Birrovaghi: in viaggio da Massa alle Alpi Apuane (parte II)
Continua il viaggio toscano dal mare alle Alpi con la birra in mano (leggi la prima parte).
Ma ora è il momento di lasciare il mare e salire sulle Alpi Apuane per andare alla scoperta di uno dei gruppi montuosi più belli della regione, che frequento da parecchi anni. Il motivo? Beh, vi sarà chiaro tra poco, non appena avrete varcato con me i confini del Parco del Corchia. Da Massa ci vogliono appena 40 minuti di macchina, andando piano. Si prende la SS1 (lungo la quale trovate la Bottega di Adò, dove rifornirvi di lardo e salumi) e poi la Strada Provinciale 9, che diventa Via di Arni. Al parco si accede da una biglietteria in località Levigliani, dove si possono prenotare tutte le visite, anche se, di questi tempi, consiglio il servizio di booking on line. Se amate stare all’aria aperta in montagna, il trekking è sicuramente la scelta migliore. Si sale fin quasi a duemila metri, lungo sentieri facili, crinali e ferrate, a seconda del livello di esperienza. Ci sono molte opzioni, anche facilissime e con guide alpine esperte a disposizione di singoli e gruppi, per sentieri da percorrere tutte le stagioni con panorami mozzafiato. Anche sotto Natale è possibile passeggiare, magari evitando i percorsi più impervi e a rischio neve. Ma non finisce qui.
La bellissima Grotta Turistica “Antro del Corchia”, rappresenta sicuramente la principale attrazione, ma è possibile anche visitare le antiche Miniere di Argento Vivo, cioè di mercurio, rimaste attive fino alla metà del novecento, oppure vistare il sistema museale di Levigliani e godervi una gastronomia memorabile tra cacciagione, ravioli, tordelli e dolci tipici. E poi ci sono le miniere di marmo. Esplorare alcune di queste cattedrali di pietra, come la Cava del Piastraio, a circa 1300 metri di altitudine, scavate per millenni dagli uomini nel bianco cuore della montagna, è un’emozione indescrivibile. Il mio consiglio è di dedicare una giornata intera al Parco, ne vale decisamente la pena. E poi magari dormire in un agriturismo di montagna, per farsi coccolare dalla pace nascosta di questi boschi.
Il giorno seguente si riparte, proseguendo lungo la nodosa Strada Provinciale Arni che segna un itinerario stupendo nel cuore delle Alpi Apuane. Si passa nei pressi dei torrenti Anguillaja e Fatonero dove le acque incanalate e vorticose hanno scavato grandi cavità a forma paiolo, conosciute come “marmitte dei giganti” e poi si raggiunge quel piccolo gioiello medioevale, che il borgo di Isola Santa. Qui la sosta ristoratrice è d’obbligo: un pranzo, una merenda o anche fosse solo un caffè, seduti in riva al lago, sotto una corona di monti, non ha prezzo (in realtà ce l’ha e non è neppure caro). Lasciata, a malincuore, Isola Santa si prosegue fino a Castelnuovo Garfagnana e da lì a Gallicano, dove si imbocca la SP39 che conduce fino all’abitato di Fornovolasco da cui, percorrendo Via della Cavana si guadagna la nostra prossima tappa: le celebri Grotte del Vento. Considerate in tutto poco più di un’ora di tragitto, soste escluse. Le Grotte sono straordinarie e caratterizzate da un doppio accesso, uno a 642 metri (l’attuale ingresso turistico) e l’altro a circa 1.400 metri di altitudine. Questo fa si che si crei una corrente di aria più fredda e pesante che dall’alto percorre costantemente le cavità delle grotte come un continuo soffio di vento, da cui il nome. Ma, ascoltando la gente del posto, si scopre anche che per secoli la funzione di queste gallerie è stata ben diversa. Dal seicento fino al termine dell’ottocento infatti, della grotta si conosceva solo la corrente d’aria che, incanalata all’interno di una capanna, veniva utilizzata dagli abitanti della vicina borgata di Trimpello per tenere in fresco i cibi, visto che la sua temperatura media è di circa dieci gradi centigradi, durante tutto l’anno. E così se veniva chiesto a qualcuno cosa ci fosse di tanto speciale in questo luogo beh, la risposta più ovvia sarebbe stata: il frigorifero dei minatori. Per visitare la grotta considerate da una a tre ore, dipende da quale percorso scegliate tra quelli proposti.
