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Nella cantina di Opperbacco: birra, botti e creatività

Tra i birrai italiani che hanno dimostrato sensibilità produttiva verso la natura circostante troviamo Luigi Recchiuti di Opperbacco. Per capire meglio il rapporto con i prodotti che il suo Abruzzo offre e conoscere le birre che nascono da questa filosofia, gli abbiamo rivolto qualche domanda.

La tua gamma abbraccia un grande numero di stili, dai più tradizionali a stili più moderni, come è cambiato il tuo approccio alla produzione nel corso degli anni?

Negli ultimi anni forse si guarda un po’ più alle mode che noi seguiamo con un leggero ritardo, in particolare quelle provenienti dall’America. Parlando per esempio di luppolate, le tecniche di oggi mirano ad abbassare l’amaro e valorizzare sempre più gli aromi, specialmente quelli tropicali. Si tende molto per esempio a usare una luppolatura in late hopping e ad abbassare la temperatura del whirlpool per estrarre meno amaro. Se in tempi passati si cercava di tirare fuori il carattere amaro del luppolo, ora si tende a puntare su birre profumate, in cui prevale l’aroma. Siamo inoltre sempre attentissimi al rischio di ossidazione, quindi usiamo gas inerti e ossimetro. Sono questi i cambiamenti maggiori adottati.

 

Nature e Abruxensis: come sono nati questi due progetti e in cosa consistono?

Tutto nasce dalla voglia di fare qualcosa di nuovo. Era già da tempo che pensavo di fare birre acide ma non mi lanciavo per paura di infettare il birrificio, fino a quando ho aggiustato una stanza vicina, ma distaccata. Quindi le birre acide vengono tutte fatte in una stanza climatizzata di 20 metri quadri, dove entrano 8 tonneaux da 5 quintali e 16 barriques da 225 litri. Praticamente la Nature oggi è fermentata su un pied de cuve di uve, nel 2019 di Montepulciano o Trebbiano, vitigni tipici abruzzesi. Il pied di cuve è composto dal 20% d’uva di vigneti coltivati in modo biologico, ovvero di produttori di vino naturale quindi senza prodotti sistemici, ma con prodotti di copertura come zolfo e rame che non vanno a rovinare la carica dei lieviti di queste uve, che é quello che a noi forse interessa più delle uve stesse. Una volta raccolte pigiamo le uve con i piedi e deraspiamo a mano. Negli anni scorsi si spremevano le bucce a mano con un cestello e si metteva il mosto nella botte, la metà delle bucce veniva buttata. Man a mano abbiamo aumentato la proporzione e quest’anno abbiamo messo nella botte tutte le bucce, togliendo solo i raspi. Una volta partita la fermentazione, un po’ come se fosse uno starter, dopo tre giorni viene messo nella botte il mosto di birra. Questa è la Nature. Gli anni scorsi imbottigliavamo verso la fine di luglio o gli inizi di agosto, ma quest’anno abbiamo anticipato l’imbottigliamento perché mettendo tutte le bucce, stavamo estraendo abbastanza tannino. Assaggiando abbiamo notato che saliva questa parte astringente e abbiamo deciso di anticipare l’imbottigliamento. Quest’anno il colore è più carico, vira sul porpora, bello vivo. Con quest’ultima produzione siamo anche stati attenti alle ossidazioni: per la prima volta ci siamo portati con una conduttura il gas inerte anche nella stanza delle botti così da saturare il recipiente. Per evitare ossidazione abbiamo anche tenuto le botti sempre colme. Abbiamo ancora tre botti libere, dove metteremo amarene e pesche. Con le pesche rifaremo la Principesca. Mi ricorda quando da piccolo assaggiavo il vino con le pesche. Era molto piacevole. Da lì è nata la Principesca. Quindi la serie Nature sarà costituita da Nature Viva con Trebbiano, Nature Terra con Montepulciano, poi la Principesca con le pesche e Nature Kriek, con sempre il 20% d’uva e in aggiunta il 20% di amarene. Per quanto riguarda le Abruxensis, invece di avere un ciclo annuale (le Nature devi aspettare di avere l’uva, quindi il ciclo é per forza annuale) ha un ciclo di 4 mesi, e sono inoculati un mix di saccharomyces, torulaspora e brettanomyces. La linea Abruxensis usa luppolo prodotto ad Atri, sempre nel Teramano, di un ragazzo che coltiva cascade. Il malto è in parte abruzzese, il frumento è una varietà locale chiamata Rosciola, mentre nelle Nature c’è il farro sempre di Castel del Monte.

