Birrovaghi: in viaggio da Massa alle Alpi Apuane (parte I)

“I più bei monti formati da Dio”. Così lo scrittore Tommaso Landolfi definisce le Alpi Apuane, in Toscana. Landolfi era un tipo particolare. Franco Battiato lo citò in una canzone affermando che aveva vissuto una vita “cinica ed interessante” e la sua lirica era, per così dire, volutamente ambigua e a tratti surreale. Ma ne parlo volentieri in questo racconto, sia per la sua profonda definizione, data a quella parte di Appennino protagonista del nostro itinerario, sia perché nel 1953 ha scritto una specie di diario dal titolo “LA BIERE DU PECHEUR” (così, senza accenti, perché la grammatica francese lo permette con le parole scritte in maiuscolo), che significa al contempo “La birra del pescatore”, “La bara del pescatore”, “La birra del peccatore” o “La bara del peccatore”. Delizioso, non trovate? 

Beh, ormai lo avete capito, amici birrovaghi, questa volta vi porto nel nord ovest della Toscana, in quella parte del Sub-Appennino che confina a nord con l’Appennino ligure e a sud con il Monte Pisano. Una terra difficile, per certi versi ancestrale, aspra, pericolosa, eppure libera e bellissima. Le Alpi Apuane sono abitate fin dall’età del bronzo, ci hanno vissuto gli Etruschi ed è qui che almeno duemilacinquecento anni fa, i Liguri di Ameglia hanno iniziato a scavare le montagne per estrarre il prezioso Marmo di Carrara, quello che i Romani chiamavano marmor lunensis, o marmo di Luni. Le cave esistono ancora oggi, sono visitabili e raccontano una storia pazzesca, da cui ho preso spunto per proporvi un itinerario alla scoperta di monti, borghi, sentieri, gastronomia e, naturalmente, birra.

Il viaggio, che consiglio di organizzare mettendo in conto due o tre giorni, comincia in quel di Massa, cittadina forse meno blasonata delle più celebri sorelle d’arte della Toscana, ma altrettanto ricca di storia e intricate vicende. Basti pensare che qui abita gente fin da prima che arrivassero i Romani. Ci sono resti di insediamenti Liguri-Apuani e tutto ruota intorno a quelli che sono in effetti i simboli di questa terra: il fiume, il monte e il mare. Il corso d’acqua protagonista di questa storia è il Frigido, così chiamato da tempo immemore per la temperatura particolarmente fredda delle sue acque e le alture sono quelle delle Alpi Apuane, più precisamente del monte Tambura che, con i suoi 1891 metri, domina da una versante Massa e dall’altro il suggestivo lago di Vagli e la meravigliosa Oasi di Campocatino. Il mare infine, non può che essere il Tirreno, padre austero e gentile di noi toscani incrostati di sale. In una antica rappresentazione di epoca imperiale, realizzata tra il secondo e il quarto secolo dopo Cristo, la Tabula Peutingeriana, si scopre che nella zona di Massa esiste una località chiamata Ad tabernas Frigidas. È probabile quindi che lì, nei pressi del ponte sul fiume Frigido, vi fosse una mansio, cioè una stazione di posta, per accogliere i viandanti che da Pisa andavano verso Luni, lungo la via Aemilia Scauri. Successivamente vi fu edificato l’ospedale di San Leonardo al Frigido, di cui rimane una cappella. L’attuale centro storico di Massa si trova poco distante, dov’era la borgata di Bagnara, così chiamata in tempi successivi per la grande quantità di fonti d’acqua, cosa tutto sommato comune in un territorio alluvionale. È realistico che i Romani vivessero anche lì e che a Bagnara ci fosse pure una fiorente fabbrica di anfore, usate per il vino locale, come provato dal ritrovamento in Piazza Mercurio di due fornaci, vasellame e monete di epoca romana. Con la caduta dell’Impero le cose si complicarono un poco, ma Medioevo e Rinascimento furono senza dubbio i periodi di maggior splendore per la città, che poi nel 1859 si affidò al Regno di Sardegna. Il resto è storia recente.

Ho voluto fare questa, spero piacevole, digressione, perché Massa merita tempo, curiosità e rispetto. Troppo spesso liquidata come terra di confine, o al massimo conosciuta per le vicine cave di marmo, porta invece con sé una memoria potente di lavoro, arte e mescolanze, che è necessario custodire. 

