BelgioIn vetrina

Le birre della memoria: Cnudde, la bruna delle Fiandre

La prima volta che incrociai il nome Cnudde fu nel lontano 1985 grazie al libro “Les gouts de la bière” (versione in francese di Biersmaken) del grande maestro Peter Crombecq, all’epoca mio secondo Vangelo dopo quello del 1977 di Michael Jackson che mi aprì le porte delle “wild beers”, oud bruin comprese. Cnudde compariva come produttore mentre la birra era chiamata “Oudenaards Bruin” e veniva così descritta: “aroma con leggera acidità lattica, gusto leggermente dolce, tenore in alcol leggero così come la densità, il retrogusto si spande, non si sviluppa un nuovo gusto, tipo di birra: vecchia bruna”. 

In quel periodo viaggiavo incessantemente nelle Fiandre, sempre in treno sfruttando i geniali biglietti kilometrici, adottando una tecnica infallibile che mi permise di visitare a raffica, armato di passione e faccia tosta, sia produttori increduli che caffè frequentati da bevitori altrettanto stupiti. Partivo principalmente da Bruxelles al mattino presto e scendevo all’ultima fermata del mio itinerario, meticolosamente studiato in albergo o nei caffè della città o del Pajottenland, per poi ritornare la sera tardi o notte, scendendo e risalendo ad ogni tappa prefissata.  Ad ogni stazione di arrivo mi annotavo tutti gli orari del ritorno dato che l’epicità che mi portavo addosso legata all’aleatorietà degli orari del Belgio, non garantivano mai un piano preciso, spesso stravolto da graditissime sorprese. Ben presto inclusi Cnudde nell’elenco delle prede e mi accorsi come Eine fosse fuori da un itinerario diretto, ma risultava facile da raggiungere, seppur con treni poco frequenti, dalla vicinissima Oudenaarde. Ricordo nitidamente la prima volta, un mercoledì di tanti anni fa. Giorno sbagliato per la chiusura pomeridiana degli esercizi commerciali tanto che dovetti entrare in un supermercato a comprare del pane e del salame in attesa di trovare almeno un caffè dove poter bere l’agognata Oudenaards Bruin del libro del Maestro fiammingo. Arrivai nella birreria, già estasiato dalla torre rossiccia con la bianca scritta verticale Cnudde. Il cancello era aperto ed entrai. Non c’era nessuno se non un gatto nero che mi venne incontro. Noi liguri abbiamo un feeling particolare con i gatti e quindi mi resi conto subito come questo micio avesse tanta fame e per questo affrontasse temerariamente un intruso mai visto prima. Estrassi dalla busta il salame affettato e gliene diedi un bel po’ e da quel momento il gatto mi si attaccò alle gambe e me lo trasportai letteralmente per tutto il giro che feci nel cortile alla disperata ricerca di un’anima viva che mi facesse visitare e se possibile degustare.  Come ultima spiaggia, bussai ad una porta a vetri ma ben presto capii come non ci fosse nessuno nonostante il portone aperto. Non mi sorpresi più di tanto, da tempo ormai avevo coniato per i miei fratelli, sia fiamminghi che valloni o bruxellesi, il postulato “son belgi” ogni volta che non si riesca a dare una risposta razionale a comportamenti, abitudini ed attitudini che ai non belgi sembrano bizzarri. Chiuso l’adiacente caffè Casino, che oggi chiameremmo la “tap room” del birrificio, avevo perso ormai ogni speranza quando arrivando alla stazioncina vidi un caffè che sembrava aperto. Entrai assatanato, sconvolgendo i presenti. Avevo pochi minuti, ingollai tre Cnudde di fila e riuscii ad instaurare con gli anziani titolari e con gli attoniti bevitori un millesimo di conversazione di quella che di solito sapevo scatenare. Mi regalarono il bicchiere con il bisonte e le stelline senza sapere cosa significassero e presi il treno al volo. Mi insultai per tutto il viaggio per non aver pensato di farmi riempire il bicchiere che, vuoto, stava ridendo di me. 

