Degustare una birraFocusIn vetrina

I profumi della birra: il floreale

A lungo non diremo trascurati, ma in serena coscienza sottovalutati, rispetto ad altre aree di descrizione aromatica nell’analisi di una birra (es: componenti maltate e fruttate), i descrittori appartenenti all’ambito floreale sono invece oggetto, almeno a partire dall’inizio del secondo decennio di questo secolo, di un interessante processo di riscoperta.

Chi sono i responsabili del profumo floreale? Difficile individuarne uno e uno soltanto; certamente un ruolo significativo spetta all’entrata in scena di tutta una schiera di luppoli di nuova e nuovissima generazione, equipaggiati con corredi aromatici decisamente articolati e incisivi. Ebbene sì, anche nel caso degli apporti riconducibili ai petali, è il conferimento del luppolo a rappresentare l’ingrediente principalmente responsabile di queste sensazioni. Basta scorrere un qualunque elenco di “hop cultivar” per verificare come ciascuna di esse sia associata a uno ventaglio di implicazioni olfattive tra le quali gli elementi floreali costituiscono una voce quasi permanentemente ricorrente. Così, solo per citare alcuni esempi, il tedesco Mittelfrüh si fa apprezzare, tra l’altro per profumi freschi e gentili, di petali bianchi; mentre l’inglese East Ken Golding amalgama il proprio fiorito con note terrose; e lo statunitense Centennial declina questo segmento della propria personalità organolettica in direzione agrumata, esprimendolo in fattispecie quali tiglio e zagara.

Ma l’origine procedurale di questo gruppo di sensazioni, richiamanti habitat campestri ed esperienze floreali non si limita al solo intervento del luppolo. I composti chimici introdotti per sua mano, infatti, vengono non di rado convertiti sotto l’azione dei lieviti, dando luogo alla formazione di sostanze diverse da quelle iniziali. Diversi ceppi di Saccharomyces Cereviziae, ad esempio, si rivelano in grado di trasformare parte di un quantitativo iniziale di geraniolo (determinante nel meccanismo di percezione delle fragranze della rosa, del geranio e della citronella) in una certa dose di citronellolo, la cui personalità è decisamente più incline all’appena menzionata citronella; e per un meccanismo paragonabile è in fermentazione che il linalolo (fondamentale per captare effluvi di bergamotto e lavanda) viene in certa misura trasformato in terpineolo (al quale si associano impressioni di lillà). 

Infine non possiamo trascurare l’opzione dell’aggiunta diretta: praticata, ad esempio, per assodata tradizione, su basi tipologiche belghe, quali Saison o Lambic, generi che accolgono petali quali quelli del sambuco.

In quali birre sono ricorrenti? In virtù di tale combinazione di evenienze, risulta chiaro come assai ampio sia il novero di stili in corrispondenza dei quali ci si trova al cospetto di percezioni di tipo floreale: da alcune basse e alte fermentazioni tedesche (Pils, Keller chiare. Weizen) a molte categorie del repertorio statunitense e nuovomondista (Apa, Ipa, Double Ipa, White Ipa…); dai già citati segmenti della scuola brassicola belga (Saison e Blanche anzitutto, ma anche Abbey Tripel ) ad alcune delicate referenze di ascendenza britannica (Bitter, Ipa, Golden Ale).

Le principali sensazioni floreali nella birra

Rosa. Pianta appartenente al genere delle rosacee, originaria dell’Europa e dell’Asia, conta circa 150 specie diverse. I suoi fiori – al netto delle differenze tra le varie tipologie – regalano un aroma avvolgente e sensuale, la cui meccanica di comunicazione e percezione è determinata dalla sinergia tra almeno una trentina di composti chimici. In tale novero, le ricerche suggeriscono l’individuazione di alcune molecole di maggior impatto: ossido di rosa, un monoterpene, la cui formula Iupac (International union of pure and applied chemistry ovvero Unione internazionale di chimica pura e applicata) è tetraidro-4-metil-2-(2-metilpropenil)-2H-pirano; beta-damascenone (chetone monoterpenico); 2-feniletanolo (un alcol, altrimenti noto come feniletilico) e linalolo (alcol terpenico).

