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Beer Bike Tour sul Lago di Garda

La lingua gaelica, nella sua declinazione irlandese usa il termine bennach, per descrivere un territorio ricco di promontori, dalla conformazione, per così dire, nervosa. In effetti, la traduzione letterale è più concisa, ma preferisco questa. Nel millennio che precedette la romanizzazione d’Europa, più o meno a partire dal nono secolo avanti Cristo, i Celti camminarono su gran parte delle strade del vecchio continente, comprese quelle d’Italia. Fu uno dei popoli più misteriosi della loro epoca, perché nonostante le fonti storiche che li riguardano siano svariate, in fin dei conti non ne sappiamo poi molto. Ma di una cosa siamo certi: hanno abitato, ben prima dei romani le sponde di un lago bagnato dai monti e dalla grande pianura, che chiamavano Bennacus, da cui il latino Benācus-i lacus. Insomma, perdonate la mia proverbiale logorrea, ma tutto sto giro di parole per dirvi che oggi partiamo per un suggestivo beer tour intorno al Lago di Benaco, meglio conosciuto come Lago di Garda. L’itinerario che ho in mente per voi, amici birrovaghi, è un quasi anello che inizia dalle sponde del nord e arriva ai piedi del massiccio del Monte Baldo. Ci muoveremo in macchina, ma non mancheranno un po’ di sano trekking e, per chi lo desidera, una bella sgambata in bici. 

 

Partiamo dal versante trentino del lago e per la precisione dalla bella Riva del Garda, con l’Ora, il Ponale e il Balinòt, i suoi venti che non la lasciano mai sola, che folano parole e nuvole, ma fanno anche confine. Come quando arriva il “Vent” o “Pelèr”, una brezza da nord che colpisce solo la zona di Torbole, tanto che non sono rare le notti invernali in cui a Torbole si toccano i due o tre gradi centigradi, mentre a Riva ed Arco si scende sotto zero. Qui si vive fin dalla preistoria, e si fa turismo da secoli, fin dal Rinascimento. Qui si cammina per i salotti del centro e si ozia sul lungolago. Qui, una volta o l’altra, ci vengono più o meno tutti. Una delle esperienze più belle che potete fare tenendo come base questo borgo grazioso, è sicuramente percorrere la spettacolare Strada del Ponale. Un  sistema di sentieri aperto nel 2004, tra i più belli d’Europa (alcuni facili, larghi e perfettamente attrezzati, altri più impervi ed esposti), ottimo per il trekking o la bicicletta, che ripercorre un’antica via di comunicazione tra il lago e la Val di Ledro.  Anticamente il Porto del Ponale ha svolto un ruolo fondamentale di collegamento, essendo uno dei due sbocchi sul Basso Sarca. Le prime notizie sul Porto risalgono al 1192, quando il Vescovo Corrado II di Beseno concesse ai rivani il diritto di trasporto sul lago degli uomini e delle merci da Riva a Ponale e da qui a Torbole, con l’obbligo di rinnovare annualmente nel giorno di Pentecoste il giuramento di vassallaggio ed il pagamento della metà dei proventi. Il 1851 è un anno cruciale per il destino della mulattiera del Ponale: viene infatti realizzato il grande progetto di collegamento lungo le pareti a picco del Monte Oro e della Rocchetta ideato da Giacomo Cis. Da allora la mulattiera venne praticamente abbandonata. Solo tra la fine dell’ottocento ed il 1920 circa, la Valle del Ponale ritornò al centro dell’attenzione per le sue centrali idroelettriche e la posizione strategica durante la Prima Guerra Mondiale. Vi consiglio di godervi questo spettacolo in primavera, la stagione migliore per clima e colori, anche perché attualmente il sentiero  chiuso per lavori e riaprirà a marzo 2021. 

