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Stone Brewing evolution: intervista a Greg Koch

Partiamo dai diversi aspetti del “fare business”, cosa che qui in Italia ha in genere un approccio più romantico rispetto ad altri paesi. Voi siete cresciuti molto velocemente: che strategia avete adottato per un’espansione così forte anche in Europa?
In realtà non si è trattato di una vera e propria strategia mirata. La nostra filosofia deriva dal fare quello in cui crediamo: io resto prima di tutto un beer geek, lo sono diventato una volta scoperte le birre artigianali negli anni Novanta, e quello che abbiamo realizzato nel tempo non ha mai tradito questo approccio di partenza.

greg coch

Voi siete un grande birrificio: avete anche due ristoranti, uno dei quali con un magnifico giardino, un’azienda agricola di proprietà ed ora state cominciando la vostra avventura con un nuovo birrificio a Berlino e uno nella Est Coast.
Tutto è sempre stato una nostra naturale evoluzione. Abbiamo passato i primi dieci anni a dedicarci solo alla birra, fino a quando abbiamo aperto il ristorante, nel quale abbiamo messo la stessa creatività che utilizziamo nell’ideare le nostre etichette. Per nove anni ho lavorato in un anonimo capannone di cemento, decisamente poco attraente, e guardando fuori dalla finestra sognavo di potermi un giorno sedere all’aperto in uno splendido pomeriggio del sud della California e godermi una birra. Ma non si poteva, perché le leggi USA sul dove consumare alcolici sono molto restrittive. Quando abbiamo costruito il ristorante ho così pensato al giardino. Credo di essermi sfogato e di aver super-compensato quei quasi dieci anni di reclusione. Quello che volevamo era costruire una struttura in cui le persone potessero gustarsi una birra nel miglior maniera possibile: con gli amici e la famiglia, magari mangiando qualcosa di buono e godendosi un po’ di natura.

stone ipaSperimentare e valicare i limiti sono elementi connaturati alla filosofia di Stone. Come sta cambiando il mercato a fronte di questa tendenza focalizzata sul produrre sempre qualcosa di nuovo? C’è il rischio che si crei un esercito di bevitori incapaci di bere due volte le stesse birre?
Credo di sì. A volte definiamo questa categoria come “tickers”, una piccola ma molto rumorosa percentuale di consumatori. Penso che per loro scoprire birre nuove sia più una sorta di hobby che qualcosa legato all’amore per il prodotto. Io stesso non bevo sempre le stesse birre, mi piace berne di nuove e sconosciute, ma non sento la necessità di provare necessariamente sempre qualcosa di diverso.

Cosa è cambiato nel panorama artigianale americano nel corso dei vostri quasi vent’anni di attività?
Il cambiamento più grande riguarda la crescita esponenziale del numero dei birrifici. Quando abbiamo aperto noi ne apriva uno nuovo ogni settimana, adesso siamo a quasi 1,5 al giorno… Ma tengo a precisare che per me ogni new entry è una buona cosa!

stone six packPer voi la collaborazione con altre realtà è molto importante, forse siete il birrificio più “collaborativo” al mondo! Sono sempre rose e fiori?
Bhe, non è sempre facile. Negli USA siamo stati bravi a non darci addosso l’uno con l’altro, anche se ogni tanto accade: in fin dei conti ci sono 3.000 birrifici, e dunque non sempre si viene trattati con il rispetto che si spererebbe. Anche qui in Italia ho visto un bell’ambiente: l’altra sera ero all’Open Torino e c’erano anche Teo [Musso] e Leo [Di Vincenzo] e Sam Calagione [Dogfish Head] che qualche anno fa hanno collaborato tra loro. Noi stessi collaboreremo di nuovo con Baladin a Berlino. Penso che chi è effettivamente “collaborativo” difficilmente agisca alle spalle dei colleghi, anzi, è portato a supportarli. Io ho sempre avuto questa filosofia: se ti concentri sulle cose positive, se cerchi sempre di svolgere al meglio il tuo lavoro senza cercare di sminuire quello altrui, allora avrai più successo. È un concetto semplice. Spesso le persone più negative, quelle più arrabbiate, che magari tendono a screditare gli altri, non hanno successo per il semplice fatto che il loro stesso modo di agire glielo impedisce. Penso che questo valga per la vita in generale. Bisogna chiedersi: che tipo di collega vuoi essere?

