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Metti una botte in casa: breve guida al barrel aging

Tra fermentatori isobarici, fusti in acciaio inox per fermentare o trasferire birra da spillare a casa e valvolame vario, il mondo dell’homebrewing ha fatto passi da gigante, spingendo chi fa birra in casa ad avvicinarsi ancor di più alla qualità produttiva di un buon birrificio. Così come si avanza sull’attrezzatura, si stanno anche rimodernando e riscoprendo ingredienti e tecniche antiche che fungono da stimolo per lasciar sfogare la vena creativa e giocare a mantenere sottili equilibri nelle birre. Sicuramente una delle sfide più simboliche e impegnative per un homebrewer è quella di cimentarsi nell’uso del legno. Abituati alla neutralità del materiale dei fermentatori (plastica o acciaio che sia), cominciare a usare una botte rappresenta una grande novità che stravolge alcune dinamiche apprese nel corso dell’esperienza da homebrewer e con cui bisogna familiarizzare se si vuole affrontare (e prima o poi succede!) anche questa nicchia della produzione casalinga.

LESSICO

Può sembrare esagerato, ma quando si entra in questo campo bisogna anche parlarsi e capirsi con vocaboli che sono propri di questo mondo. Per esempio, parlare di botte è generico, mentre in ambito homebrewing ci troviamo a dire spesso caratello, che è un termine con cui si indica una botte di volume inferiore a 200 L circa, oltre il quale si parla di barrique (225 L precisamente), difficili da riempire con qualche cotta casalinga. I più utilizzati sono caratelli che vanno da 20 L a 50 L circa, essendo di dimensioni contenute e più comodi da riempire. Inoltre, quando un particolare legno viene lavorato, assemblato ed eventualmente tostato per diventare botte si parla di essenza: essenza di rovere, essenza di acacia, essenza di ginepro, per esempio, sono quelle che più frequentemente capita di trovare. Ognuno di questi è capace di dare un proprio contributo, più neutrale (rovere), delicato (acacia) o intenso (ginepro) e diverse sfumature aromatiche che è anche interessante affrontare e conoscere. Un altro aspetto molto importante è capire la fase in cui si vuole usare il caratello: se destinarlo a una vera e propria fermentazione, tipica di stili in cui ci si affida anche a batteri e lieviti non convenzionali per fermentare un mosto, oppure farne un contenitore per maturazione o elevazione (qui si può parlare di barrel aging) in cui, in una fase successiva alla tumultuosa o addirittura al termine della winterizzazione, si trasferisce tutto nel caratello per permettere un arricchimento organolettico ad opera del legno. È logico comprendere che per queste diverse esigenze c’è bisogno anche di un ambiente diverso. Per una cantina “tradizionale” destinata a caratelli per maturazione la temperatura è bene che sia compresa nel range 10-20°C e l’umidità mai inferiore a 65% per evitare che si secchino le doghe. Per una cantina “acida” destinata alla produzione di fermentazioni spontanee o ibride in botte, occorre temperatura bassa nella prima fase e variabile nel corso del tempo per permettere l’azione di tutti gli agenti fermentanti, per cui è necessario avere una vasta variabilità stagionale ed essere nel range 5-22°C. 

FENOMENI

A seconda del tipo di essenza, dal tempo, dalla temperatura e anche dal pH della birra possono venire estratte diverse sostanze in un caratello. Le più note sono i tannini, che se eccessivi (botte nuova e non opportunamente pretrattata) portano con sé sensazioni di astringenza. In piccole dosi però suddette sostanze contribuiscono a corpo e pienezza. Spesso si estrae molta vanillina, prodotta dai processi di tostatura delle doghe in legno a partire dalla lignina. A contornare il tutto ci sono anche lattoni (che donano sensazioni floreali), cellulosa (importante perché fermentabile dai Brettanomyces e responsabile di aromi fruttati) e emicellulosa (anch’essa fermentabile, sviluppa aromi simili al caramello). Ma prima ancora di questi vari processi descritti c’è l’ossidazione. Attraverso la struttura del legno tostato, la dose più o meno esigua di ossigeno che riesce a entrare produce aldeidi aromatiche responsabili di note di sherry e madeira, importante su birre di grande struttura. 

DIMENSIONI

È fondamentale comprendere quanto tutto ciò è direttamente regolato dai numeri: se consideriamo il rapporto tra superficie di contatto birra-legno e volume, è facile comprendere come questo valore sia molto più alto su un caratello di 5L rispetto a uno di 100L, il che ci fa rendere conto di quanto, in tema di ossidazioni, il tempo vada dosato diversamente nei due casi (più il caratello è piccolo, più il soggiorno nella botte deve essere breve). Di conseguenza però, se il tempo di contatto è di breve durata può non essere sufficiente per regolare le dinamiche degli altri fenomeni menzionati prima. Possiamo affermare che non ha senso usare contenitori molto piccoli, ma è anche vero che le grandi dimensioni sono molto faticose da gestire, per cui un homebrewer di solito è obbligato a muoversi tra 20L e 50L.