Vi ho parlato della Val di Ledro, non solo in chiave “Ponale”, ma anche perché qui si trova il primo birrificio del nostro birrovagare. Andiamo a visitare il Birrificio Leder. Siamo a Pieve, piccolo e grazioso abitato sulle sponde del Lago di Ledro, la cui toponomastica ha contribuito non poco a definire i nomi delle birre che Fabrizio Pellegrini produce fin dal 2015, anno di nascita del suo Birrificio artigianale. Qui produce una linea di birre per lo più ispirata agli stili boemi, e in effetti il legame tra gli abitanti della valle e la Repubblica Ceca ha radici antiche che affondano fino alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Il territorio al tempo era parte strategica dell’Impero Austro-Ungarico essendo confine tra l’Impero stesso e il Regno d’Italia. Allo scoppio della guerra nel 1914, i valligiani maschi tra i 21 e i 42 anni furono chiamati alle armi nel XIV Corpo d’Armata schierato in Galizia e sui Carpazi, sul fronte orientale. Nelle ore di poco precedenti a quella sera del 23 maggio del 1915 in cui Vittorio Emanuele III, Re d’Italia, annunciava alle forze armate italiane di aver dichiarato guerra all’Austria-Ungheria a fianco della Triplice Intesa, gli austriaci si mobilitarono per ultimare la creazione di una linea di difesa in Val di Ledro, per fermare il passo dell’esercito italiano. La zona divenne molto pericolosa, la situazione drammatica. Il 22 maggio del 1915, fu quindi affissa sulle pareti delle case la “Notificazione del Imperial Regio Capitano di Riva con l’ordine di evacuazione della Valle, entro 24 ore. Il giorno di Pentecoste, migliaia di donne, bambini ed anziani, partirono per una destinazione e un futuro ignoti, con un bagaglio e viveri sufficienti per pochi giorni di viaggio. Ogni casa e vita vissuta erano ormai alle spalle. Si è calcolato che circa 11.400 ledrensi raggiunsero la Boemia. Ecco, giusto per dire. Tornando all’esperienza di Leder, Fabrizio, come molti birrai, si avvicina alla produzione di birra come homebrewer, viaggiando e approfondendo gli stili boemi, in alcuni birrifici di Praga, anche grazie al gemellaggio storico esistente tra Ledro e quella terra remota. Ancora oggi, cerca di recarsi ogni anno in Repubblica Ceca per approvvigionarsi dei luppoli locali, che integra poi con una parte coltivati in Trentino. Tra le birre oggi in forza a Leder, contiamo una netta prevalenza di basse fermentazioni, tutte eseguite con mano sicura. Tra le referenze in carta vi consiglio di provare la Ginevra, Bohemian Pils da 4° alc. leggera e beverina, che prende il nome dalla parte alta del paese di Pieve; la Cioch (tra le mie favorite), una Dunkel da 5° alc., ottima con formaggi e salumi, ispirata all’omonima località sulla via per salire alla Cima Oro; e la Honey Ale, una birra di Natale, prodotta con miele locale di rododendro e zenzero (8° alc.). Buone anche la Bügatina, Germal Pils molto classica e precisa, che prende il nome dall’omonima sorgente, situata a 1050 metri, lungo il sentiero che porta a Malga Saval e la Imperial, una Roggen-Weizen da cinque gradi alcolici, realizzata con orzo, frumento e segale. La pratica di fare birra con la segale è antica, ma per un certo tempo fu vietata in Germania a causa di uno sfortunato susseguirsi di pessimi raccolti, che nel sedicesimo secolo, convinsero le autorità a permettere l’uso della segale unicamente per la panificazione. E così le roggenbier uscirono di scena fino agli ultimi decenni del novecento. Finita la visita in birrificio, se avete un poco di tempo extra, concedetevi una mezza giornata di relax sul Lago di Ledro, ne vale la pena. 

