Dolce abbraccio di Pasqua: la Colomba incontra la birra
A raccontare quanto golosa possa rivelarsi quest’acrobazia d’abbinamento provvederemo tra poco. Prima però vogliamo raccontarvi come nasce l’associazione automatica tra la Pasqua e il dolce tipico che porta il nome del pennuto universalmente identificato come simbolo della pace. Una tradizione abbastanza recente visto che la ricetta ha origini non precedenti alle battute iniziali del Novecento. Mentre innumerevoli sono i repertori regionali e locali che si susseguono lungo le latitudini dello Stivale, di torte stagionali ben più antiche: dalla schiacciata toscana (costa centrale e asta dell’Arno) con Vinsanto e anice (tra gli altri ingredienti) alla casadina (con uva passa e formaggio o ricotta) della Sardegna; dalla focaccia veneta (con Marsala, cedro, vaniglia e compagnia) alla pizza della Tuscia (con cannella e cioccolato).
E allora perché la colomba svetta su tutto il resto nell’immaginario collettivo? Probabilmente per la forza combinata di due elementi. Uno di carattere culturale: la sagoma delle sue ali e del suo becco calzavano più che perfettamente a una figura che racchiudesse in sé il senso della Pasqua, resurrezione di Cristo e, con ciò, rinnovata alleanza tra l’uomo e il suo Creatore. Uno di carattere pubblicitario: Dino Villani, direttore marketing delle industrie Motta (Milano), negli anni Venti del secolo scorso, pensò di traslare in questa forma un prodotto da fine pasto che avesse ingredienti simili a quelli del collaudato panettone, ma pensato specificamente per la festività-cardine del calendario liturgico primaverile. Tale e tanta si rivelò la forza evocativa della colomba, che da allora il suo volo è immancabile compagno di pranzi e cene nel periodo ad essa consacrato.
Divenuta nei decenni tanto popolare da rendere necessarie varianti estremamente, e talvolta fin troppo, fantasiose, la versione tradizionale prevede un nucleo d’ingredienti in realtà piuttosto semplice: farina, burro, uova, zucchero e buccia d’arancia candita per l’impasto; mandorle per la rifinitura esterna. Assai complessa, invece, è la preparazione, a tal punto che, onde evitare di dare in questa sede indicazioni approssimative, rimandiamo a ricettari online firmati da esperti, per dedicarci alla ricerca di un accompagnamento corrispondente in campo birrario.
Nel bicchiere
E qui la briglia della fantasia potremmo farla correre davvero: perché, trattandosi di un dessert, trovare un abbinamento adeguato (così tante sono le tipologie a tendenza dolce) non presenta difficoltà alcuna, se non l’imbarazzo della scelta. Giocando al ci piace vincere facile avremmo chiuso l’incontro in tre set, calando gli assi nella manica di un Barleywine inglese, di un Wheatwine statunitense, di una Wee Heavy scozzese, di una Eisbock tedesca, di una Strong Ale belga. Si è preferito invece rendere il match più equilibrato, portarlo al tie-break: una quinta partita tanto in bilico da non trovare mai una fine, da non incoronare mai un vincitore, da dover arrendersi all’evidenza di una parità delle forze in gioco. Per questa singolare sfida (contro sé stessi, in fondo) abbiamo optato per una Honey Beer, una specialità al miele, preferibilmente con accenni di caramellizzazione dei suoi zuccheri (mediante aggiunta del miele stesso in bollitura); in tinta ambrata o bruna; e fermentata con lievito belga, a indirizzare il profilo aromatico verso alcune direzioni peculiari.
Ma veniamo alla prova sul campo, ovvero sulla tavola. La colomba fa valere una struttura soffice, così da non richiedere corporeità necessariamente dense, mentre la cordata mandorle-burro-uova sbatte sul tavolo la sostanza dell’apporto in grassi conferito da ciascuno di questi tre tasselli-chiave della preparazione. In tal senso sarà necessario il ricorso a una certa spinta in termini di bollicina e acidità, nonché di una spalla alcolica ben modellata: per questo pescheremo referenze dotate di gradazioni dalla cintola in su. Poi abbiamo, nel boccone, l’elemento cardine della dorsale zuccherina, rispetto alla quale ci si muove assecondandola, affidandoci a una sorsata dalla quale ci aspettiamo le coccole del miele cristallizzato in bollitura. Infine la fase aromatica. Il piatto spara le sue cartucce: panificato dolce a media o medio lunga cottura (insomma i profumi della calotta, imbrunita dall’infornamento); l’incisività della scorza d’agrume candita; la seduzione del mandorlato, regalo della glassa (con qua e là incastonati frutti interi). E il calice intercetta e prolunga tutto quanto il concerto odoroso, grazie, da un lato, alle tostature biscottate dei malti ambrati o bruni; e, dall’altro, alle virtù fermentative del lievito belga, con i suoi toni fruttati, che toccano le corde proprio dell’arancia, del limone, dell’amaretto e del marzapane. Chiudiamo dunque con gli immancabili consigli per gli acquisti. L’Italia sfodera un’armeria ben fornita: vi troviamo ad esempio la Miele d’autunno del birrificio Hilltop, la Mielika di Baladin (Piozzo, Cuneo) o la Ester targata La Diana (Siena); oltre confine, dal Belgio convochiamo un classico come la Bière de Miel della scuderia Dupont (Tourpes, Belgio), ovviamente con lievito Saison.