PREPARAZIONE E CONSERVAZIONE

Dopo aver reperito il nostro caratello, è importante pretrattarlo in modo da fargli ospitare la nostra birra. L’altissima concentrazione di tannini non lo rende già pronto all’uso, per cui bisogna prima riempirlo con acqua calda tra 50-60°C per 12-24h, osservando che non ci siano grosse perdite e poi scaricandola. In questo modo i tannini vengono rimossi e lo si noterà dal colore biondo dell’acqua. Dopo aver ripetuto l’operazione per almeno un paio di volte (o più, se necessario in base all’essenza), dovremo infine riempirlo subito con la birra. Dall’ingresso della prima acqua calda fino alla fine dei suoi giorni, il caratello va sempre tenuto pieno, ovviamente di birra. Questo necessita di organizzazione e programmazione delle cotte e dei relativi imbottigliamenti e per un homebrewer non molto motivato tutto questo può non essere semplicissimo da gestire. In caso estremo di inutilizzo, una soluzione di acqua e sale al 2% può tenere occupate le doghe del caratello per qualche giorno, ma se non si è attenti e pronti a ricambiare di continuo l’acqua il rischio contaminazioni può essere alto. Se invece abbiamo reperito un caratello usato e appena svuotato da vini o distillati, occorre fare solo una cosa: ispezionare con la vista e con l’olfatto e se tutto ci sembra a posto, riempire subito di birra.

PIANIFICAZIONE

Spesso ci si chiede dove e come riuscire a reperire caratelli esausti che hanno ospitato qualche buon distillato e che tornerebbero utili perché in grado di conferire aromi e sapori sicuramente degni di nota, ancora intrappolati nello strato più interno delle doghe. È estremamente difficile che questo capiti e che caratelli già usati abbiano dimensioni da homebrewer, motivo per cui per sfruttare al meglio le potenzialità dell’essenza le strade sono due: maturare in un caratello nuovo un proprio distillato (una scelta abbastanza costosa), oppure partire con un caratello nuovo e seguire un programma di produzioni che, partendo da una birra scura e molto alcolica, finiscano via via verso birre chiare e di bassa gradazione, prima di lasciare spazio a produzioni funky/sour nell’ultimo stadio. Così facendo si sfrutteranno aromi e sapori decisi su birre che ne giovano maggiormente, lasciando piccoli contributi su birre semplici e leggere, per poi impiegare la minore porosità del legno su processi fermentativi di birre funky/sour. In questa pianificazione un fattore chiave lo gioca il tempo: a seconda dell’essenza per una maturazione può occorrere da qualche settimana a qualche mese, per cui è fondamentale calcolare questi tempi per la preparazione della birra successiva da trasferirci.

ACQUISTI

Nel caso in cui si voglia acquistare qualcosa online, i principali shop come MrMalt, Pinta e Polsinelli propongono diversi caratelli. Non sempre con adeguati spessori delle doghe di 30 mm, ma spesso di appena 22 mm, 25 mm o se va bene 28 mm. Uno dei rivenditori attualmente in grado di garantire buona qualità è Mastro Bottaio, ma la disponibilità di caratelli va verificata contattandolo direttamente. Occorre, necessariamente, anche rifornirsi di altri accessori: la base per sostenerlo una volta scelto il suo posto in cantina, un rubinetto in acciaio inox se è previsto un foro sul caratello (o in alternativa, un alzavino in silicone che però si sconsiglia per i rischi di ossidazione che comporta aprire il tappo) e un sifone per il trasferimento sul fondo della birra in ingresso. Sul cocchiume (il buco nella botte), inoltre, occorre inserire un tappo in silicone della misura giusta: ce ne sono di forati per permettere l’alloggiamento di un gorgogliatore in caso di fermentazione, e di non forati per la successiva fase di maturazione.

A differenza del resto dell’homebrewing, questo è un campo dove le certezze sono poche e hanno un peso maggiore l’esperienza e la capacità di leggere le situazioni. Non è un caso che non ci siano moltissime fonti consultabili, ma che i confronti e gli scambi di opinioni avvengano per passaparola o sui social (celebre il gruppo Accademia delle Birre). Questo, però, non vuol dire che non ci si possa fare buone basi leggendo e riflettendo sulle dinamiche e le problematiche principali prima di intraprendere la propria avventura. Ma forse è proprio questo mix di sapienza e audacia che rende l’esperienza della botte una tra le più affascinanti sfide per qualsiasi homebrewer.

Approfondimenti

  • Per la creazione di una cantina “acida” le letture consigliate sono: Wild Brews di Jeff Sparrow (tradotto in italiano con il titolo di “Le birre del Belgio III”) e American Sour Beers di Michael Tonsmeire.
  • Per le dinamiche dal punto di vista chimico-fisico il libro di riferimento è Wood & Beer di Dick Cantwell e Peter Bouckaert (tradotto in italiano con il titolo “Legno e birra”).
  • Per una corretta pianificazione della gestione delle botti si rimanda al documento Small Barrel Strategies di James & CJ Shamas disponibile sul sito della Homebrewers Association.