Ad ogni modo il viaggio non finisce certo qui. Torniamo in direzione di Riva lungo la statale 240, per imboccare poi la panoramica strada statale 45 Bis, che costeggia il lago incrociando sul suo cammino borghi rigeneranti come Limone sul Garda e scenari mozzafiato come la Strada della Forra, all’altezza di Tremosine sul Garda, che merita senz’altro una sosta, con relativa deviazione. Si prosegue poi, sempre sulla 45 Bis, per circa cinquanta minuto fino a raggiungere il paese di San Felice di Benaco, seconda sosta birraria del nostro itinerario e vera perla del Garda, a soli 35 chilometri da Brescia e a due passi da Manerba e Salò. Fino al termine del medioevo il borgo portava il nome di “Scovolo”, da “scopolus”, cioè scoglio, a testimonianza della sua posizione su di un promontorio, poi denominato “Felice”. Proprio davanti a Felice, a largo di San Fermo si trova Isola del Garda, la più grande tra le isole del lago, abitata fin da tempi remoti. Un aneddoto curioso riguarda la cantante lirica Adelaide Malanotte, molto cara al poeta Ugo Foscolo e grande interprete delle opere di Rossini. Pare che avesse una liaison con Luigi Lechi, un conte bresciano proprietario dell’isola dal 1817 al 1860 e per questo visse qui a lungo. Immagino non fosse il tipo da colpi di scena quotidiani. Amori crepuscolari a parte, nel cuore del centro storico di San Felice di Benaco, in una corte un tempo adibita a cantina, ha sede il Birrificio Felice, fondato nel 2015 da  Giovanni Carattoni e Valerio Nolli, titolari e birrai, cui si affianca Nicholas Lanzi per gli aspetti commerciali e di comunicazione. Entrando si notano subito la volta del soffitto a mattoncini ed elementi architettonici della tradizione, che raccontano molto della storia di questo ambiente, utilizzato dalla nonna di Giovanni per conservare il vino, cosa che spiega anche la posizione interrata dei locali, oltreché la presenza delle botti. E proprio questi contenitori di legno furono galeotti, nel senso che rappresentarono la proverbiale folgore sulla via di Damasco per Giovanni, deciso a reinterpretare alcuni classici stili tedeschi a bassa fermentazione, impiegando proprio le botti per la maturazione delle birre. Un richiamo antico, capace di offrire oggi sensazioni nuove e originali. Oggi naturalmente le botti non sono più quelle “della nonna”, ma nuove barrique di rovere francese, sanificate ogni due anni. Ma andiamo con ordine: Giovanni e Valerio dopo parecchi anni di homebrewer, hanno deciso di fare il grande passo, affidandosi ad un impianto Az Inox da 550 litri. Cui si aggiungono un fermentatore da 10hl, per lavorare sempre in doppia cotta e la cantina con tre maturatori isobarici da 10hl, oltre alle già citate otto botti di legno da 550 litri ciascuna. Passando alle birre, tra le tante proposte vi segnalo la Vivaldi, una keller stagionale prodotta con il luppolo autoctono, la Birra delle Lucciole, una blanche atipica aromatizzata con bucce di limoni del lago e la Birra delle Erbe, un’interessante Amber Ale passata in botte, con bacche di ginepro e miele millefiori del Garda. Da provare anche la Ombretta, Iga della casa a fermentazione spontanea, prodotta con aggiunta di uve Trebbiano, Rebo e Riesling. L’uva viene aggiunta sia intera che come succo estratto e fermentato a parte, per poi essere incorporato al mosto di birra. La maturazione avviene  in botte, per circa un anno. Sempre in botte riposa anche la Rossella, Dunkel prodotta con malti Vienna e Monaco.

Dopo cotanti assaggi non guasterebbe un poco di riposo, ma il fiero beerlover non può cedere alla lassezza e deve intrepido procedere nella sua ricerca, con fare sicuro. Ci sia di conforto la bellezza del territorio e la breve distanza da percorrere fino alla prossima tappa, appena dieci minuti percorrendo la Strada Provinciale 39. Restiamo quindi nel comprensorio dei comuni della Valtesine, zona tra il lago e le colline moreniche, abitata fin dal tardo neolitico e luogo tanto piacevole in tempo di pace, quanto fu pericolosa negli anni di guerra. Sarà per questo che fin dal X secolo vi sono sorti castelli e torri, spesso eretti su antichi fortilizi romani, il cui sistema di valle trova fulcro nella fortezza di Manerba del Garda, borgo le cui origini si perdono nella nebbia. Leggenda vuole che che Manerba sia stata eretta in devozione alla dea Minerva, che venne a nascondersi in questa valle, vi piantò i suoi ulivi (di cui era protettrice) e insegnò molte delle sue arti alla popolazione locale. In suo onore fu costruito un tempio che però venne distrutto dai Barbari. L’abitato tuttavia non è conosciuto solo per le sue vicende remote, ma anche per un bel centro storico e importanti siti, come l’Isola San Biagio (o dei Conigli, o ancora Scoglio dell’Altare) e il Sito Palafitticolo San Sivino-Gabbiano, Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. Eppure, il motivo vero della nostra visita a Manerba non ha a che fare con tutto questo ben di Dio, ma riguarda più prosaicamente il Birrificio Manerba Brewery. La sosta in questo brewpub che oso definire storico, è obbligatoria. Infatti, da oltre vent’anni, a partire dal 1999 qui si producono birre che spaziano dalla tradizione tedesca ottimamente declinata a quella belga, con incursioni negli stili anglosassoni. Da un impianto progettato ad hoc dalla Kaspar Schultz di Bamberga escono referenze fisse e stagionali, oltre a numerose one shot, per lo più davvero interessanti e che vi invito a scoprire. Tra le mie preferite della linea classica ci sono sicuramente La Rocca, Triple di taglio moderno felicemente luppolata e attenuata; la Cucunera, Bock da 7 gradi ammostata in decozione, dal corpo rotondo e la beva facile e la The Belgian Queen, altra Triple ma più strutturata e complessa, con i suoi otto gradi alcolici e un naso piacevolmente fruttato con punte di spezie. Anche il “mondo luppolato” trova spazio in casa Manerba, con la Hop’n’Roll, un’APA figlia d’America, con i suoi coni profumati provenienti dall’Oregon (Villamette Valley) e dallo stato di New York (Yakima Valley). Bene anche la Hefeweizen da 5.1° alc. prodotta con malti Pils, Monaco, Cara Monaco e ben il 50% di malto di Frumento.  Se poi ci concediamo il tempo per rilassarci ed assaggiare almeno un paio birre in una location accogliente il cerchio si chiude. Ambiente bello e curato, con tanto legno e impianto a vista; terrazza estiva per eventi e musica live e pub grub a base di polletti, pizze impastate con la birra, casoncelli, carne salada, taglieri e molto altro. 

