Incontri invernali: Cinghiale in umido e Quadrupel
Tipico del golosario tradizionale toscano (in specie maremmano), ma non estraneo al costume alimentare anche di altre regioni, il cinghiale in umido è stabilmente tra i primi attori nei menù invernali. Lo è a tal punto da ammettere numerose varianti, sempre però imperniate attorno a una procedura di base nelle cui pieghe è sensato, in questa sede, non addentrarsi; salvo ricordare come, oltre al nostro prelibato suino selvatico e al pomodoro, la schiera degli ingredienti richieda la partecipazione di olio d’oliva; ortaggi in quantità (sedano, carote, cipolle); foglie e bacche di odorosi arbusti mediterranei (rosmarino, alloro, ginepro); spezie (pepe, chiodi di garofano); sale a discrezione del cuciniere; vino aggiunto in corsa a sfumare e ad addensare le trame sensoriali.
Riepilogando i fondamentali organolettici ottenuti al termine della laboriosa cottura, il boccone avrà un discreto grado di consistenza; un elevato livello di concentrazione (dunque intensità, persistenza e complessità gustolfattivo); una più che buona inclinazione alla succulenza; una corsa palatale in cui s’intrecciano tendenza morbido-dolce, sapidità, brevi acidulità ed eventuali puntate piccanti; un’olfattività importante, frutto di un mix che unisce le note animali, le tostate caramellizzazioni indotte dalla lunga permanenza sul fuoco e anche il bilanciante florilegio nasale garantito dagli aromi aggiunti.
La birra partner? Beh, anzitutto dovrà essere un… birrone. Nel senso che sarà chiamata a far valere nell’arena di questo impegnativo corpo a corpo una sostanziosa tessitura materiale; un energico respiro gusto-olfattivo; una tendenza gustativa abboccata, a gestire le esuberanze saporite del morso; ma anche guizzi aciduli (a bilanciare quelli affini incontrati in masticazione) e alcol in proporzione, tale da governare i contenuti lipidici e il forte stimolo alla salivazione. Non bastasse, il bicchiere dovrà esprimere un naso ampio, in linea con le tostature e fragranze vegetali-speziate caratterizzanti il piatto. Un identikit che ci invita a volgere lo sguardo verso il mondo monastico, nei rami sia trappista, sia semplicemente abbaziale (con un’ispirazione del genere); e in particolar modo (in virtù del loro colori bruni e delle loro conseguenti curvature, appunto, tostate) verso la categoria brassicola delle Quadrupel. Tra le belghe menzioniamo un paio di classici: la Rochefort 10 (dalla Vallonia con i suoi 11.3 gradi), la St. Bernardus Abt 12 (fiamminga da 10 gradi); tra le italiane, quella firmata da Extraomnes (9.3 gradi) e l’abruzzese Vedo Quadruplo di Bibibir.