Lieviti selvaggi: cosa si intende e quali sono
Molto spesso con il termine “lievito selvaggio” ci si riferisce in maniera approssimativa ad una categoria generica posizionata al di fuori da quella individuata dai classici lieviti ad alta e bassa fermentazione. Una giungla in cui spesso è difficile districarsi. Vuoi per cattiva o incompleta informazione, vuoi per una certa difficoltà a reperire nozioni digeribili ai più, difficilmente si hanno chiare le idee su questo argomento.
Cosa si intende per lievito selvaggio?
Selvaggio sarai tu, non il lievito! Con questa esclamazione potrebbe esordire un professore di microbiologia nel cominciare a chiarire l’inesattezza di questo termine, ingiustamente dispregiativo, accostato a un lievito. Molto spesso nel settore birra ci si riferisce ai non-Saccharomyces, ovvero tutti quei lieviti che non appartengono al genere Saccharomyces, categoria nella quale troviamo lieviti che invece vengono considerati “tecnologici” (ovvero, lieviti che grazie alla loro attività metabolica sono responsabili delle modificazioni positive alla base di trasformazioni e fermentazioni di alimenti), anche se di questi siamo soliti utilizzare solo le specie Saccharomyces Cerevisiae e Saccharomyces Pastorianus.
Presentiamo i lieviti selvaggi
Poiché i generi e le specie di lieviti sono davvero moltissime, in questo articolo ci limiteremo ad una descrizione approssimativa delle famiglie e dei ceppi più significativi applicati o applicabili al settore birra, descrivendone caratteristiche biochimiche, produttive ed utilizzi.
Brettanomyces
Sono i lieviti detti selvaggi per antonomasia, sempre e soltanto riferendosi all’addomesticamento del Saccharomyces da parte dell’uomo per i processi fermentativi. Ma dietro questi lieviti si nasconde un mondo di intendere la birra che differisce per tempi e temperature. I ceppi di Brettanomyces finora riconosciuti come tali sono Brettanomyces Bruxellensis, Brettanomyces Anomalus, Brettanomyces Custersianus e Brettanomyces Naardenensis. Quella che si supponeva essere la quinta specie, Brettanomyces Nanus, è stata riclassificate come Eeniella nana e scorporata dal gruppo dei Brett. Di questi, i primi due sono quelli utilizzati più comunemente nella produzione di birra. I Brettanomyces tendono a produrre soprattutto aromi speziati (4-etilguaiacolo), aromi che potremmo definire rustici e “funky” (4-etilfenolo) ed altri rancidi (acido 3-metilbutanoico). Gli aromi che sviluppano sono anche influenzati da acidi (come l’acido lattico) ed alcoli disponibili ad essere trasformati e combinati in esteri. Come per molti dei nomi di lieviti, ne hanno anche un altro che si riferisce allo stadio sessuale riproduttivo: per questo, talvolta vengono indicati come Dekkera invece che come Brettanomyces.
Kluyveromyces
Sono dei lieviti finora presi poco in considerazioni. Nello specifico, la specie Kluyveromyces Thermotollerans è davvero molto interessante perché la sua peculiarità è che il metabolismo di degradazione del glucosio non finisce quasi tutto in alcol e glicerina, ma vanta anche una gran formazione di acido lattico. In pratica fermentare una birra con questo lievito darebbe dei risultati simili a quelli di una fermentazione lattica. Questa tipologia di lievito sta prendendo sempre più piede tra i produttori, nonostante ci siano molti ceppi che producono off-flavour e che sono quasi totalmente incapaci di degradare il maltosio, qualità che non li rende facilmente applicabili ad una fermentazione del mosto (almeno in purezza).
Candida
In assoluto il genere di lieviti più eterogeneo e che contiene oltre 196 specie. Nonostante se ne senta poco parlare, rappresenta il genere più frequentemente isolato nei casi di contaminazione delle birre, ma non ne pregiudica quasi mai il gusto né la stabilità. Rappresenta spesso, quindi, una contaminazione silente. Le specie più ricorrenti sono Candida Glabrata, Candida Membranifacensis e Candida Albicans.