Quella prima volta, quasi del tutto infruttuosa, mi fece ancor di più venir quella “voglia di Cnudde” che mi spinse a successive incursioni, tutte coronate da successo e da imbarazzanti bevute con la locale werkende klasse (classe operaia) sia dal Kafee-Barbier che allora al di fuori di Eine nessuno conosceva e che oggi sarebbe invaso dai beer geeks, dove un barbiere e a volte una barbiera, passavano con disinvoltura da un colpo di forbice, pettine e rasoio, ad una corretta mescita di Cnudde dalla spina, sempre fresca e irresistibilmente più rude di quella di oggi. Mi avevano detto che solo uno dei tre fratelli Cnudde, fosse avvicinabile e gentile, Lieven per la precisione. Puntualmente lo constatai quando fui pescato da Steven a tarda ora conversare con Lieven, appoggiati al bollitore. Se solo avesse saputo che Lieven, in cambio dei miei gossip sui produttori di lambic, mi avrebbe poi regalato un fustino di metallo con 5 litri della sua mitica oud bruin, come minimo ci avrebbe sparato.

Per fortuna con lo smilzo e pacato Lieven, che sembrava un impiegato del catasto, la musica era totalmente diversa. Mi raccontò di tutto e di più, della storia della famiglia, dell’acqua utilizzata proveniente da un pozzo magico posto sotto il vicino cimitero, dell’Ohio e del correlato bisonte simbolo della liberazione dagli americani, delle stelline che si riferiscono ad ogni generazione e soprattutto di come facessero la bruna, unica birra ufficiale, ogni tanto, più che altro su richiesta mentre la kriek, bruna macerata con griotte dal loro boschetto nel giardino, veniva fatta solo per il consumo familiare e maturata, nella parte più inferiore della birreria, in taniche di plastica bianca. Il picco della gentilezza Lieven lo raggiunse quando gli portai il mio team “degli asinelli” (così affettuosamente chiamati perché come primi allievi-pionieri, ne sapevano un po’ di più degli altri) formato da Andrea Reina, Ivano Epis, tuttora attivissimi in serate di degustazione e beer-sharing e Fabio Capelletti, in seguito rinsavito e uscito dal trio. I tre apostoli mi raccolsero in auto sulla costa belga reduce dal ferry da Dover dopo un massacrante Great British Beer Festival, e dopo aver messo, per un paio di giorni memorabili, a ferro e fuoco Bruges e dintorni siamo andati verso Bruxelles ma deviando, verso Eine. Era un po’ tardi e la probabilità di rimanere a bocca asciutta era molto alta, ma dato che lì il rischio è molto alto in ogni caso, sarebbe stato un peccato non provarci. Nessuno era nella birreria, il portone era aperto e il gatto presente, ma non il “mio”. Caffè adiacente chiuso ma avevo ancora una chance da giocare. Entrammo dal Bolero e la padrona, mia vecchia complice, chiamò al telefono Lieven che dopo 10 minuti ci portò nella birreria per una visita indimenticabile, lunghissima e particolareggiata in compagnia del “mostro”, cioè quello strano cornetto che si riempie di luppolo per essere inserito nel bollitore. Alla fine, ci chiese se fossimo contenti e allora non persi l’occasione per chiedergli un assaggio dell’allora misteriosa kriek che ci servì, giù nel sotterraneo, in bicchierini di carta. Gran finale con inatteso invito ad entrare in casa con svuotamento, rapido ed entusiasta, del fustino di 5 litri e regalo personale di bicchiere antico. Mentre stavamo per congedarci, mi accorsi di aver lasciato “inavvertitamente” il mio zaino nel sotterraneo. Lieven voleva andare a prendermelo ma io gli dissi che ricordavo la strada e quando tornai con un bicchierino di carta con dentro la kriek tutti, Lieven per primo, si misero a ridere divertiti.

Questo era Cnudde nel mio vissuto, ma oggi? Triste nel vedere, per la prima volta anni fa al Delices et Caprices, la mia bruna in bottiglia con tanto di etichetta e poi pure la kriek, al Delirium, sotto il nome Bizon, nome che incontrai anni prima, nel festival locale organizzato a inizio luglio a Mechelen dai Beer Brothers, per un blend tra la bruin e la kriek. Quando ormai pensavo di aver perso ogni speranza, mi bastò entrare nel caffè Casino con Schigi e Leonardo, fresco di vendita di Birra del Borgo, in un viaggio in Belgio che avevamo programmato da tempo. Ritrovai, come per incanto, l’atmosfera che mi affascinava decenni fa parlando con i bevitori locali, miracolosamente simili ai loro padri e nonni. Erano anni che non sentivo la canzone popolare “Onze goede bruinen van Eyne” che mi fece tornare ai tempi eroici. Forse mi sto illudendo e chiudo un occhio ma credo che la magia di Cnudde possa se non proprio rimanere intatta, almeno persistere nonostante i tempi siano radicalmente e, ahimè, “ratebeeramente” cambiati.