Gelsomino. La diverse specie di questa pianta appartengono (insieme ad altre, per un totale di circa 200) al genere Jasminum, a sua volta facente capo alla famiglia delle Oleacee. Suadente e carezzevolmente morbido, il profumo dei loro petali va a merito dell’azione combinata svolta da parte di oltre 100 molecole osmofore: tra le quali il peso di maggior impatto, stando alle conclusioni attualmente raggiunte dalle ricerche in materia, sembra spettare a un gruppo ristretto di composti: cis-jasmone (un chetone), farnesolo e nerolidolo (due alcoli terpenici). Accanto ad essi, in funzione gregaria, esteri quali benzil acetato, benzil benzoato, metil antranilato; altri alcoli quali il benzilico e il linalolo; un eterociclclo aromatico, l’indolo.

Camomilla. Oltre quaranta le diverse molecole identificate dalle indagini sulla composizione chimica del profumo dei fiori di camomilla, pianta (la denominazione scientifica è Matricaria Chamomila) che appartiene al genere Matricaria e, risalendo gli ordini di classificazione, alla famiglia delle Asteracee; e che è ben nota per il suo ruolo nei costumi alimentari, giacché i suoi fiori, una volta persi i petali ma non ancora appassiti, vengono essiccati onde ricavarne infusi. Il caratteristico aroma sembra dovuto, in particolare, all’incidenza odorosa di alcune sostanze: l’alfa-bisabololo (un alcol terpenico) e il suo ossido; l’eucaliptolo (o 1,8 cineolo), etere terpenico associato a sensazioni balsamiche, di eucalipto, appunto; il  linalolo, alcol terpenico il cui apporto contribuisce anche al “naso” del bergamotto, della rosa,  e delle uve appartenenti alla famiglia dei Moscati.


Peonia. Comprendente 37 diverse specie (alcune erbacee, altre arbustive), quello della Peonia rappresenta l’unico genere della famiglia delle Peoniacee: si tratta di piante dai petali multicolori e dai profumi delicati, puliti e quasi materni, caratterizzati da circa 40 diverse sostanze odorose, tra le quali – considerando appunto le molteplici varietà del fiore in questione – alcune sistematicamente ricorrenti e considerate di primaria importanza nel meccanismo di comunicazione olfattiva: alcol feniletilico (che troviamo presente in misura significativa anche nel naso della rosa); beta-cariofillene (idrocarburo terpenico rilevato anche nel Dna  aromatico anche di pompelmo rosa, cannella, chiodi di garofano e fiori di cotone); tre alcoli terpenici, linalolo (il cui apporto contribuisce anche al profumo del bergamotto, della rosa  e delle uve appartenenti alla famiglia dei Moscati), citronellolo (tra i cardini della citronella, olio essenziale ricavato dall’erba cedrina) e nerolo.

Ginestra. Con questo nome si designano comunemente numerose specie di piante (comprese soprattutto tra i generi Calicotome, Cytisus, Genista, Spartium, Ulex), appartenenti alla tribù delle Genistee, la quale a sua volta fa capo alla famiglia delle fabacee. Al netto delle differenze che corrono tra le diverse specifiche tipologie, il profumo dei loro fiori, stando ai risultati delle indagini condotte sul loro Dna olfattivo, evidenzia come ricorrente la presenza e il ruolo di un nucleo ristretto di composti: linalolo (alcol terpenico il cui apporto contribuisce anche al profumo del bergamotto, della rosa e delle uve appartenenti alla famiglia dei Moscati), acido tetradecanoico (o miristico), canfora (chetone che troviamo nel genoma odoroso anche del coriandolo e della cannella) acido dodecanoico (o laurico). Da notare peraltro l’identificazione, nella composizione dell’aroma di alcune specie, di altri due acidi, il linoleico e il palmitico.

