brand artigianale di grande valenza simbolica nel Regno Unito, come la Meantime di Londra. Ebbene, i nuovi padroni del colosso planetario (appunto il Cda dell’appena citata Anhauser-Busch InBev, alle prese con lo snellimento obbligatorio dei suoi possedimenti, intimato dalle autorità antitrust), hanno confermato di aver iniziato il lavoro di valutazione in ordine a quali marchi dell’attuale portfolio possano essere ceduti: e le indiscrezioni assicurano che in lista di cessione ci sarebbe proprio Meantime, insieme ad altri asset non di secondo piano, come a brouwerij olandese Grolsch.