Apiculati
Con questa antica espressione si intende un gruppo di lieviti comunemente chiamati così per via della tipica forma allungata (contrapposta a quella dei Saccharomyces, detti ellittici) con piccolo apice ad un’estremità, simile a quella di un limone. Tra questi c’è la Pichia Membranifacensis che sembra essere il più grande produttore di pseudomicelio (ovvero quel complesso di filamenti costituiti da cellule derivate per gemmazione). Pichia Membranifacensis e Hansenula (ma anche Candida Membranafacensis) sono i protagonisti della formazione della fioretta nelle birre e nei vini. La fioretta è un’alterazione molto frequente nei vini, ma visibile anche nelle birre soprattutto in quelle prodotte quando in homebrewing le condizioni di anaerobiosi durante la fermentazione (condizione di vita di diversi organismi, il cui metabolismo non richiede la presenza di ossigeno) non sono sempre ottimali. Si forma a causa di una contaminazione del mosto da lieviti Candida, Pichia ed Hansenula. Questa formazione visibile ad occhio nudo è composta da migliaia di filamenti che vanno a formare quella che a primo impatto potrebbe essere confusa con una muffa. La conformazione di questi filamenti sarebbe davvero interessantissima da osservare, ma non è possibile distinguere ad occhio nudo di che cosa sia composta. Ragion per cui, si dovrebbe sempre diffidare da chi senza un microscopio è sicuro di individuare ad occhio nudo cosa ci sia in quella membrana filamentosa.
Torulaspora
Si tratta di un interessantissimo lievito, caduto un po’ nell’oblio della selezione, con una produzione esigua di acidità volatile, acetaldeide, diacetile e acetoino. In particolare è notevole il comportamento del Torulaspora Delbruekii, che viene anche descritto come criofilo e termotollerante, ovvero in grado di crescere tra 0°C e 20°C, ma capace di resistere bene anche a temperature più alte. È un lievito che ha dovuto soccombere al Saccharomyces Cerevisiae in termini tecnologici, anche se in passato è stato più volte isolato in weizen tradizionali bavaresi, dove era presente insieme a classici lieviti di coltura. Data la grande standardizzazione delle birre tedesche si è perso nel tempo lasciando spazio al più prestante e controllabile Saccharomyces. Tuttavia questo lievito nelle birre di frumento poteva offrire degli aromi unici se opportunamente controllato. Di fatto ricerche più recenti lo collocano nel mondo birra come contaminante, sebbene il suo principale tratto caratteristico sia l’enfatizzazione degli esteri acetati come l’isoamilacetato, responsabile dell’aroma di banana. In quest’ottica si inserisce ad esempio il lievito di White Labs WLP611 New Nordic Yeast Blend, che è esattamente un blend di Saccharomyces Cerevisiae e Torulaspora Delbruekii proposto per hefeweizen.
Schizosaccharomyces
Sicuramente quello che più si differenzia dagli altri è un lievito che si duplica non per gemmazione ma per scissione binaria, ovvero come avviene per i batteri. Questo fa sì che si possa descrivere come una sorta di lievito primitivo, ovvero che non ha subito mutazioni forti nel tempo. Per la prima volta isolato in una birra dell’Africa Orientale chiamata Pombe, è un lievito capace di trasformare acido malico in etanolo ed anidride carbonica, con conseguente abbassamento del pH. Ha come applicazione tipica la fermentazione di zuccheri della frutta e si propone come alternativo alla fermentazione malolattica tipicamente attuata dai batteri. È di difficile uso pratico perché ha una crescita lenta, è un gran produttore di filamenti e richiede temperature elevate per crescere (a tutto scapito della componente aromatica finale). La specie enologica più interessante è Schizosaccharomyces Pombe.
Saccharomycodes
È un gruppo di lieviti poco noto, di cui la specie più frequente è il Saccharomycodes ludwigii. Questa è la specie sicuramente più resistente alla solfitazione: riesce a crescere anche in concentrazioni molto elevate di anidride solforosa. Predilige zuccheri semplici, ma ha una elevata tolleranza all’alcol (lavora fino a 16% alc.). È un grande contaminante del vino, ed è meno frequente trovarlo nella birra dove produce alti livelli di acetaldeide ed acido acetico.
Diasticus
Si comporta come alcuni lieviti Brettanomyces ma non è altro che un lievito Saccaromyces: stiamo parlando del Saccharomyces Diastaticus. Il suo vero nome sarebbe Saccharomyces Cerevisiae var. Diastaticus, e può essere considerato il fratello cattivo del nostro amico Cerevisiae. Il nome Diastaticus prende deriva da quegli enzimi, le diastasi, ed in particolare la glucoamilasi, che riescono a degradare grandi molecole di polisaccaridi tra cui anche gli amidi e destrine. In pratica è un lievito che mangia qualsiasi cosa, portando la birra a densità zero. Il fatto che sia un Saccaromyces rende alcuni ceppi selezionati privi di off-flavour e ottimali per la produzione di birre in stile saison. Si possono citare i ceppi Belle Saison di Lallemand ed il nuovo BE-134 di Fermentis poichè entrambi appartengono a questa variante.