BelgioEsteroIn vetrina

Uno, nessuno, centomila… De Proef!

Quando ho visitato De Proef per la prima volta circa 6 anni fa, è stata una rivelazione. Il birrificio si trova nel villaggio di Lochristi-Hijfte, in un edificio industriale non troppo riconoscibile, ma che i silos aiutano ad individuare. Il nome “Proefbrouwerij” (letteralmente: il birrificio di prova) evoca sentimenti contrastanti a molti amanti della birra, in parte a causa della sua natura.

de prouf

Per capire che non si tratta di un comune birrificio basta ricordare che da De Proef non sono ammesse visite. Qui hanno fin troppo da fare con la produzione e con macchinari pesanti per lasciare spazio agli ospiti: la principale attività è produrre birre su commissione, e quindi è bene evitare che estranei possano sapere per chi il birrificio stia lavorando. Accanto a quelle realizzate per conto terzi, De Proef ha poi una serie di birre proprie, per esempio la serie “Reinaert” e la “Flemish Primitive”; ma non hanno la stessa priorità delle altre. Dirk Naudts, il direttore, dice “Non voglio competere con i miei clienti”, applicando il principio per cui loro (i clienti) “hanno sempre ragione”. Questo segna una differenza nei confronti di tutti gli altri birrifici belgi che producono per altri, come Van Steenberge, Du Bocq e così via: perché questi ultimi fanno prevalere le proprie birre su quelle preparate per i clienti.

L’impianto

De Proef non è un birrificio normale nemmeno per quanto riguarda l’impiantistica, in quanto qui operano diversi sistemi di produzione. Rispetto ai birrifici “ordinari”, con una sola sala di cottura, De Proef ne ha tre, con una capacità rispettivamente di circa 10 ettolitri, 10/15 ettolitri e 40/60 ettolitri. Questo permette la lavorazione contemporanea di numerose birre differenti, che possono essere fermentate in 84 (sì, avete letto bene) fermentatori, realizzati dell’azienda italiana Velo. Il piano è quello di portarli a 100 entro l’estate, consentendo la produzione di altrettante differenti birre in qualsiasi momento. Non c’è da stupirsi se da De Proef la pianificazione della settimana di lavoro richiede ben due giorni interi di programmazione!

de prouf impiantoIl luppolo

Per quanto riguarda il luppolo si utilizza quasi tutto quello che c’è a disposizione sul mercato: varietà americane, giapponesi, neozelandesi e così via. In particolare si impiegano pellets e, per alcune birre estremamente amare (ad esempio sopra i 200 EBU), si ricorre anche all’estratto. Quello che ho trovato veramente affascinante è stata la descrizione del loro “Hop Project”; per poterlo avviare è stato effettuato un investimento considerevole al fine di poter conservare grandi quantità di luppolo a -18 °C in quattro grandi contenitori. Da qualche anno Dirk ha infatti avviato un ambizioso progetto sul luppolo, che era ed è tuttora sviluppato in collaborazione con Denis De Keukeleire, noto professore la cui intera carriera professionale si è concentrata appunto sul luppolo e la cui principale scoperta è stata l’individuazione del luppolo stesso come causa del difetto chiamato light struck/skunkiness (difetto al quale ha anche trovato il rimedio: il tetrahop). La prima fase è stata chiamata “Single Hop Project”. Circa 20 varietà di luppolo, coltivate da fiamminghi, americani e cechi, provenienti da raccolte di tre anni consecutivi su medesimi terreni. L’obiettivo era quello di migliorare la conoscenza dell’impatto del luppolo durante le fasi di early, late e dry hopping, sul prodotto finito, acquisendo conoscenze sugli aromi che i luppoli sviluppano con l’età. I test hanno mostrato che tutti gli elementi, ad esempio il terreno, il trattamento e la conservazione, come ci si potrebbe aspettare, giocano un ruolo importante, contribuendo a risultati differenti da lotto a lotto. Chiaramente la ricerca ha dimostrato che il “terroir del luppolo” gioca un ruolo enorme. Questa fase adesso è terminata, seguita dalla seconda, in atto, che si chiama “Hop Quality Group” e che ha già portato a miglioramenti nella tracciabilità e nel confezionamento. Obiettivo ultimo è quello di assicurare una buona e costante qualità del luppolo belga; obiettivo di interesse nazionale, visto il lungo e continuo calo produttivo del luppolo nazionale. Sul sito di De Prouf è possibile visionare un reseconto tecnico del progetto.                               

