La Cantina del Carrobiolo
Abbiamo intervistato Pietro Fontana, birraio del birrificio monzese, a proposito del progetto BarriC.
Puoi parlarci del progetto BarriC?
Ho cominciato a mettere birra in botte come Carrobiolo nel 2012, ma la vera svolta arriva nel 2019 quando abbiamo ufficializzato il nostro progetto BarriC. Non ci piace rimanere fermi, e piuttosto che investire in un nuovo fermentatore, in una crescita dimensionale, ci siamo detti: perché non spendere energie, soprattutto in termini di tempo, in qualcosa che ci da anche soddisfazione? Abbiamo così ricavato spazio per una cantina, in modo da dare forza e continuità alla nostra linea di prodotti passati in botte. Oggi abbiamo dalle 12 alle 20 botti di diverso tipo e grandezza che ruotano in una cella climatizzata a 16°C. Ho deciso di tenere la temperatura sotto controllo dopo una fase sperimentale a temperatura ambiente perché mi permette di evitare alcune derive in caso di errori, soprattutto acetiche, che quando estreme personalmente non gradisco. Un minimo di controllo serve per pilotare, ma le variabili ovviamente sono tantissime rispetto all’acciaio.
Quale filosofia produttiva c’è dietro la vostra cantina?
Enfatizzare l’apporto delle botti, ma non tanto quello dato dalle essenze del legno, ma piuttosto valorizzare il lascito del vino o del distillato che ha soggiornato precedentemente e inserirlo nella birra, che ne deve uscire arricchita da questa esperienza. Non ho ancora provato botti nuove, in futuro sicuramente faremo delle prove, proprio perché in questa fase non voglio che le essenze del legno vadano a violentare troppo la birra. Siamo partiti con sei botti di barolo, altre barrique di vino toscano, botti di rum, whisky, grappa e caratelli di vinsanto. Per scelta non siamo andati nella direzione della fermentazione spontanea. Abbiamo qualche esempio di gentle sour, ma l’idea è quella di non lasciare troppo spazio alle contaminazioni e a batterizzazioni eccessive. Questo non significa che il filone sour non ci interessi: giocare con la frutta, uva, vinacce ci piace e continueremo a farlo, ma non sarà identificativo del nostro progetto.
Quale birre vi hanno sorpreso di più?
La nostra Sour Keller mi ha molto stupito. Non era così scontato tirar fuori qualcosa di interessante dal passaggio in botte di una birra così delicata: inizialmente eravano convinti, sbagliando, che servissero birre potenti per non essere sopraffatte dalla botte. Ma la nostra Keller che viene inserita dopo la fermentazione in acciaio è riuscita con il tempo ad entrare in simbiosi con una botte di barolo dove già avevamo fatto passare altra birra, creando una propria microflora. Un risultato inaspettato che ha aperto un filone che siamo interessati a percorrere. Un’altra birra a cui tengo molto è la Vinsant, una wild saison fermentata e maturata in botti di Vinsanto con un blend di lieviti e batteri: Saccharomyces Cerevisiae, Saccharomyces Trois, Lactobacillus Plantarum. Una birra dalle note fruttate e dall’elegante acidità citrica nobilitata dalla botte che contribuisce anche ad una leggera ossidazione estremamente piacevole. Insomma: la birra giusta, nella botte giusta!
Qual è un aspetto secondo te di vitale importanza nella gestione di una cantina?
Il blending. Ti faccio un esempio: noi abbiamo un’anfora da 750 litri nella quale abbiamo messo un barley wine per dieci mesi. Il risultato in purezza non ci convinceva, soprattutto al naso era una birra violenta con alcoli superiori fastidiosi, anche se in bocca era buona. Abbiamo così pensato di blendarne una metà con una saison freschissima. Risultato? Sembra di bere il vecchio Belgio, una sorta di super-saison che ricorda una tripel, incredibile! L’assaggio, la selezione delle birre, così come l’abilità di unire prodotti con caratteristiche diverse sono capacità indispensabili per chi lavora con le botti. Noi abbiamo creato una squadra di lavoro dedicata dove abbiamo inserito anche un degustatore come Gianriccardo Corbo a darci una mano. Un altro punto di forza riguarda la gestione delle botti e l’importanza di creare una microflora interna che possa dare quell’impronta unica. Continuando ad alimentare una botte con la stessa birra ad esempio, passaggio dopo passaggio, anno dopo anno, si sviluppa qualcosa di unico: la botte diventa un nido, un incubatore di flora batterica. Sono convinto che il vero patrimonio di una cantina siano le botti e l’incredibile mondo che vi è all’interno.