Degustare una birraIn vetrina

I difetti della birra: il colpo di luce o lightstruck

Nei paesi anglosassoni qualcuno lo invoca con l’aggettivo foxy, non certo nella traduzione sensuale, quanto più letteralmente a riferimenti animaleschi. Più spesso si sente parlare di skunky, in omaggio alla puzzola, animale non certo famoso per il suo profumo. Una versione italiana del termine non esiste, a meno di non voler ricorrere al termine puzzoloso, utilizzato però come variante generica di maleodorante, non come voce specificamente legata alle peculiarità del mefitico carnivoro in pelliccia bianconera. Il che ci porta ad usare direttamente il nome del difetto in questione usando l’inglese lightstruck, o la traduzione italiana, colpo di luce, o se vogliamo gusto luce, come si traduceva una volta, agli albori della corsistica nel nostro Paese. 

Ma il punto è: cos’hanno da spartire, reciprocamente, la radiazione luminosa e un mustelide? Ebbene, a costituire il nesso è proprio la birra; o, meglio, una tra le sue possibili alterazioni, meglio dire degradazioni, organolettiche: in un caso stiamo parlando della causa scatenante, nell’altro dell’effetto. Cerchiamo dunque di andare, come sempre, per gradi. L’origine di questo specifico difetto, documentato nel 1875 dal chimico tedesco Carl Lintner, che precisiamo subito, non è mai ammissibile, in nessuna tipologia e ad alcun livello di concentrazione, risiede nell’esposizione ai raggi luminosi della nostra birra – in tal senso le maggiori molestie arrivano in primis dalla luce solare ma anche da quella artificiale fredda (come i neon) – che determina, intervenendo sugli iso-alfa acidi (isoumuloni) presenti nel luppolo, la formazione di composti chimici appartenenti alla famiglia delle sostanze solforate e, in particolare, all’area dei mercaptani o tioli (dando vita al 3-metil-2-buten-1-tiolo). La presenza di queste molecole viene percepita come estremamente sgradevole, e subito associata a stimoli odorosi quali quelli aventi a che fare con la decomposizione degli scarti di vegetali e frutta, con il sudore ascellare, al caffè appena macinato, e, appunto, con il fluido corporeo spruzzato dalla puzzola. Come se non bastasse, con una soglia di circa 4 parti per trilione di birra, il difetto in questione è tra i composti aromatici più potenti che si possono trovare nelle nostre pinte. 

Quali i contesti in cui il danno tende a presentarsi più frequentemente? Tutti quelli che prevedano l’eventualità di una esposizione a raggi solari e a esposizioni prolungate a luci artificiali di contenitori più o meno trasparenti. Esclusi dal rischio, dunque, i fusti in acciaio e le lattine; mentre a essere vulnerabile è il vetro. Poiché il responsabile sono raggi con lunghezza d’onda tra 350 e 500 nanometri (l’estremità blu dello spettro) e la luce ultravioletta che ha lunghezza d’onda inferiore a 400 nm, la soluzione è usare bottiglie marroni o verdi scure che schermano in parte la luce (il vetro marrone protegge lunghezze d’onda inferiori a 500 nm, meno tutela abbiamo dal vetro verde). Inutile dire che il vetro trasparente offre una protezione pari a zero, motivo per cui la Corona è sovraesposta: ma del resto questo non fermerà gli aficionados, né il rito della fettina di limone.

Da sottolineare inoltre che se da un lato, è vero, che il colpo di luce risulta tratto tipico delle referenze commerciali, pensiamo alla Beck’s, proprio in virtù della probabilità di incorrere in un cattivo stoccaggio o in un non adeguato confezionamento, è altrettanto vero che il marchio industriale ricorre non di rado a una soluzione produttiva, ovvero all’utilizzo (in luogo di fiori o pellet) di estratto di luppolo preisomerizzato, tale da rendere la birra notevolmente meno aggredibile da parte dell’insidia ultravioletta.

Ma colpevoli della creazione di questo difetto possiamo essere anche noi bevitori, che per goderci la nostra pinta all’aperto esponiamo il liquido nel bicchiere ai raggi solari. Un problema che può colpire rapidamente – questione di secondi – soprattutto le nostre amate IPA, del resto maggiore è la luppolatura, maggiore l’intensità della problematica. Con questo non vogliamo auspicare la nascita di ombrellini proteggi-birra, però sappiate che la puzzola in questi contesti è dietro l’angolo!