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Parti-gyle: conoscere e praticare la tecnica di ammostamento inglese

Le peculiarità di una cultura birraria non riguardano solo il concetto di stile o di mescita, ma anche una serie di accortezze in fase produttiva. Siamo abituati a pensare che ci sia un layout standard per produrre birra, probabilmente perché con la Reinassance americana si sono gettate le basi per un paradigma produttivo che poi sarebbe diventato universale: l’ammostamento si compie in multi-step, si opera uno sparge delle trebbie, si fa durare la bollitura 60 minuti e così via. Ma non è da sempre così e in qualche caso continua a esserci qualche modo non convenzionale di produzione, sia a livello commerciale che in ambito casalingo.

È tanto affascinante quanto trascurata e sottovalutata una tecnica utilizzata nel mondo inglese soprattutto a partire dal 1800 circa fino quasi ai giorni nostri (non ancora scomparsa) chiamata parti-gyle. Il termine è composto da due parole: “parti” sta per partial, mentre “gyle” è un termine che potremmo accostare a mash, quindi a quella che chiamiamo cotta. La tecnica consiste nel ricavare da una singola cotta due o più birre di diversa densità e si applica soprattutto quando si deve produrre una birra molto alcolica. A differenza delle tecniche del passato che prevedevano un primo mosto per la produzione della birra denominata “prima melior”, del secondo lavaggio per la “secunda” e del terzo per la “tertia”, c’è un dettaglio che fa del parti-gyle una tecnica più raffinata: qui i run-off (mosto drenato dalle trebbie) non vengono fermentati separatamente ma combinati prima tra loro, permettendo di ottenere densità intermedie.

COME FUNZIONA
Se dobbiamo realizzare una birra il cui grado alcolico desiderato è intorno al 9° alc. o superiore, ci sarà bisogno di molto malto, a patto sempre che i tini di ammostamento e filtrazione siano in grado di contenere sia questo volume che quello di acqua necessaria (sempre intorno al triplo della quantità di malti o poco meno). Parlando di numeri, in una cotta casalinga di classici 23 L si andrebbe facilmente intorno ai 9 kg di malti, ai 25-27 l d’acqua e quindi ad una capacità di 33-35 L circa. Molto probabilmente, con efficienze classiche che vanno attorno al 75%, non si riuscirebbe neppure a giungere allo scopo in termini di litri e densità finali. Per questo motivo si può optare per uno sparge molto ridotto per non abbassare la densità del mosto. Ma così facendo per andare incontro al volume di birra desiderato si dovrebbe usare più malto e questo loop decisionale porterebbe ad aumentare ancora acqua e così via, con il rischio reale di mollare le pentole in garage per andare a bere al pub senza faticare. L’alternativa sarebbe quella di procedere con un “no sparge”, a cui seguirebbero due effetti: densità facilmente raggiunta ma efficienza ridottissima (anche 55%), con conseguente grande quantità di zuccheri ancora intrappolata nelle trebbie ma la cui estrazione diminuirebbe la densità, pur risollevando l’efficienza. Ha senso, quindi, andare a fare sparge su quelle trebbie per ottenere altro mosto ma usarlo in modo diverso.

Se si mettessero sotto la lente d’ingrandimento la densità e l’acqua di sparge e come queste variano nel mosto in uscita al variare del run-off, si noterebbe un comportamento analogo in qualsiasi cotta: se ci fermassimo a misurare il mosto avendo raccolto 1/3 del volume totale previsto (al netto delle solite perdite) questo avrebbe circa i 2/3 degli zuccheri totali estratti (1/3 degli zuccheri sarebbe invece nei restanti 2/3 di mosto da filtrare), mentre se la misura fosse fatta a metà filtrazione il primo mosto avrebbe il 58% circa degli zuccheri (mentre ne avrebbe il 42% la restante metà). Lo ha teorizzato per primo Randy Mosher, seguito poi da un altro homebrewer e autore come Drew Beechum oltre che dall’evidenza dei fatti. Perciò, ipotizzando che il principale obiettivo sia quello di volere un mosto di 10 L a 1090 (corrispondente a 90 punti densità o GU), potrei pensare di ottenerne anche un’altro di 20 L con densità 1045 (45 GU). Questo vuol dire che, se vedessi il tutto come un’unica cotta, dovrei ottenere 30 L con densità 1060 in quanto, ragionando in punti densità, ricaverei:

[ (45 x 20) + (90 x 10) ] : 30 = 60
quindi 1060.

Essendo
(45 x 20) + (90 x 10)= 2250
dove 2250 è la densità totale obiettivo.

