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Hall of fame. Capitolo XLI. La Sünner Kölsch

Fa tappa in Germania, per calcare il territorio occupato da uno stile decisamente classico, il percorso della nostra Hall of fame birraria – ideale collezione di ritratti dedicati a una birra che possa essere eletta al ruolo di capostipite di una propria tipologia d’appartenenza. Operazione che non è mai facile quando ci si occupi di un genere brassicolo le cui origini risalgano alquanto indietro nei secoli, e che quindi rischia di presentare esattamente questo tipo di difficoltà nel nostro caso, giacché si è scelto di occuparci di un ambito tematico appunto fortemente tradizionale, quale quello delle Kölsch, le chiare a basso grado alcolico che sono bandiera liquida e fiore all’occhiello della città tedesca di Colonia. Nonostante le possibili problematiche d’indagine, è tuttavia proprio cercando di ricostruire le specificità del processo gestazionale del prodotto, che ci si trova in grado raccogliere elementi probatori.

Quali le peculiarità della Kölsch? Malto Pils o Pale più un eventuale parte di frumentizio (fino al 20%), colore da paglierino a dorato chiaro, il medio-basso grado alcolico (4.4-5.2, stando al Bjcp), un’acqua alquanto minerale (tale da conferire un naso occhieggiante a certi vini bianchi), l’impiego di luppoli tipici tedeschi (Hallertau, Tettnang, Spalt, Hersbrucker), ma soprattutto di lieviti ad alta utilizzati a temperature più basse (dai 14 ai 17 °C), opzione da cui deriva un profilo di esterificazione assai sottile, incline a sensazioni di mela gialla.

Ma come si arriva alla codifica di questa particolare modalità produttiva? La storiografia di settore racconta che la schiera dei birrai locali, devoti all’alta fermentazione, conosce (e si vede ben presto da queste minacciata) le prime esperienze a bassa fin dalle battute iniziali del Seicento, quando cominciano a diffondersi nella regione circostante la città. Per arginare la pericolosa concorrenza, la Municipalità legifera a più riprese (nel 1603, 1676 e 1698) a difesa delle metodiche classiche, imponendone di fatto il mantenimento senza niente concedere alla modernità. Peraltro, onde di attrezzarsi comunque al meglio nella competizione, le Brauerei cittadine elaborano appunto una tecnica prima di semplice lagerizzazione, poi di graduale abbassamento delle stesse temperature in fermentazione primaria, lungo un processo che vede il proprio compimento in coincidenza con l’esplodere della rivoluzione industriale e il contestuale diffondersi di strumenti per la refrigerazione artificiale. 

Non a caso l’appellativo di Kölsch, fino ad allora stante a indicare una semplice denominazione d’origine, acquista l’attuale e più complesso significato nel 1918, ad opera del marchio Sünner (fondato nel 1830), il quale adotta tale dicitura per distinguere la propria versione filtrata dalla velata Wiess (ancora esistente peraltro), il cui epiteto vernacolare traduce esattamente il tedesco Weiss e l’italiano Bianca. È lecito dunque ipotizzare che le porte della nostra Hall of fame possano aprirsi alla Sünner Kölsch, quale prima inter pares tra le sorelle commercializzate dagli altri stabilimenti insediati nell’area compresa entro un raggio di 50 chilometri attorno a Colonia stessa, i quali, riuniti in associazione (la Kölner Brauerei-Verband) hanno sottoscritto nel 1986 un accordo, la Kölsch Konvention, il cui testo, oltre a fissare il disciplinare produttivo di questa birra, restringe ai soli firmatari la stessa facoltà di utilizzare la qualifica di Kölsch. Un diritto in esclusiva, questo, il quale, recepito dall’Unione Europea all’atto dell’inserimento della Kölsch medesima negli elenchi delle specialità a Indicazione Geografica Tipica (Igp), obbliga il resto del mondo, quando si voglia cimentare nella preparazione e nella vendita di una birra riconducibile a quella tipologia, a ricorrere a definizioni diverse, quali ad esempio Kölsch Style o Köln Style.