Real Ale, passato e futuro della birra inglese

Quando pensiamo all’Inghilterra birraria l’immagine va sicuramente a una pinta piena fino all’orlo (e oltre), con una minima traccia di schiuma, di una birra ambrata, di basso grado alcolico, servita da una handpump in uno storico pub. Probabilmente si tratterà di una bitter e tradizionalmente sarà cask-conditioned. In altri termini una real ale, termine coniato agli inizi degli anni ‘70 dal Camra, acronimo che sta per Campaign for Real Ale. In quel periodo storico la birra tradizionale inglese era a serio rischio, minacciata (come lo è in realtà ancora oggi) dai prodotti industriali spinti dai marketing milionari delle multinazionali.

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In tutti questi anni il Camra, che oggi conta più di 160 mila membri, ha fatto un lavoro monumentale per la tutela e la promozione delle real ale e dei pub tradizionali, e non si può analizzare la scena birraria del Regno Unito senza partire proprio da quest’associazione nata nel lontano 1971, anno in cui, per ricordare quanto buio il periodo birrario fosse, negli Stati Uniti d’America c’erano, compresi gli industriali, soltanto 133 birrifici (2.822 gli impianti nel 2013). Dagli anni ’70 ad oggi molto è cambiato, lo scenario della birra è completamente diverso, ma la real ale rimane senza alcun dubbio un grande classico, uno di quei fondamentali da cui un bravo appassionato non dovrebbe prescindere.

reale aleLa partenza è un ammostamento single-step (in sostituzione dei continentali infusione e decozione), cui segue un’alta fermentazione – il termine ale è usato sovente come sinonimo stesso di alta fermentazione, contrapposto a lager per le basse e a lambic per le spontanee – tradizionalmente in vasche aperte, ancora oggi molto diffuse nei birrifici del Regno Unito. La fermentazione aperta non è in realtà una prerogativa soltanto inglese: tanto per fare due grandi nomi tedeschi, tutte le Schneider (ad alta fermentazione) e tutte le Schönram (a bassa) sono fermentate in questa maniera. Certamente molto particolare rispetto alle altre birre, invece, è la strada che la real ale prende dalla fine della fermentazione in avanti; quello che cambia drasticamente è infatti il modo in cui vengono gestiti maturazione e confezionamento. Il sistema inglese è un metodo molto semplice per far arrivare la birra al pub (e quindi all’assetato bevitore) nel minor tempo possibile. In qualche caso la maturazione è talmente breve da non poter essere considerata più che un semplice travaso; la birra entra nel cask praticamente verde e completa la sua maturazione nella cantina del locale, motivo per cui il ruolo del cellar manager è fondamentale nei pub di Sua Maestà. Durante l’infustamento sono aggiunti chiarificanti (finings in inglese) che trascinano il lievito sul fondo del cask, rendendo la birra piuttosto limpida nel giro di poche ore (la limpidezza è un aspetto importante per i bevitori inglesi, così come lo è per quelli tedeschi, mentre – al contrario – è decisamente poco significativa per i belgi).

camra reale ale

Il servizio è affidato a pompe meccaniche, che non prevedono utilizzo di gas aggiunti (la CO2 è bandita dal Camra, anche se esistono sistemi non “ortodossi” che la prevedono): per questo motivo la birra contenuta nel cask subisce un lento, ma progressivo, processo di trasformazione (principalmente ossidazione) che rende una ale tradizionale un prodotto piuttosto fragile e difficile da gestire. Si tratta però di un processo unico, in grado se ben gestito di offrire birre straordinarie, il cui piacere di bevuta è difficilmente battibile. Birre che interpretano alla perfezione il concetto di session beer, in cui gradazione e gasatura bassa, unite ad una bella personalità di malti e luppoli, rendono le ale perfette per accompagnare una serata di chiacchiere. Come detto però si tratta anche di un metodo che, in tutta la sua catena, ha tanti anelli deboli: dalle condizioni di pulizia di alcuni birrifici (visitare per credere) alla non perfetta gestione del fusto in cantina, passando per la giusta rotazione dei cask e ancora la pulizia degli impianti (non tutti i publican sono coscienziosi e/o preparati come dovrebbero). E quindi purtroppo può succedere – ahimè, nemmeno tanto raramente – di trovarsi in pub meravigliosi che sembrano usciti da un libro di architettura, perfetti nei loro arredi, nell’atmosfera, ma dal cui bellissimo bancone escono birre inammissibili, piatte non solo nella gasatura ma anche nel gusto, con olfatti impresentabili (ben oltre il necessario livello di tolleranza delle territoriali “meravigliose puzzette”, come le chiama Kuaska), che sinceramente non si riescono a bere. Causa sicuramente di cattiva gestione del pub, ma anche di immobilismo di molti birrai, che si sono fossilizzati su vecchi stili e vecchie materie prime, di fatto non considerando che il mondo della birra sta cambiando e che – conseguentemente – cambiano anche i gusti dei bevitori.