Con stesse quantità di malti e acqua (quindi con la stessa densità totale obiettivo), diverso sarebbe se mi fermassi con il primo run-off a metà volume totale, perché in quel caso otterrei 15 l con volume e altri 15 l con volume:

(2250 x 0,58) : 15 = 87 GU
(2250 x 0,42) : 15 = 63 GU
[ (87 15) + (63 15) ] : 30 = 75 GU

Un validissimo strumento è il Parti Gyle Simulator, foglio di calcolo elaborato da Braukaiser che consente di personalizzare la propria produzione a seconda che si vogliano fare uno, due o tre run-off: si inseriscono quantità di malti, acqua di mash e di sparge e semplicemente si risale alle densità dei mosti. Le quantità e i run-off sono a propria discrezione (raggruppare primo e secondo run-off oppure secondo e terzo), ma qualunque sia il punto di partenza per la progettazione della ricetta (la birra più alcolica, il volume totale, la capacità dei fermentatori e così via), questi numeri possono oscillare anche significativamente per fattori che dipendono dall’impianto e dalle perdite varie. Impostando il valore di efficienza in fase di ideazione della ricetta (che nel complesso dei due run-off sulla carta non risentirà, al contrario dell’efficienza molto bassa che otterrei se mi fermassi a un singolo mosto) pari al solito valore di una cotta con la densità stabilita dai calcoli precedenti (negli esempi di sopra era di 1060) o leggermente inferiore per pura cautela, si ottengono volumi e densità dettati da queste semplicissime proporzioni.

STILI DA ACCOPPIARE
Per una produzione in homebrewing su 23 L non ha molto senso andare oltre un terzo run-off (uno di primo mosto e gli altri due di sparge). Solitamente è bene concentrarsi sul primo, mentre da secondo e terzo run-off si può anche ricavare una unica birra mescolandoli direttamente. Dovendo pensare a due birre, c’è bisogno di un grist che si possa adattare a due stili, non necessariamente da fermentare con lieviti analoghi. Sicuramente le combinazioni più logiche sono Imperial Stout – Irish Stout, Old Ale – Mild, Doppelbock – Dunkel, Tripel – Blond ma sono anche interessanti dei crossover che hanno alla base grist semplici e per questo adattabili trasversalmente fra le tradizioni birrarie come Tripel – Pils, Weizenbock – Saison, Barley wine – Vienna e così via.

OCCHIO AL PH
Un tema che merita molta attenzione è la composizione dell’acqua. Quando scegliamo che acqua utilizzare o come modificare quella di rete dobbiamo pensare a quella della birra più alcolica ma anche a quella più leggera. Conciliarle entrambe è una specie di acrobazia, perchè sappiamo bene che l’acqua di sparge non deve superare il valore di pH 6,0 per evitare problemi di astringenza: mentre con un’acqua modificata nel primo run-off sono al sicuro che non avvenga, nei successivi l’acqua di sparge alzerà il pH in assenza dell’acidità del mosto appena drenato dalle trebbie. È buona premura, quindi, oltre a modificare l’acqua di mash e sparge all’inizio della cotta, agire anche una seconda volta sulla stessa acqua di sparge per impedire che superi pH 6.0 aggiungendo altro acido lattico quanto basta a portarci su valori accettabili: una volta infusi i malti in ammostamento, sottratto mosto e riaggiunta acqua non siamo in condizione di conoscere il resto della composizione, ma almeno con un pH tra 5,5 e 6,0 siamo in grado di evitare l’estrazione eccessiva di tannini dalle trebbie. In definitiva, dopo aver misurato il pH, con piccole aggiunte di acido lattico e un modesto rimescolamento o rimontaggio, si può valutare se questo è sceso verso valori più accettabili e così operare un secondo o terzo run-off. Diverso è il caso della composizione dei sali, di cui non possiamo sapere nulla anche perchè non sappiamo come la nostra acqua modificata abbia già interagito con i malti nel momento del mash-in.

TINI, TEMPI E BOLLITURE
Non è facile gestire due mosti contemporaneamente e pensare a misurare due densità e due volumi e più volte durante la cotta. Per non parlare dei tempi, delle luppolature. C’è anche da fare la sanitizzazione dei fermentatori, cosa per nulla secondaria. Serve un po’ di organizzazione in più del solito e molta calma, cominciando ad appuntarsi tutto per evitare di fare troppa confusione. Le prime attenzioni devono essere per il primo mosto: una volta raggiunto il volume desiderato bisogna misurare la densità pre-boil per verificare che i conti tornino. Chiaramente va subito scaldato per portarlo a bollitura, così nel frattempo ci si può dedicare a secondo e terzo run-off ricavati dallo sparge. Se il primo mosto dovesse necessitare di una bollitura più prolungata (per densità troppo bassa o per decisione personale), si avrebbe anche a disposizione più tempo per dedicarsi al secondo mosto: in questo dovremmo dare la precedenza alla misura della densità più che al raggiungimento del volume previsto, per cui è bene tenersi pronti con diversi bicchieri pre-congelati da tirar fuori all’occorrenza per abbassare subito la temperatura di un campione di mosto e misurarne la densità col densimetro (o in alternativa direttamente con il rifrattometro). Una volta sfasate le due bolliture di almeno 30-40 minuti tra loro, si sarà ragionevolmente sicuri che non si sovrapporranno neppure le fasi di raffreddamento e di trasferimento: così potremmo evitare di avere due fonti di calore e due tini appositi per bollirli entrambi, mentre se ne siamo in possesso e c’è la possibilità, potremmo farlo e risparmiare del tempo. È chiaro che ogni mosto può essere bollito direttamente già combinato con un altro ottenuto, o miscelato con una sua parte, ma se si ha la premura di portare avanti entrambe le luppolature con uno stesso rapporto IBU/OG, posso anche scegliere di miscelarli alla fine con minori probabilità di commettere errori dovuti a evaporazioni diverse da quelle previste (anche dovute all’uso di pentole diverse) e con la possibilità di decidere a bocce ferme densità e volumi finali da trasferire nei fermentatori. La variabile delle IBU potrebbe portare qualche problema in più, ma restando su valori molto bassi probabilmente questa influenza finisce per scomparire.