Il malto

Vengono utilizzati tutti i tipi di malto e di cereali. Da segnalare che la struttura a più impianti permette la produzione separata di birra senza glutine.

Il lievito

Lo staff è estremamente flessibile e in grado di gestire qualsiasi modalità produttiva. In ordine ai lieviti, l’impianto sforna birre prodotte di tipologie varie e diverse (ad alta fermentazione, a bassa, miste e “selvatiche”), impiegando normalmente i ceppi conferiti dai clienti. Ma De Proef ha anche una sua (e anzi, in continua espansione) banca del lievito, nella quale le colture sono conservate mediate svariate modalità (compreso il congelamento a -80 °C). Inoltre, di recente, si è intrapreso un cammino assai affascinante. De Proef infatti ha avviato un altro progetto, quello mirante all’identificazione dei lieviti e dei batteri da birra, vino, pasta madre e cacao. L’idea è che la maggior parte dei ceppi utilizzati nella birra possano essere ricondotti a circa 100 varietà di base; l’obiettivo, indagarne i Dna, i tratti genetici, le altre caratteristiche e il loro impatto sulla birra stessa. Divenuta in gennaio un’iniziativa ufficiale, questa ricerca impegnerà a tempo pieno quattro bio-chimici per un paio d’anni. Quando me ne sono stati illustrati i primi passi tecnici e scientifici, ho visto di fronte a me il futuro della produzione di birra. Che dire ad esempio di tecnologie come quella dello spettrometro di massa utilizzato per identificare e visualizzare i diversi microorganismi? Una delle prime prove pratiche generate dal progetto ha riguardato la produzione di una birra senza alcool, utilizzando un ceppo di lievito che fermenta fruttosio e saccarosio, non maltosio e malto triosio: ho potuto assaggiarla e ne sono rimasto davvero positivamente sorpreso. Anche qui l’intento è quello di immergersi in profondità nella materia, per saperne di più e diffondere le informazioni in modo comprensibile a quanti sono in sintonia con tale approccio, si tratti di produttori o consumatori.

 

Birra in botte

La maggior parte delle erbe e delle spezie hanno davvero pochi segreti per il gruppo di lavoro di De Proef; ma il nuovo “parco giochi” è il legno, sul quale si sta investendo fortemente. Come molti produttori in ambito internazionale, anche qui si utilizzano i wooden chips; i trucioli vengono impiegati per un paio di birre: ma la maggior parte di esse maturano in botti, con una preferenza per il rovere francese e per i fusti da vino.

de proef botti

La sala dei tini, situata in un edificio separato, è stata decisamente ampliata, in modo che i diversi tipi di legname e di contenitore rivelino al meglio le rispettive peculiarità. Qui si usa addirittura un computer chip identificativo, applicato a ciascuna botte, per raccoglierne la storia e tutte le informazioni significative. Tale versatilità d’approccio si riflette anche nelle macchine da confezionamento, con le quasi tutte le dimensioni e formati possono essere gestiti. Durante la mia visita, ho notato che si stava installando anche un’attrezzatura per lattine: ciò a fronte della domanda provenente da alcuni importanti clienti, evidentemente  colpiti dalla canning revolution in atto negli Usa.

 

Clienti

I clienti sono molti diversi tra loro. Abbastanza spesso si tratta di birrifici “in pianificazione” (alcuni si chiamano “architetti della birra”), che vogliono sviluppare il loro concept e testare il mercato; o birrifici più piccoli con insufficiente capacità oppure in fase di valutazione prima di investire in costose attrezzature. Ogni birra viene fatta su ordinazione, in base alle specifiche disposizioni personali; e i committenti non sono solo belgi (tra essi Slaapmutske, Viven, Jessenhofke): anzi, grazie alla pubblicità, le richieste arrivano da Francia, Paesi Bassi e pure da Paesi lontani come il Sud Africa. Il novero include anche l’importatore americano SBS di Alan Shapiro, che ordina birre particolari prodotte solo per il mercato Usa (per esempio Witte Noire, La Grande Blanche); e, naturalmente, sempre più gipsy brewer, non dotati di impianto proprio: si pensi a To Øl, Omnipollo, per non dire del più famoso Mikkeller, che in Danimarca ha solo un piccolo impianto di prova. Basta dare un’occhiata proprio alla gamma di Mikkeller, per avere un’idea della quantità di prodotti diversi che De Proef è in grado di gestire.