Una volta fatto il pieno è tempo di continuare il nostro anello del Garda lasciando Manerba e proseguendo fino al suggestivo abitato di Sirmione. Ricordo che ci capitai la prima volta alla fine degli anni ottanta, in una poderosa giornata di sole agostino. Faceva così caldo che mi sembrava impossibile immaginare le montagne che vedevo all’orizzonte. Eppure quando scorsi il castello sul lago, rimasi a bocca aperta. La luce estiva lo faceva sembrare bianco, come fosse di quarzo. Una rocca lucente in equilibrio sull’acqua. Sarà forse per questo ricordo, che sono poi rimasto legato a Sirmione e vi propongo oggi di visitare la sua penisola che si protende per quattro chilometri nelle acque del Garda, le Grotte di Catullo (sito bellissimo), il duecentesco Castello Scaligero e la chiesa di Santa Maria della Neve. Provate però anche a  cogliere i tanti scorci che regala questo luogo unico, e caso mai vi venisse sete, fate un salto alla Birrotega Beer Shop & Taproom, in Via Todeschino. 

Ciò detto ci avviamo verso la conclusione del nostro itinerario che, da Sirmione, raggiunge Peschiera del Garda, per poi dirigersi verso Castelnuovo del Garda e far rotta sulla SR450 fino ad Affi, conquistando così l’ingresso in Veneto, la terza Regione bagnata dal lago che incontriamo nel nostro viaggio, dopo Trentino e Lombardia. Poco fuori dal piccolo centro abitato, pare di origine longobarda, incontriamo un brewpub il cui motto si riassume così: “alta qualità, in quantità limitata”. Sto parlando naturalmente di Benaco70. Il progetto nasce nel 2013, quando Riccardo Costa ed Erica Zavi decidono di dimenticare le lauree in Enologia e Statistica per dedicarsi alla produzione di birra. Galeotto fu un kit da homebrewer che Erica regalò a Riccardo una decina di anni prima. Da lì in poi non si sono più fermati. I primi esperimenti, la passione e poi la scelta di mutarla in lavoro. Birre precise e grande attenzione alla pulizia di ambienti e prodotto, hanno contribuito a creare ben presto un’ottima reputazione a Benaco70. Nel 2017 l’upgrade del progetto con l’apertura del pub, dove è possibile gustare tutte le birre della casa, in abbinamento con un solido menu composto da taglieri, crostoni e panini. Sette le referenze sempre in carta. Tra queste segnalo la Brown Ale, ben tostata e caramellata di 4.5° alc., una Porter morbida dal finale giustamente secco e una Honey Ale, Belgian Strong Ale da 7 gradi con aggiunta di miele di castagno. C’è spazio anche per le basse fermentazioni, con una ottima Helles, beverina ed equilibrata e per una ben riuscita Blanche, realizzata con aggiunta di avena e aromatizzata con bergamotto in sostituzione del classico binomio coriandolo e buccia di arancia.

Bene, amici birrovaghi, anche questo viaggio è finito. Come ogni volta, ci salutiamo sapendo che c’è ancora molto da raccontare, motivo per cui torneremo sicuramente sul grande lago, che segna da sempre le vite di uomini diversi tra loro, storie scritte su binari paralleli che pure potevano vedersi, appena sbirciando le luci di un’altra sponda. E che qualche volta, hanno cambiato direzione e sono usciti da quei binari del destino, per provare a parlarsi e a bagnarsi nella stessa acqua, finalmente. Voglio chiudere idealmente il mio racconto dalla cima del Monte Baldo, il massiccio che fa la guardia al lago da tempo immemore, ricordando le parole di Henry David Thoreau: Un lago è il tratto più bello ed espressivo del paesaggio. È l’occhio della terra, a guardare nel quale l’osservatore misura la profondità della propria natura.