Detto ciò, andiamo a bere. La prima tappa è il Birrificio del Castello. Siamo a Marina di Massa, una frazione costiera del comune, animata soprattutto in estate, dove negli anni ho avuto modo di insegnare e che quindi conosco abbastanza bene. Il birrificio nasce nel 2012 in località Canevara per poi trasferirsi a Marina nel 2018, grazie alla passione di due amici homebrewer, Alessio Raffaelli e Alessandro Segnani. Il primo gestisce un ristorante in centro storico, l’Osteria del Borgo dove già da tempo serve cucina del territorio, abbinata anche a qualche birra artigianale, mentre Alessandro non vedeva l’ora di trovare un’idea per cambiare lavoro. Gli ingredienti dunque c’erano tutti. I due acquistano un primo impianto da 100 litri, per poi passare a un due ettolitri, con 4 fermentatori da 220 litri, termoriscaldati. Si dedicano entrambi alla produzione e Alessandro si fa carico anche del lato commerciale dell’azienda. Alessio, per parte sua propone le loro birre nel suo locale, che diventa in breve il primo vero punto mescita del birrificio. Ad oggi le referenze stabili in carta sono quattro, reperibili in loco, nel nord della Toscana e in quel di Genova, città natale di Alessio. La Piazza Aranci, una blanche da 5% vol., la Frigido, Blond Ale da 4.6% vol., aromatizzata al timo, erba aromatica che da queste parti si chiama “poverino”, e La Rocca, una dark strong ale di ispirazione abbaziale, con corpo e alcol sostenuti (8% vol.). Completano la batteria un’altra belgian blonde più luppolata e beverina e una triple prodotta per il periodo natalizio. Dal 2019, inoltre, il birrificio porta avanti anche un altro interessante progetto: la produzione di liquori alle erbe, in collaborazione con aziende agricole e vitivinicole, prevalentemente locali.

Una volta terminata la visita, rimettiamoci in marcia. Per la verità la distanza da percorrere è breve, dato che il secondo birrificio di giornata dista meno di cinque chilometri e dieci minuti di auto. Ma l’occasione è ghiotta per visitare alcuni luoghi simbolo del centro di Massa, come la bella Piazza Aranci, col Palazzo Ducale, citata dal Carducci e magnificata prima persino da Leopardi, che in una lettera alla sorella Paolina nel 1827, scriveva di voler trascorrere l’inverno proprio qui, perché “…Quel clima è ottimo, simile a quello di Nizza, e forse migliore di quel di Roma: non vi nevica mai, e si esce e si passeggia senza ferraiuolo; in mezzo alla piazza pubblica crescono degli aranci, piantati in terra”. Merita una sosta anche Piazza Mercurio, con l’antica chiesa di San Giovanni Decollato, il Palazzo Bourdillon e la statua di Hermes, da cui la piazza prende il nome. Altra destinazione obbligata, giusto per far crescere la sete, è la visita con annessa salita, alla già citata Rocca Malaspina. La costruzione millenaria, più volte rimaneggiata nei secoli, è sorta su un precedente sito Romano e troneggia una pianura dove la vista spazia, meteo permettendo, fino a Livorno. Da non perdere, così come la nostra seconda tappa birraria: il Birrificio Apuano.

Progetto nato nel 2013 dalla determinazione di Marco Tazzini, titolare e birraio, dopo anni di gavetta, il Birrificio Apuano rappresenta oggi una realtà ormai affermata in Toscana e non solo. Tra i primi a credere in Italia nella produzione di birre gluten free, nel 2015 lancia per la prima volta la sua linea di referenze rivolta a chi cerca birre buone, anche senza glutine. La passione per la grafica, oltreché per la birra, lo porta a disegnare in prima persona loghi ed etichette capaci di rappresentare lui, la sua filosofia e il birrificio. Ma si sa, le cose cambiano e così nel 2018 una modifica societaria porta il Tazzini a voltare pagina, per ripartire con una spinta ancora maggiore. La comunicazione si rinnova senza snaturarsi, entrano nuove birre in carta e vengono avviate anche la linea dedicata alle Italian Grape Ale e la Prototype, che comprende le birre sperimentali, come quelle passate in botte. Tra il 2019 e il 2021 arrivano anche numerosi riconoscimenti in guide e concorsi birrari, nonostante le ovvie difficoltà e incertezze, legate alla Pandemia da Covid 19. Sul fronte birra, in carta ci sono dieci etichette fisse, tra classiche e gluten free, cui si aggiungono cinque referenze in forza al comparto IGA e sperimentali. Cito volentieri la Grunt, una strong ale da 6.5% vol., piena e rotonda, caratterizzata da note maltate e di frutta secca, con un tocco di affumicato. Bene anche la Gluglu, lager di facile beva e buona freschezza, senza rinunciare a struttura ed equilibrio (5.8% vol.). Molto piacevoli anche la Panversato, belgian strong ale calda e speziata (6.8% vol.) e la Testa di luppolo, IPA agrumata che strizza l’occhio agli amanti dell’amaro, senza però spaventare il consumatore più classico. Spavento che diventa supremo, ma solo per ragioni alcoliche, per chi si approccia alla Trippy Triple, birra secca e decisa, che porta in dote ben dieci gradi alcolici. Tra le IGA, impossibile non menzionare l’identitaria Ninkasi (10% vol.), prodotta con mosto di uve Trebbiano dei Colli Apuani e la Borderwine, monumentale red iga, realizzata con aggiunta di mosto di Massaretta dei Colli Apuani, Cabernet e Merlot (9% vol.).

Leggi la seconda parte