Growler, lattine, bag in box, riempitrici: come portarsi la birra a casa dal pub
L’anno che ci stiamo lasciando alle spalle ha richiesto a birrifici e pub di inventarsi nuove soluzioni per raggiungere i clienti, per restare in qualche modo attivi, per far sapere che nonostante tutto si era ancora vivi e soprattutto per racimolare qualche euro che permettesse per lo meno di pagare le spese vive. Lavorare sull’asporto o consegnare direttamente a casa del cliente l’ordine non è il mestiere del publican né quello del birraio, fatto sta che in questo frangente abbiamo fatto la conoscenza con nuovi strumenti e confezioni che sono serviti per farci arrivare nel migliore dei modi la nostra birra a domicilio, e questo prevede tecnica, conoscenza e mezzi.
Lattine
Per molti birrifici la panacea di tutti i mali è stata la lattina. Al di là di chi si era già organizzato in tempi non sospetti, in molti non hanno però investito in una macchina riempitrice di lattine. Alcuni si sono dotati di una semplice graffatrice, molti altri hanno approfittato di servizi esterni o sul posto, cioè hanno spedito i fusti per ricevere indietro il prodotto riconfezionato (e qui siamo ai limiti della legge) o hanno ricevuto la visita dell’”inlattinatore” che ha sostituito la normale linea di confezionamento con una riempitrice di lattine. La lattina, di per sé, è un ottimo contenitore, agile, leggero, resistente, facilmente etichettabile o serigrafabile con un bell’appeal dal punto di vista visivo, è totalmente al riparo dalla luce e tiene per molto più tempo la chiusura stagna rispetto a un tappo a corona. Quest’ultimo punto non vuole però dire che il prodotto sia al riparo dall’ossidazione. Per confezionare la birra in lattina in maniera ideale serve una macchina adeguata (con investimenti adeguati) ed è necessario lavorare in birrificio alla perfezione: anzitutto non si rifermenta o al massimo si effettua una rifermentazione molto leggera, ma in ogni caso l’ossigeno presente nella birra deve essere veramente minimo. Il problema non è solo il carico di ossigeno che si crea durante la fase di riempimento ma quello che ci si porta dietro dalle varie fasi di lavorazione. Chi non è dotato di ossimetro ha difficoltà a controllare il processo. Tirando le somme si sono trovate sul mercato alcune birre di produttori già votati all’isobarico o comunque organizzati per farlo, che rasentavano la perfezione, permettendo una bevuta a casa – al netto della capacità di versare correttamente nel bicchiere – come al pub. Il rovescio della medaglia sono invece state le tante birre con ossidazioni fuori controllo e un risultato nel bicchiere decisamente deludente. In molti casi veniva da pensare che sarebbe stato meglio farlo fare il confezionamento direttamente al pub, con scadenza il giorno stesso. Infatti anche i publican si sono cimentati nell’inlattinamento per offrire un servizio a domicilio, affidandosi a macchine dotate di un sistema di evacuazione di aria e insufflaggio di abbondante anidride carbonica, e di una aggraffatrice che pieghi e sigilli il bordo superiore rapidamente appena terminato il riempimento.
Fustini
Una soluzione più semplice l’hanno trovata alcuni birrifici che hanno riempito dei piccoli fusti con all’interno una sacca, in pratica dei piccoli keykeg da 3 o 5 litri. Dimensioni agili adatte ad un consumo domestico e la possibilità di spillarsi qualche birra, staccare il fusto dal supporto dotato di rubinetto spina e rimettere il fustino in frigo, senza caricare aria nella birra: la pompetta presente nel supporto serve a comprimere la sacca e non inserisce aria nella birra ma solo tra il fusto e la sacca. Con questo sistema il birrificio può procedere come di consueto fa per i fusti, può scegliere se rifermentare o optare per un confezionamento in contropressione, mentre il cliente può acquistare la sola base (con il rubinetto e la pompetta) e poi cambiare di volta in volta il fustino usa e getta. Soprattutto il fustino da 3 litri si può comodamente adagiare in frigorifero e conservare a lungo. Questo autunno purtroppo si è inceppato qualcosa nella consegna dei sostegni e questo ha messo in difficoltà i birrifici che avevano puntato su questo sistema. Discorso a parte per i fustini senza sacca, con rubinetto riutilizzabile previo cambio della fiala di gas, che hanno sempre fatto un po’ di fatica ad affermarsi: la birra va consumata rapidamente, è difficile regolare la pressione e generalmente sono utilizzati dalle birre industriali. Anche le lattine da 5 litri a caduta, con problematiche varie, non hanno mai trovato grandissimo riscontro, hanno un loro mercato ma di nicchia e pochi birrifici lo hanno adottato in questo periodo.