STESSA QUALITÀ
Controllando il pH e avendo cura di misurare spesso e bene le varie densità, i rischi di ritrovarsi birre dalle caratteristiche sballate sono molto bassi. Chiaramente è molto importante anche la movimentazione dei mosti, da spostare con attenzione evitando come sempre ossidazioni a caldo che ne abbassino la pulizia finale. Ancora più cruciale è ridurre l’esposizione delle trebbie all’aria: i tre run-off permetteranno questo rischio situazione più del solito, per cui bisogna essere più rapidi nel passare da una fase all’altra. Al di là di eventuali piccole sbavature derivate dal controllo non completo sull’acqua di sparge, il parti-gyle è una tecnica che non inficia la qualità della birra più leggera ma occorre dedicare più attenzione e più concentrazione del solito.

STRATEGIE E DECISIONI
Bisogna tenersi pronti a tutto: se l’efficienza non dovesse coincidere con quella prevista, densità e volumi non combaceranno con quelli previsti. Come sempre avere estratto di malto o zucchero di emergenza possono aiutare a ristabilire i calcoli, ma anche qualche litro di acqua commerciale può servire qualora le stime di efficienza si dimostrassero troppo pessimistiche. Sfruttando una bollitura prolungata si può fare anche una scelta più impegnativa: unire primo e secondo run-off per la birra più alcolica, portando più zuccheri possibili in bollitura e facendo così evaporare l’acqua bollendo due ore, rabboccando poi con zuccheri come Cassonade, Muscovado o zucchero candito a fine bollitura. In questo modo non ci si ritrova un volume esiguo di birra più alcolica e si riduce al minimo la quantità di birra più leggera. Se ci si vuole complicare ancor più la vita, invece, si possono sfruttare il secondo e terzo run-off come base di partenza per un altro ammostamento: immergendo altri malti base si può realizzare quello che si chiama “mash reiterato”, mentre inserendo in steeping solo malti speciali si va verso un vero e proprio “partial mash”. Più facile diventa se si vuole semplicemente aggiungere qualche malto tostato, che non necessita di ammostamento ma che con la semplice infusione cede colori e sapori.

Produrre con parti-gyle è fattibilissimo anche se richiede più attenzione di una classica cotta: motivo per cui è probabilmente più sensato farlo solo per birre con densità che superino almeno 1075-1080. Al di sotto, al posto di complicarsi la vita, sarebbe più accettabile concedersi qualche punto di efficienza in meno. Se non altro la tecnica anglosassone permette di pensare a qualche produzione più ardita senza lo scrupolo di stare a sprecare troppe risorse. Chi fa homebrewing solitamente ragiona in questo modo: si spende un patrimonio in attrezzature, ma gettare al vento qualche litro di birra…mai!


BARLEY WINE / BEST BITTER

OG 1054 (fittizia)
Efficienza 74%
Acqua Mash 24,5 L – solfati/cloruri 0,8 – pH 5,2

Acqua Sparge I 14 L – solfati/cloruri 0,8 – ph < 5,8
Acqua Sparge II 12 L – solfati/cloruri 0,8 – ph < 5,8

Mash
8,0 kg Maris Otter (82%)
0,6 kg Crystal (7%)
0,1 kg Chocolate (1%)

68°C – 50’
71°C – 20’
77°C – 10’

Barley Wine

->Run-off I – 12,0 L

pre-boil 12,0 L / OG 1089
boil 60’
60’ – Target – 50 IBU
post-boil 10,8 L / OG 1100

Lievito London III – ABV 10,5

Best Bitter

Sparge I 14,0 L
-> Run-off II 14,0 L / OG 1048
Sparge II 12,0 L
->Run-off III – 12,0 L / OG 1028

pre-boil 26,0 L / OG 1038
boil 60’
60’ – Target – 15 IBU
00’ – Target – 1 g/L
post-boil 12,0 L / OG 1043

Lievito London I – ABV 4,2