 

In entrambi i casi, si nota subito la stretta collaborazione con realtà locali. Cerchi personalmente i produttori con cui collaborare o sono loro a trovare te?

Tutti i prodotti che entrano nella nostre birre provengono dall’Abruzzo in generale, non per forza dai dintorni. Per esempio Fossacesia, nel basso Chietino vicino a Vasto, è distante ma tante cose vengono da lì. Non so perché ma usiamo tanti prodotti di Fossacesia, in provincia di Chieti. Molti dei produttori con cui collaboriamo sono amici e conoscenti. Da Fossacesia proviene soprattutto la frutta, le vigne invece, sono qui vicino nel Teramano. Ma non c’è una regola. Vi racconto un esempio. Sto seguendo il corso dell’AIS e durante la lezione sulla birra un docente parlò di un sidro abruzzese, di una zona di montagna in cui venivano coltivate mele. Nei miei giri in moto sono andato sul posto a chiedere se c’era qualcuno che faceva sidro e mi hanno indicato un ragazzo, che poi ho conosciuto e con cui sono diventato amico. Mi ha fornito le mele che lui coltiva, biologiche, alcune di una varietà detta limoncella, una varietà piccola, molto croccante, acidula e profumata. Anche in questo caso abbiamo fatto un pied de cuve senza aggiungere lieviti, ma solo un po’ d’acqua per diluire gli zuccheri e per dare liquido alla polpa. Avendo botti libere e tempo, siamo andati a raccogliere fiori di acacia e sambuco. Ne abbiamo raccolti tantissimi. Il fiore dell’acacia è molto ricco di batteri lattici, il sambuco invece è predominante come aroma. Infatti ho dovuto travasare abbastanza velocemente per evitare che si sentisse troppo una nota vegetale. Del resto il loro dovere di fermentazione l’hanno fatto, giustamente la carica di lieviti dei fiori non è che sia così tanto elevata, però il sapore promette benissimo. Anche per queste birre ci affidiamo al solito ciclo di 4 mesi.

 

Per alcune birre utilizzate un brettanomyces selezionato in collaborazione con la Facoltà di Agraria dell’Università di Teramo. Ci puoi dire di più?

La collaborazione è nata in modo casuale. Sono andato a Teramo e chiacchierando ho scoperto che presso l’Università avevano queste banche di ceppi di brettanomyces. Quando l’ho saputo, mi si è aperto un mondo. Le prime birre erano sperimentali, nate da un incrocio di ceppi di brettanomyces in modo sperimentale. In ogni botte c’era un ceppo diverso. Poi una ragazza è venuta a fare la tesi qua da noi, prendeva i campioni e li portava all’Università, e così anche loro si sono incuriositi.

Nell’ideare questa tipologia di birre quali sono i criteri che reputi fondamentali? Quali caratteristiche cerchi?