de poef dirk

Un piccolo campione? Ecco qua: 1000 IBU, Beer Hop Breakfast (invecchiata in botti di tequila), Chipotle Porter, Dry Stout Grand Marnier Edition, It’s Alive Rhubarb Edition, Spontanriesling, Salty Ocean Weed; tutte etichette che attestano le competenze del team De Proef. Numerosi clienti significa aver a che fare, per Dirk (con le sue competenze ed esperienze: ha iniziato nel 1996) con molte e diverse esigenze. Per i progetti fortemente innovativi, l’impianto di 10 ettolitri viene utilizzato per le sperimentazioni: il sistema migliore per controllare tutti i parametri di una brassaggio effettivo, fino al confezionamento.

Collaboration Brew

Quanto detto finora dimostra che qui può essere prodotto praticamente qualsiasi tipo di birra. Basta dare un’occhiata a ciò che il sito ratebeer riporta sotto la voce De Proef: centinaia di referenze; e si tratta di un elenco non completo! In ogni caso, tra le attività dell’impianto ce ne sono due che possiamo considerare più importanti. Infatti, da qualche anno il marchio è coinvolto anche nella realizzazione di “Collaboration Brew”: etichette che nascono quando due o più brewers si uniscono in un progetto comune. Per citare solo alcuni esempi, Dirk e il team hanno lavorato “a quattro mani” con nomi come Tomme Arthur di Lost Abbey (per la Signature Ale), Rob Tod di Allagash (Les Deux Brasseurs), John Mallett di Bell (Van Twee), Wayne Wambles di Cigar City (Tripel Tropical) e Todd Haug di Surly Brewery (Long of Tooth). La prossima collaborazione, tra l’altro, ha un piccolo tocco italiano; interesserà infatti Eric Wallace: il proprietario del birrificio Left Hand, di Longmont in Colorado (sposato con una bella signora del Bel Paese) ha in cantiere, per i prossimi mesi, una Stout con note acide. Dirk ed il suo team si dedicano regolarmente anche a delle single stuff. Ad esempio si sono occupati delle varie referenze della serie Single Hop del già citato Mikkeller. Inoltre, anche per la catena di supermercati belga Delhaize hanno preparato una linea di Single Hop, cui hanno fatto seguito una gamma di Single Yeasts e, recentemente, una di Brettanomyces Woods, con uso di fusti di rovere di diversa provenienza (da Francia, Stati Uniti e Ungheria). Queste edizioni vengono definite “didattiche” da De Proef, perché consentono ai consumatori una migliore comprensione delle specificità di alcuni ingredienti e di alcune metodiche di lavorazione.


In generale

Nella visita all’impianto, mi ha colpito molto (contrariamente a quanto avviene in tanti altri stabilimenti) l’estrema attenzione per l’ordine e la pulizia. In ordine a questo aspetto, alcune delucidazioni e sottolineature di Dirk mi hanno aperto gli occhi; quindi non posso se non concordare con il motto suo e del suo team di 32 professionisti: “Avere ambienti puliti consente di avere buona birra, insieme con del buon personale e dei buoni ingredienti”. Complessivamente, De Proef dimostra di poter preparare, stoccare e confezionare quasi tutto quanto un professionista o un beer geek possano immaginare; e questo costituisce assolutamente un valore aggiunto nel mercato brssicolo internazionale. Certo, in virtù del principio di segretezza, è possibile non avere cognizione del fatto che si stia bevendo una birra brassata da De Proef; eppure, per chi voglia indagare, un sistema c’è. Il modo migliore, è chiaro, sarebbe che ogni committente scrivesse (sull’etichetta o almeno sul proprio sito web) il luogo di produzione della birra in questione: ma a volerlo fare non sono davvero in molti. Per scoprirlo, allora, la strada è quella di verificare il dato su riviste o siti web settoriali (nella maggior parte dei casi avranno ragione). Chi riscuote successo, attrae logicamente su di sé anche concorrenza: nel 2011 un ex dipendente ha avviato un sito produttivo (si tratta della Brouwerij Anders, che sorge a Halen, nel Limburgo) con lo stesso profilo organizzativo di De Proef, specializzandosi come contoterzista. Recentemente, Zythos ha reso noto che in Belgio, nel secondo semestre 2014, sono comparsi 11 nuovi birrifici a fronte di 26 nuovi marchi.