Bag in box
Anche il bag in box, la sacca di polietilene con rubinetto che viene poi inserita in un cartone,non è esente da problemi. Il primo e più importante è che anche i modelli più resistenti reggono basse pressioni. Nettamente inferiori a quelle della stragrande maggioranza delle birre. Quindi quando si inserisce il prodotto si deve essere sicuri che sia “piatto” – e infatti è usato spesso dai produttori di Lambic per confezionarvi il prodotto base, che è appunto rigorosamente piatto – e per un consumo rapido, prima che una eventuale rifermentazione possa avere atto, soprattutto se viene conservato fuori frigo, anche per pochi giorni. È usato nel mondo del vino e normalmente il prodotto viene microfiltrato prima di essere confezionato proprio per evitare carbonazioni non volute col passare del tempo. Esiste anche un forte rischio di ossidazione, in fase di confezionamento e poi col passare del tempo. Fortunatamente ha anche dei vantaggi: la conservazione del prodotto – se ben confezionato – è notevole, i materiali utilizzati sono riciclabili, pesa poco, il cartone protegge dalla luce.
C’è però un altro punto che allarma non poco visto che capita spesso di andare nelle rivendite di vino sfuso e vedere riempire manualmente il Bag in Box. Pochi sanno che questa procedura è illegale in quanto per imbottigliare bisogna avere un’apposita licenza che normalmente ce l’hanno solamente le cantine e gli imbottigliatori. Per la birra, come spesso accade, mancano le leggi e i disciplinari, ma ricondizionare un prodotto ad accisa assolta è vietato. Le soluzioni sono due. La prima e più semplice è vendere il prodotto aperto, senza sigillo, quindi vanno bene i tappi meccanici e, nel caso di bag in box, al netto delle problematiche segnalate sopra, occorre togliere il sigillo del rubinetto. La seconda soluzione è svolgere le pratiche all’ufficio dogane – per la parte che riguarda le accise – e all’ASL di competenza per il confezionamento, con conseguente compilazione dell’HACCP e del sottostare a tutte le regole igieniche previste, le stesse di un birrificio in sostanza.
Growler
Nel momento in cui il publican non può esibirsi nel suo campo d’elezione ma deve in pratica fare a ritroso il lavoro del birrificio sorgono alcune problematiche. Per un risultato ottimale difficilmente la linea di rubinetti classica è adatta a riempire una bottiglia o una lattina. L’imperativo è quello di evitare di “spaccare” la CO2, ma potrebbe anche non bastare. Per esempio i rubinetti senza freno, must di molti publican, non sono adatti. In sostanza occorre investire qualche centinaio di euro per dei rubinetti destinati a riempire una bottiglia in contropressione oppure bilanciare alla perfezione tutta la linea per ottenere la corretta gasatura nella bottiglia. A questo punto si passa alla chiusura e il tempo che passa tra riempimento e questa fase è fondamentale per evitare ossidazioni precoci e dispersioni di CO2. Il tutto per avere un contenitore con scadenza il giorno stesso, anche se alcuni hanno fatto esperimenti e le birre tengono anche per alcuni giorni, se opportunamente conservate. Il growler in pratica è un intermediario tra il bancone del pub e il bicchiere del cliente, a casa sua. Per mescere la birra dentro una bottiglia si dovrebbero considerare la pressione del fusto, quella della linea e così via, in modo da lasciare una gasatura lievemente più alta rispetto a quanto si farebbe normalmente. Insomma con un po’ di accorgimenti e di studio permettono al cliente di godere a casa di una birra come al pub o quasi.
Il termine growler non identifica precisamente la tecnica di riempimento (teoricamente possono essere riempiti anche in contropressione da fusto, con pistola e opportune guarnizioni a tenuta), ma si intende generalmente il contenitore (vetro o anche plastica alimentare) riempito alla spina. C’è chi al posto del vetro preferisce le bottiglie in PET, perché si chiudono bene, rapidamente, e sono leggere e infrangibili per un trasporto sicuro. Altri usano i bottiglioni da latte, con il tappo largo, facili da trovare, economici per essere in vetro, particolarmente comodi da riempire. In alcuni casi si sono usate bottiglie classiche in vetro color marrone, probabilmente qualcuno ha anche riciclato delle bottiglie. Altri ancora usano il classico bottiglione da litro o litro e mezzo con tappo meccanico e guarnizione in gomma alimentare. Questi ultimi due sono anche, previo sanificazione, facilmente riutilizzabili e il tappo meccanico, col cambio di guarnizione o dell’intero tappo, possono durare molto a lungo.
Riempitrici
Due sono i sistemi più diffusi per limitare l’inserimento dell’ossigeno durante le fasi di confezionamento. Alcuni pub hanno fatto la conoscenza della pistola riempitrice: si tratta di un imbottigliamento dove il prelievo della birra carbonata avviene direttamente dal tubo in uscita attaccato sul fusto, mentre la bottiglia, tramite una pistola con valvole di controllo entrata/uscita gas viene svuotata prima dell’aria e riempita da anidride carbonica per ridurre al minimo le possibili ossidazioni, prima di far passare birra.
Diffuso anche iTap che invece è un sistema che viene direttamente applicato al posto di un rubinetto su un banco spine e prevede una capsula che abbraccia il collo della bottiglia (senza bisogno di una pistola riempitrice), da cui cola birra sulle pareti della bottiglia dopo che cicli di evacuazione di aria rimpiazzata da anidride carbonica portano il rischio di ossidazioni a livelli molto bassi.