magic rockPer fortuna esistono molte eccezioni e ci sono, nel Regno Unito, tanti birrifici che producono cask ale decisamente interessanti e “moderne” nei contenuti, magari con luppoli esotici o che s’ispirano a stili più innovativi. Birrifici come Beavertown, Buxton, Magic Rock, Moor, Redemption e Wild Beers, tanto per fare qualche nome, stanno tenendo decisamente alto lo Union Jack birrario, e dovrebbero essere presi ad esempio da numerose altre aziende che invece sembrano non accorgersi della (rapidissima) evoluzione che il mondo della birra – spinto soprattutto dal fenomeno “craft” americano – sta vivendo negli ultimi decenni. Sono i birrifici che troverete, magari assieme ad una bella selezione di birre artigianali d’importazione, comprese le italiane, nei “nuovi” pub inglesi (ne stanno crescendo moltissimi) come il bellissimo Southampton Arms o la catena dei Craft Beer Co., o ancora il piccolissimo The Rake tanto per fare tre nomi lon- dinesi. Interessante, a riprova di quanto detto, andare a spulciare il medagliere dell’edizione 2014 della World Beer Cup: i birrifici del Regno Unito si sono distinti nelle categorie Fruit Wheat Beer (oro e argento), International-Style Lager (bronzo), Belgian-Style Witbier (bronzo) e English-Style Summer Ale (argento). Se escludiamo l’ultimo argento – vinto peraltro dall’innovativo Thornbridge con una birra, la Wild Swan, che tradizionale non si può certo definire – non stiamo esattamente parlando di stili classici inglesi! Questa dicotomia tra vecchio e nuovo, tra il tradizionalista (e, purtroppo, immobilista) Camra e i nuovi, irriverenti, birrifici è ottimamente sintetizzata da una violenta po- lemica che scoppiò nel 2011, quando il Great British Beer Festival organizzato dal Camra negò, aggrappandosi ad un cavillo, la partecipazione al ben noto BrewDog (in questo numero troverete l’interessante post pubblicato da BrewDog, che affronta la contrapposizione tra real ale come la intende il Camra e craft beer come la intende invece la Brewers Association).

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Personalmente ritengo che la verità stia più o meno nel mezzo. Certa- mente il Camra sta rischiando di perdere gran parte della sua credibilità (se non l’ha già fatto: per molti rappresenta semplicemente il passato), arroccandosi in difesa di un mondo che non esiste più e rifiutando di prendere atto che lo scenario è completamente cambiato dagli anni ’70 ad oggi. Dall’altra i birrifici innovativi, dinamici, che spesso preferiscono i keg ai cask e che vanno sempre alla ricerca di birre di rottura, in grado di stupire e colpire i consumatori, non dovrebbero mai dimenticare che la cask ale e gli stili classici inglesi sono un patrimonio dell’umanità che non deve essere perduto. La convergenza di questi opposti non è impossibile, anzi, forse è proprio il futuro dei birrifici anglosassoni. Faccio un esempio, uno solo, ma che penso chia- risca bene per chi l’ha già bevuta: la Revival di Moor, una birra da 3,8 gradi alcolici che si fonda sulle doti di equi- librio, basso grado alcolico e gasatura leggera delle ale tradizionali (che le donano spiccate doti session), ma che adotta un innovativo – rispetto ai classici ambrati – e moderno colore chiaro (nella ricetta viene utilizzato anche malto pils e malto di frumento) ricorrendo inoltre a luppoli americani, che le donano grande freschezza e il giusto brio olfattivo. Una birra stupenda, che rappresenta bene quello che potrebbe essere il futuro birrario del Regno Unito. Come viene definita in etichetta dallo stesso produttore: a modern classic!

Articolo apparso su Fermento Birra Magazine