Veniamo all’Europa: qui c’è tanta attività, ci sono molti birrifici che oscillano fra tradizione e innovazione, ma voi avete comunque deciso di aprire qui uno stabilimento. Quale credete possa essere il vostro contributo?
Credo che il nostro obiettivo sia quello di aiutare i consumatori europei a cambiare le loro aspettative sulla birra. Del resto è quello che abbiamo fatto e facciamo negli USA: dare alle persone la libertà di scegliere, di conoscere e godersi grandi birre, “liberarli dalle catene delle basse aspettative”. In molti ancora quando pensano alle birre si riferiscono ai prodotti industriali: ecco, noi vogliamo aiutarli a capire che possono avere molto di più, che possono scegliere tra birre migliori. Abbiamo avuto un’ottima risposta dai microbirrifici europei e tedeschi in particolare proprio perché hanno capito che noi saremo principalmente una voce che si unisce al coro dei produttori artigianali in questa missione. Continuo a essere molto eccitato dal cominciare a brassare in Europa. Mi sento davvero un Eurofilo. Durante il mio anno sabbatico ho passato molto tempo in Piemonte, andando in bici sulle colline e mangiando in piccoli ristoranti, e ho avuto la possibilità di godere della connessione ancora forte con il territorio, di rilassarmi provando un ritmo di vita meno frenetico. L’idea di poter condividere le nostre birre con sempre più persone in diverse parti del mondo è qualcosa che mi stimola. Adoro l’ambiente della birra artigianale che si è creato in Europa. La prima volta che sono andato al Salone del gusto era il 2000: è in quell’occasione che ho conosciuto alcuni birrai italiani. Da lì mi è sempre rimasta la voglia di tornare e vedere come stavano e come andava il loro lavoro, se fossero davvero riusciti a cambiare le aspettative della gente nei confronti della birra. Vederli crescere è stato molto bello. Adoro vedere i miei amici riuscire in quello che fanno, poter godere delle loro capacità è qualcosa che nutre la mia anima e la mia passione. Può essere che decida di ritirarmi in Piemonte, anche se ci sono molte regioni d’Italia che ancora non ho visto. In questo senso questo è un altro vantaggio di Berlino: da lì viaggiare per l’Europa sarà molto più comodo!

nuova apertura stone berlino

E con il luppolo? Come farete a procurarvi tutto quello che utilizzate, considerando che qui l’approvigionamento delle varietà americane è spesso un problema?
Abbiamo contratti con i produttori di luppolo che ci garantiscono le nostre scorte, dunque siamo tutelati anche contro le eventuali carestie. Questa è una cosa che consiglio di fare a tutti i piccoli birrifici: stipulare accordi con i fornitori in modo da prevenire il mercato. Ovviamente c’è anche il retro della medaglia: noi dobbiamo pagare comunque la merce, anche se finiamo per non usarla, ma fa parte del gioco.

Quali sono secondo te le principali differenze tra Stati Uniti ed Europa, e cosa ti piace di più di ciascuna realtà?
Quello che mi piace di più degli USA è come la birra artigianale sia accessibile a tutti. Si può trovare in tantissimi posti, dal minimarket sotto casa alla drogheria, dal bar al ristorante, spesso con un’ottima scelta e a prezzi minori che in Europa. Mi piace anche il “six pack style”, inteso come approccio meno formale al prodotto, più rilassato. Dell’Italia adoro la vena artistica e creativa che hanno i birrai, sia nelle birre che nelle bottiglie, mentre degli artigiani tedeschi apprezzo il rigore e la precisione.