Una volta esaurita la speleologica fame è giunto il momento di apprestarci a soddisfare la mitologica sete. Quale miglior posto quindi di un brewpub osteria, circondato da boschi, dove degustare birra, accompagnata da gustose ricette del territorio? Tanto più che ci resta un’oretta di trasferimento, trascorsa la quale saremo prossimi verosimilmente all’ora di cena. Imbocchiamo dunque la strada a ritroso e torniamo a fondovalle, proseguendo poi lungo la Garfagnana in direzione di Lucca, fino a Borgo a Mozzano, per fermarci qualche minuto ad ammirare il famoso Ponte della Maddalena. L’ardita opera architettonica, più nota in Toscana come “Ponte del Diavolo”, venne costruita per volere di Matilde di Canossa nel XI secolo e rimaneggiata all’inizio del trecento da Castruccio Castracani. Ogni volta che ci salgo, che cammino sulle sue arcate, mi chiedo come faccia a resistere alle piene del fiume Serchio, al nebbieggiare che macchia l’Appennino, alle orde di turisti, al peso dei secoli; come faccia a sopportare con distacco, il nostro senso sdrucciolo delle cose umane. Sta di fatto che il dado ormai è tratto.
Da Borgo a Mozzano si segue la SP32, fino al bivio che sale in frazione Loppeglia, dove ha sede il Brew Pub La Collina. La produzione di birra nasce nel 2018, all’interno di un ristorante aperto a maggio del 2011, quando Alessandro Ridolfi, homebrewer navigato, rileva l’attività dei nonni con la madre Paola Sorbi. L’idea è fin da subito quella di proporre piatti del territorio come i tipici tordelli, la cacciagione, le paste fatte in casa, le rovelline lucchesi, il tutto in abbinamento con la birra artigianale italiana, forti anche del turismo mitteleuropeo, presente soprattutto nel periodo estivo. La Collina diviene così, in breve tempo, un luogo conosciuto e apprezzato non solo a livello locale e i tempi si fanno maturi per il grande passo brassicolo. Alessandro frequenta un corso di specializzazione a Padova e, dopo uno stage presso il Birrificio del Forte, decide di avviare la sua linea di birra, trasformando di fatto la trattoria in un brew pub dove, assieme alla birra, si gustano ricette della tradizione al posto del solito pub grub. Il che, ovviamente, non lo esonera dal lavoro al ristorante, dove continua ad occuparsi della sala. L’impianto è un 250 litri, con due fermentatori troncoconici di pari portata della Inox Impianti, mentre sul fronte birra le referenze sono in tutto otto, suddivise tra annuali e stagionali
Tra le prime merita una breve parentesi la Duca, alt da 5% vol., con 100% malto Vienna, creata in onore di Felix Pfanner, birraio nativo di Hörbranz sul Lago di Costanza, che nel 1846 fondò il primo birrificio del Ducato di Lucca, dopo essere entrato in contatto con la famiglia Cotroni. Interessanti anche la Beuwoz, triple da 7% vol, che prende il nome da un’antica parola protogermanica che significa orzo, e la Hildegard, hoppy belgian strong ale, con luppoli americani, da 7% vol. Tra le stagionali, ricordo con piacere l’ottima War is Over, imperial stout natalizia, che porta in dote tutto il calore corroborante dei suoi 10 gradi alcolici, brassata con miele di tiglio e castagno di un’azienda agricola locale e la 8 File, summer ale con Granturco Formenton della Garfagnana usato a crudo (5% vol., Gluten free). Siccome però il 2021 è l’anno del decennale, Alessandro ha realizzato anche una birra commemorativa, la 10 Primavere, saison con orzo, farro, segale ed avena (5% vol.). Per il 2022 infine è prevista l’uscita, intorno ad aprile, di due nuove referenze affinate in botte, una di Morellino di Scansano e l’altra della DOC locale, il Montecarlo di Lucca.
Ed eccoci giunti alla fine di un altro viaggio, amici birrovaghi, una volta tanto vi ho portati in giro nella mia Toscana. Una Toscana meno patinata ma profondamente vera. Siamo partiti dal mare, per salire in montagna, passare gallerie di pietra e scoprire borghi e storie che non invecchiano mai, perché fortunatamente si sono dimenticate di considerare il tempo. Storie liquide, come qualcuno ebbe a dire, che di solito finiscono con un bicchiere in mano, un fuoco acceso e il sapore della memoria, per cena.