Io sono sempre stato contentissimo del risultato finale perché per queste birre non è possibile programmare come si fa con una birra “convenzionale”, dove una ricetta già può fornirti dati sull’amaro, l’alcol e così via. Soprattutto all’inizio non sapevo cosa sarebbe uscito fuori. Quindi nei primi anni ad esempio, l’acido era elegante ma un po’ troppo spento, scarico, e le birre erano un po’ troppo watery. Quelle birre dei primi anni ci hanno resi ugualmente contenti e anche la critica è stata positiva. Secondo me, quelle degli anni dopo, anche per il fatto che le botti si sono arricchite e l’ambiente si è ben impregnato di batteri e lieviti, hanno visto un aumento dell’acidità ma hanno anche trovato maggiore complessità. Penso di essere arrivato dove non avrei mai sperato. Adesso, volendo fare autocritica, credo che siamo andati troppo verso il mondo del vino. Con il 20% d’uva la birra sembra proprio un Cerasuolo. A me è piaciuta molto, ma rimango sempre molto critico per cercare di migliorarmi.

A oggi, qual è stata la birra  che ti ha dato più soddisfazione e quale invece ti ha creato più difficoltà?

La birra più difficile è stata sicuramente la Nature Essenza, creata in collaborazione con lo chef abruzzese Niko Romito. La difficoltà è data dal numero impressionante di ingredienti che sono stati impiegati. La ricetta è ispirata a un dolce dello chef e prevede timo e dragoncello, frutto della passione e genziana, caffè, liquirizia e fave di cacao e c’è anche un po’ di zafferano, ma pochissimo. Mi ha deluso per come è stata recepita dal pubblico, soprattutto non abruzzese, visto che quest’ultimo non fa certo fatica a riconoscere ed apprezzare la genziana. Direi invece che quelle che mi hanno dato più soddisfazione sono le Nature con Montepulciano di quest’anno.

Qual è un ingrediente con cui ti piacerebbe giocare in futuro?

Abbiamo sperimentato molto negli ultimi anni e attualmente non sentiamo il bisogno di ampliare la linea, anzi stiamo cercando di snellire, ponendo particolare attenzione nel migliorare quel che già abbiamo.


Quale ruolo hanno le botti nel risultato finale? 

Le botti che usiamo sono di Cantina Masciarelli e di Nicodemi. Non cerco birre che siano influenzate dal legno, le botti vengono quindi prima ripulite con qualche passaggio di Numero uno e 10 e Lode.

Considerando l’incredibile biodiversità del nostro paese, credi che il legame al territorio possa essere la chiave di volta per il successo della birra italiana, qualcosa che ci possa distinguere anche dalle produzioni estere? 

Sì, sicuramente. Prima pensavo che la birra era fatta solo dalle persone, ma mi sbagliavo. Personalmente non ha senso inviare all’estero un’IPA uccisa dal viaggio, anche perché un’IPA buona la trovi pure in Africa ormai. Stessa cosa per le basse fermentazione che adesso vanno tanto. Secondo me le IGA come adesso le producono anche Siemàn o Ca’ del Brado, potrebbero veramente essere una novità a livello mondiale. Noi italiani siamo famosi insieme ai francesi per il vino e quindi dovremmo sfruttare questa cosa. Il made in italy all’estero viene recepito benissimo. Nel caso delle Nature e Abruxensis usiamo ingredienti che hanno un apporto importante sul prodotto finale. Scegliere ingredienti caratterizzanti è quel che fa la differenza. Come una vigna racconta una zona, queste birre fanno lo stesso.

Cosa ci riserva Opperbacco per il futuro? In quali altri modi intendi approfondire il rapporto con l’Abruzzo?

Per il futuro vogliamo focalizzarci sulle birre che già abbiamo in linea. Non mancheranno one-shot e qualche novità ma è importante tenere costanti e migliorare le birre che già produciamo. Lavoreremo molto sulle luppolate. La moda devi essere bravo a saperla seguire. Noi con le acide abbiamo coperto un po’ tutto il panorama, adesso vogliamo colmare il gap che ammettiamo di avere con certi birrifici a livello di birre luppolate. Sono molto legato all’Abruzzo, spesso me lo giro in moto. È una regione che ha molte difficoltà ma ha molto da offrire e bisogna cercare di valorizzarla, anche con la birra.