Zagara. Termine derivante dalla voce araba zahara, indica in senso proprio il fiore di qualsiasi agrume ossia di ogni pianta appartenente al genere Citrus; nella pratica corrente, designa tuttavia in particolare le corolle del limone, del bergamotto e dell’arancio; e nel vocabolario della degustazione, coincide sostanzialmente con quest’ultima fattispecie. Il loro olio essenziale, detto neroli, consta di oltre 30 componenti chimiche; tra le quali le più significative risultano quelle del limonene (idrocarburo terpenico presente nel Dna olfattivo di praticamente tutti gli agrumi stessi e qui rilevato in valori pari al 27.5%); di alcuni alcoli terpenici quali nerolidolo o peruviolo (responsabile di sensazioni legnose ed evocanti la corteccia fresca), la cui quota parte corrisponde al 17.5%), alfa-terpineolo (associato a percezioni floreali di lillà e giacinto, qui sul 14%), trans-trans-farnesolo (floreale generico, con un indice dell8%); dell’alfa-terpinil acetato (estere ilcui contributo dimensionale si aggira attorno al 12%).

Tiglio. Il nome tiglio è comunemente assegnato a una notevole varietà di specie arboree ad alto fusto (fino a 65 tipi, secondo alcuni: avendo la capacità di incrociarsi agevolmente, generano incroci dai caratteri ibridi tali da rendere non facile l’approccio tassonomico), appartenenti al genere Tilia; a sua volta facente capo alla famiglia delle Malvacee. Al netto perciò delle differenza tra caso e caso, l’analisi del profumo dei fiori di alcune specie di questi alberi evidenzia la presenza, in proporzioni piuttosto consistenti, di alcune sostanze (sul totale identificato di una cinquantina circa): tra esse il fitol chetone (6,10,14-trimetil-2-pentadecanone); due idrocarburi, tricosano ed eneicosano; il nonenale (aldeide); l’acido linoleico; l’anetolo (etere fenolico conferitore di sentori di anice); carvone (altro chetone, associato a impressioni mentolate).

Artemisia. Circa 400 le specie appartenenti al genere Artemisia, a sua volta facente capo al genere delle Asteracee; si tratta di piante di altezza massima attorno ai due metri, provvisti di fiori a simmetria radiale. I quali, al vaglio delle analisi condotte sul loro profilo aromatico e confrontando, appunto, le numerose tipologie esistenti, rivelano un Dna olfattivo che sembra costituirsi di una quarantina di molecole; tra esse, quelle ricorrenti (e quindi presumibilmente determinanti per il loro contributo odoroso) sono le seguenti: artemisia chetone (3,3,6-Trimethylhepta-1,5-dien-4-one); eucaliptolo (o 1,8 cineolo, etere terpenico associato a sensazioni balsamiche); tujone (chetone la cui presenza è riscontrata nel genoma odoroso di assenzio, issopo e salvia); alcuni idrocarburi terpenici quali beta-pinene, cariofillene, canfene e germacrene.

Caprifoglio. Piante legnose con portamento arbustivo, sono circa 200 quelle facenti capo al genere Lonicera (originario dell’area tra Himalaya e Cina occidentale), a sua volta appartenente alla famiglia delle Caprifoliacee. Tra esse i caprifogli detti alpino, comune, mediterraneo e peloso (Lonicera xylosteum); fusti i cui fiori emanano profumi dalla costituzione chimica assai articolata (le analisi rivelano, in funzione delle diverse tipologie la presenza di un numero di molecole che può arrivare fino a 150): nel complesso della quale, tuttavia, sembra potersi circoscrivere un nucleo di composti ricorrenti e determinanti in termini di contributo odoroso. Si tratta del linalolo (alcol terpenico il cui apporto concorre a definire anche la fragranze del bergamotto, della rosa e delle uve appartenenti alla famiglia dei Moscati), del cis-jasmone (un chetone che troviamo in forze anche nel naso del gensomino), del cis-jesmin lattone (dal timbro fruttato), del metil jasmonato (estere dell’acido jasmonico).

