I profumi della birra: l’erbaceo
È ancora una volta nello scrigno odoroso del luppolo che dobbiamo ritrovare il segreto delle percezioni del carattere erbaceo. Un ambito di caratterizzazione del bouquet birrario il cui rilievo, anche in ordine alla condotta all’appassionato, è andato crescendo nel corso degli ultimi decenni del Novecento, contestualmente alla parallela ascesa – nella valutazione del pubblico – dell’importanza dell’insieme dei risvolti aromatici correlati all’impiego del luppolo stesso. Man mano che aumentava l’attenzione rivolta alle implicazioni olfattive connesse alla messa in atto delle varie tecniche di luppolatura, prendeva quota anche la considerazione specificamente rivolta ai tratti di tipo “grassy”, per dirla all’inglese.
Certo, si tratta di sensazioni fortemente incisive, la cui preponderanza nell’arco olfattivo di una “pinta” può risultare poco elegante, nell’economia e nell’esito di un assaggio. È un fatto, tuttavia, che il fascino dei temperamenti erbacei abbia fatto breccia nel gradimento sia dei produttori, sia degli utenti: promuovendo, certo insieme ad altri fattori, le fortune di alcune varietà di luppolo – quali Progress, Challenger (Gran Bretagna), Summit, Willamette (Usa), Sorachi Ace (Giappone) – che proprio in questo aspetto vedono un tassello fondamentale del rispettivo mosaico organolettico. Resta il fatto che le note più nettamente erbacee sono da ricercare tra prodotti facenti capo alla scuola anglosassone e in particolare a quella modernista degli Usa e del Nuovo Mondo in genere: English Ipa, American Ipa, American Pale Ale, Pacific Pale Ale o Ipa. Vediamo i principali descrittori di questa categoria olfattiva:
Prato falciato. L’aroma espresso dall’erba fresca, naturalmente percettibile già in condizioni di normalità, si rivela assai più energico in concomitanza con la recisione degli steli; per questo, accanto al generico erbaceo assai gettonati sono descrittori quali erba tagliata o, appunto, prato falciato. Con tali locuzioni s’intende una sensazione odorosa tutto sommato ben nota; a definire la quale, sebbene molto più alto sia il numero totale delle contributrici, sembrano concorrere soprattutto sei molecole. Sotto il profilo quantitativo, la voce maggioritaria è quella corrispondente a un estere, il cis-3-esenil-acetato, seguita nell’ordine, e a lunga distanza, da un’aldeide, il cis-3-esenale (al quale però si accredita la capacità di esercitare il maggior impatto nasale); da due alcoli, il metanolo e il cis-3-esen-1-olo; da una seconda aldeide, il trans-2-esenale (fogliaceo generico); e da un ulteriore alcol, l’etanolo (o etilico). Nell’elenco dei restanti composti, da menzionare la presenza dell’aldeide eptanale, molto segnalata, parlando di sentori erbacei, nelle pagine classiche della letteratura birraria in materia.
Fieno. Nota odorosa appartenente al novero di quelle tipicamente indicate come rustiche, quella del fieno ricorre con certa frequenza nelle pagine di analisi sensoriale di diversi prodotti alimentari. Tra le diverse molecole che concorrono alla sua meccanica di trasmissione e percezione, segnaliamo la presenza di cinque composti: due esteri, (octil)fenil crotonato e 1,3,4-trimetil-2-metilene pentil 2-butanoato; di varie aldeidi, gli isomeri orto-tolualdeide, meta-tolualdeide e para-tolualdeide; i chetoni 1-benzopirano-2-one (detto cumarina) e beta-ionone.