Hall of Fame. Capitolo III. La Parsons Porter
Sulla genesi delle Porter si è discusso intensamente e vivacemente in questi ultimi anni. Senza tornare sull’argomento (peraltro su queste stesse colonne trattato a più riprese), in questa terza puntata della nostra Hall of Fame birraria, vogliamo solo indicare quale, tra le birre preferite tra i lavoratori dei moli fluviali di Londra, possa essere indicata come meritevole del titolo di etichetta determinante nel segnare il cammino dello stile. Ecco, in questo senso, rifacendoci al lavoro degli storici di settore, accogliamo le conclusioni di alcuni di loro – tra i quali Martyn Cornell – che incoronano la Parsons Porter, ovvero quella brassata alla Red Lion Brewery (a St. Katharine’s Dock) da Sir Humphrey Parsons, politico nelle file dei Tories oltre che abile produttore.
Sembra infatti che Parsons ricopra un ruolo di innovatore cruciale in quel percorso lungo il quale – incalzate dal crescente successo dalle più chiare e beverine Pale Ales – le Brown Beers londinesi (il termine Beers in questa fase indica le birre caratterizzate dal luppolo, diversamente dalle tradizionale Ales) modificarono gradualmente il proprio profilo sensoriale, alla ricerca di una fisionomia che permettesse loro di fronteggiare meglio l’offensiva della tipologia concorrente; e alla fine divennero qualcosa di più scuro, di ancor più amaricante, di più a lungo invecchiato (le Porter, appunto). Ecco, le tappe specifiche e le svolte (se ce ne furono) di questo processo – collocabile nell’arco del primo trentennio del XIX secolo – sembrano assai difficili da individuare: così come, conseguentemente, i rispettivi autori.
Tuttavia, in questa sorta di transizione collettiva delle Brown Beers verso la loro nuova natura stilistica, Parsons viene identificato come il pioniere della tecnica della maturazione prolungata in tini di grandi dimensioni: nel 1736, alla Red Lion, ne fece installare una linea composta da unità capaci, ciascuna, di contenere 1.500 barili, pari a 500 botti. Il costo a pezzo fu di 536 sterline, ma l’investimento (ingente) fu ben ripagato: la scura che ne usciva fu celebrata come il Parsons’ Black Champagne dal poeta Oliver Goldsmith. Lo stabilimento, a fine Ottocento, giunse a sfornare qualcosa come 200mila barili, dando lavoro a 200 addetti; e l’attività sopravvisse, sotto le insegne della Hoare & Co, fino al suo assorbimento da parte del marchio Charrington nel 1933.