Biancospino. Nome comune della specie Crategus Monogyna, il biancospino è un piccolo albero (l’altezza varia tra il mezzo metro e i sei), di natura spinosa, che si adorna di fiori dal colore giallo rosato. Il loro profumo, caratteristico e fresco, sembra dover considerarsi il frutto dell’interazione tra diverse decine di molecole (un’ottantina); tra le quali, quelle rilevate con valori percentuali maggioritari risultano essere quelle della benzaldeide (o aldeide benzoica, cui corrisponde un naso che ricorda il marzapane), del butanale (o butirraldeide o aldeide butirrica, dal pungente carattere olfattivo associato al sudore), del trans-2-esenale (altra aldeide, correlata a temi erbacei).

Achillea. Conosciuto in varianti che corrispondono a un centinaio di specie e caratterizzata da morfologia essa stessa assai diversa in funzione della specifica tipologia (alcune di taglia nana, altre al contrario di dimensioni notevoli), il genere Achillea appartiene al genere delle Asteracee; e raggruppa piante caratterizzate da fiori di colore bianco o giallo. Il cui profilo odoroso, risultato dell’interazione tra oltre 70 molecole, evidenzia tuttavia (al netto delle differenze che corrono tra le singole specifiche varietà) la presenza di un nucleo ristretto di composti chimici cui poter assegnare un ruolo di maggior rilievo. Tra essi un’aldeide, il 2 metilbutanale, associata – in funzione delle concentrazioni – a note pungenti, di caffè o di animale, in particolare di caprino; e poi una serie di idrocarburi terpenici, alfa-pinene e beta-pinene, canfene (portatore di sensazioni legnose e canforate), gamma-terpinene, beta-cariofillene, alfa-umulene, germacrene (legnoso), candinene e tujene (presente, rispettivamente anche nei genomi olfattivi di ginepro e santoreggia).

Bosso. La denominazione di Buxus spetta a un genere della famiglia delle Buxacee: ad esso fanno capo circa cento specie diverse, tra le quali il Buxus Semperviridens è conosciuto correntemente come bosso comune, mortella o bossolo. La sua corteccia e i suoi fiori presentano una caratterizzazione odorosa che, risultante dalla combinazione di oltre 100 molecole, sembrerebbe dovere le sue peculiarità, non di rado avvertite come pungenti, aggressive e non esattamente gradevoli (la si associa a descrittori quali urina di gatto o sperma), ad alcune molecole quali il 4-mercapto-4-metil-2-pentanone (composto solforato che troviamo anche nel Dna olfattivo del mango) e alcuni alcaloidi, in particolare la cicloprotobuxina D e la Cicloprotobuxina F.

Geranio. Ramificato in realtà circa 60 specie, è il Pelargonio (Pelargonium nella tassonomia scientifica), genere botanico appartenente alla famiglia delle Geraniacee, la categoria di piante alle quali, nell’insieme e sommariamente, ci si riferisce con l’appellativo di geranio. Tra le diverse tipologie lo Zonale, o Comune, è quello che si presenta provvisto di foglie pelose e cuoriformi, contraddistinte da un anello più scuro; mentre la varietà Odoratissimum (geranio odoroso) si caratterizza per le fronde scandita da fiori bianchi o rosa (dal tipico profumo di mela) e rigogliose di foglie piccole, frastagliate e aromatiche. Una ventina le molecole che contribuiscono a definire la fragranza di queste piante; tra esse, il maggior peso specifico spetta a un gruppo ristretto nel quale troviamo alcoli terpenici come citronellolo (tra i pilastri dei Dna olfattivo anche della citronella, olio essenziale ricavato dall’erba cedrina), geraniolo (lo troviamo anche nel naso della rosa e dell’appena citata citronella), linalolo (assai ricorrente nella chimica degli odori: è rilevato ad esempio in quelli di rosa, lavanda, bergamotto e uva Moscato) e gamma-eudesmolo (associato a percezioni legnose); esteri quali quali formiato (o metanoato) di citronellile e di geranile; chetoni (dall’apporto balsamico) come il mentone e cis-mentone.