AAA luppolo italiano cercasi
La produzione del luppolo insieme a quella del malto è senza dubbio una delle sfide più interessanti che il mondo della birra artigianale italiana andrà ad affrontare nei prossimi anni. Le prime coltivazioni sperimentali hanno iniziato a dare risultati che possono essere considerati in molti casi più che soddisfacenti, si pensi a tal proposito all’importante coltivazione portata avanti da Baladin a Cussanio (Cn) e il cui risultato è in gran parte utilizzato per produrre la Nazionale, o a quanto fatto, in dimensioni più ridotte ma comunque significative, da San Paolo sulle colline tra Piemonte e Liguria o, ancora, a quanto avviene in molti dei birrifici agricoli che punteggiano con sempre maggior frequenza la penisola.
Il luppolo forse ancora più del malto, potrebbe diventare l’elemento di maggiore caratterizzazione della produzione brassicola italiana. L’ingrediente che, in altri termini, consentirebbe a tutto il mondo di identificare una birra come proveniente dalla nostra nazione o con un carattere spiccatamente italiano anche senza conoscerne in anticipo la provenienza. Nulla di nuovo in realtà. Basta infatti pensare a come proprio il luppolo sia stato in questi ultimi anni – prima degli utilizzi di botti e vino, delle collaborazioni e delle one shot –, e in buona parte continui a essere, il vero propulsore di novità. Gli ultimi periodi di produzione birraria artigianale potrebbero, volendosi spingere ad una classificazione simile a quella che si fa per cicloni e anticicloni, o ancora meglio, con le ere preistoriche, essere nominati con i luppoli che li hanno contraddistinti. Quindi avremo cascade, nelson sauvin, citra, motueka e così via. E anche in questo momento molto probabilmente un luppolo sta comparendo sul mercato.
Ma produrre un luppolo italiano non significherebbe semplice entrare in questo turbinio di nomi e di profumi. Anzi molto probabilmente avrebbe poco a che fare con tutto ciò. Il significato di una produzione italiana di questa pianta sarebbe importante perché darebbe alla nostra produzione una dimensione ancora più fortemente radicata al proprio territorio (come lo sarebbe per il malto) e uno spettro aromatico unico senza dover ricorrere a erbe, frutta o altro. Uno degli aspetti più interessanti di questo lavoro sarebbe andare a vedere come le diverse varietà si possano adattare alle varie situazioni pedoclimatiche che la nostra penisola può mettere a disposizione. Come tutte le altre piante (e forse anche più di altre), infatti, il luppolo ha la capacità di adattarsi a nuovi climi e a nuovi terreni modificando i propri aromi e la propria composizione. Se non bastasse quanto si è visto storicamente con il luppolo stesso, per rendersi conto dell’importanza di clima e terreno su una pianta basta analizzare come una varietà di uva molto comune come lo chardonnay riesca a esprimersi in forme tanto diverse a seconda che sia coltivata in Trentino, o in Piemonte o ancora in Sicilia. Pensiamo quindi se la stessa cosa avvenisse con il cascade o con qualsiasi altra varietà, potremmo avere caratteristiche non solo differenti per provenienza nazionale ma addirittura regionale.
Non si colgono quindi, almeno apparentemente, i limiti a una diffusione più estesa di coltivazioni di luppolo. Inoltre le recenti notizie su una sempre maggiore difficoltà nel reperimento di luppolo dalle nazioni produttrici (le varietà più utilizzate vanno ormai prenotate con mesi d’anticipo) avvalora la posizione di chi ritenga urgente e necessario lanciarsi su questo nuovo fronte. Una produzione nazionale consentirebbe di porre un argine per i prossimi anni all’emergenza e limiterebbe le possibilità di trovarsi senza una delle materie prime fondamentali. Inoltre il bacino d’utenza è ormai sufficientemente ampio per prevedere un consumo pressoché totale del luppolo eventualmente prodotto. Certamente ciò che si andrebbe a ottenere non sarebbe lo stesso prodotto utilizzato per anni e quindi in molti casi le ricette andrebbero riviste almeno in parte, ma ciò non necessariamente è un aspetto negativo.
Un legame più profondo con la terra e con la produzione agricola è inoltre un passaggio auspicabile e che porterebbe il movimento a una maturità piena. Certo la coltivazione in larga scala del luppolo comporta delle difficoltà non trascurabili sia a livello tecnico che a livello di investimento economico. Ma con un’agricoltura sempre più in crisi e che cede i propri terreni per l’installazione di pannelli fotovoltaici rinunciando così alla propria naturale vocazione, nuovi stimoli provenienti da un settore in forte crescita e ricco di idee non possono che essere visti con forte speranza. Per fare ciò sarebbe però bene che si passasse da un modello tipicamente italiano, riassumibile con la formula “ognuno pensi a se stesso”, a uno più moderno che veda l’impegno di tutti, per condurre una sperimentazione prima, e una coltivazione poi, che possano essere utili non solo al singolo produttore ma a tutto il movimento. Servirebbe, e ahinoi, non solo parlando di luppolo, ma qui si sta ragionando di questo, una maggior spinta del mondo brassicolo artigianale italiano, a fare sistema. Come si può pensare di analizzare fino in fondo il problema se ognuno va per la propria strada? Anche i birrifici più strutturati e che comunque in questo settore stanno facendo passi da gigante potrebbero trarre enorme giovamento da una sperimentazione condotta in modo più capillare e su tutto il territorio nazionale, capendo per esempio quali varietà si adattano meglio al nord e quali al sud, su quali si può fare affidamento per l’apporto aromatico e su quali per l’amaro e così via. In tempi di crisi nuove idee e nuovi stimoli possono essere un volano di grandissima portata per ripartire, al quale rinunciare sarebbe un peccato troppo grande per essere contemplato. Chi solo cinquant’anni fa avesse pensato che in Franciacorta potesse fare più gola un campo di vite che un bel capannone sarebbe stato preso per folle. Le cronache ci dicono che il folle non era chi investiva in natura.
Articolo di Eugenio Signoroni
tratto da Fermento Birra Magazine n. 5
QUOTO…”Per fare ciò sarebbe però bene che si passasse da un modello tipicamente italiano, riassumibile con la formula “ognuno pensi a se stesso”, a uno più moderno che veda l’impegno di tutti[…]Servirebbe, e ahinoi, non solo parlando di luppolo, ma qui si sta ragionando di questo, una maggior spinta del mondo brassicolo artigianale italiano, a fare sistema[…]”
come non essere d’accordo…proprio per questo è stata da pochi mesi fondata l’Associazione Italiana Luppolo (www.luppolo.org), un’associazione no-profit che vuole proprio fare sistema ed evitare che ognuno pensi per se stesso…noi siamo qui aperti al confronto con tutti!!!
Michele Bessone
Pres. Associazione Italiana Luppolo
Salve,
Sarei interessato ad avviare un luppoleto, quali specie mi consigliate di piantare, quali sono le più richieste? Grazie mille.
Valentino.