Parlando delle fisiologiche differenze tra i consumatori, come vi muoverete nel variegatissimo panorama europeo?
Ci sono in effetti tante differenze all’interno dell’Europa, ma al di là di questo so che non cambieremo il nostro approccio, per due motivi. Il primo è che comunque ci sarebbe troppo lavoro da fare per adattarsi ai diversi Paesi; il secondo, che è poi quello principale, è che sempre e comunque vogliamo esprimere noi stessi e il modo in cui ci piace fare birra: saranno gli altri a decidere se sceglierci oppure no! Mi succede spesso quando visito dei piccoli birrifici in Europa, ma anche negli USA, che i birrai mi parlino delle birre che vorrebbero realizzare ma che non producono perché il loro mercato chiede qualcosa di diverso. Di solito a questo punto io domando: perché non le fate e lasciate semplicemente che siano loro a scegliere? Non brassandole state decidendo voi per loro, e per me è strano. Molti birrai tedeschi ad esempio mi hanno detto quanto amino stili come IPA e Double IPA, e quando ho chiesto loro perché non le producessero mi hanno sempre borbottato sconvolti: “oh no, non posso”, “la gente non capirebbe”, “qui è impossibile”. Personalmente ho sempre creduto che nessuno possa decidere cosa debba o non debba piacere agli altri: l’unica cosa che possiamo fare è lavorare al meglio e lasciare che siano gli altri a prendere posizione.

Quale sarà la nuova “big thing” del mercato birrario dopo IPA, botti e Brett?
È difficile dirlo. Credo che ora in USA le IPA siano lo stile che comanda sia come ampiezza che a livello di vendite. C’è una specie di barzelletta che dice: prendi una qualunque birra che fai, aggiungi un po’ di luppolo e ottieni una bella IPA, trasformando magari la tua Malt Brown Ale in una Malt Brown Ale IPA o una Sour IPA. Tornando alla domanda penso che la prossima “big thing” sarà il continuare a comprendere e godersi l’intero range degli stili: si comincia ad esempio a consumare birre più scure, c’è ancora un po’ di timore ma sempre più consumatori cercano tipologie come Brown Ale, Black IPA o Stout.

bicchiere stoneCosa ci dici invece delle birre italiane negli USA? Fa riflettere pensare che con la varietà che avete ci sia un mercato anche per i nostri i prodotti, che per voi devono inoltre risultare molto costosi visto che partono con prezzi già alti per i vostri standard.
Credo che la loro diffusione si debba in parte ascrivere alla voglia di provare cose nuove. Ovviamente non sono le IPA lo stile che importiamo di più, ma ispirazioni diverse come quelle proposte fra gli altri da Baladin o Loverbeer, prodotti differenti dalle tipologie tipiche degli Stati Uniti che risultano come un qualcosa di più esotico e particolare. Lo stesso discorso vale ad esempi per Brewdog, di cui è più facile trovare le etichette che maggiormente si allontano dallo standard americano.

Cosa diresti ad un giovane che in Italia volesse aprire un birrificio?
Adoro il modo in cui i birrai italiani concepiscono il loro lavoro, e il consiglio più prezioso credo sia “segui il tuo cuore”: segui il tuo gusto artistico, la tua Musa, segui l’idea che hai sul modo di realizzare la tua birra, perché brassare è un’arte e la sua migliore espressione è quella dettata dalla propria ispirazione. Non si può farlo seguendo l’appeal che essa può o meno avere per un particolare gruppo di persone. In questo gli artigiani italiani sono bravissimi, i tedeschi ad esempio lo sono meno perché si limitano spesso a seguire le regole,

In passato la mancanza di conoscenza faceva pensare che nel brassare ci fosse qualche cosa di magico: con tutte le informazioni che abbiamo oggi pensi ci sia ancora posto per la magia in questo mondo?
Certamente, almeno finché uno non decida di toglierla come ad esempio fa l’industria, che la sostituisce con procedure standardizzate. Ma se lasci che la magia “accada”, allora raggiungi la bellezza. Penso che anche questa sia una metafora della vita: ci può essere magia in un piatto stupendamente preparato, ma allo stesso tempo esistono i fast food, dove tutto è razionalizzato e disincantato. Dunque sì, se non sei tu a toglierla, a strapparla via, allora sì che la magia esiste!