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Felicità è fare la birra: parola di Charlie Papazian

È universalmente considerato il padre putativo della renaissance americana, ha dato slancio alla scena dell’homebrewing, costruendo un intero movimento e vendendo milioni di copie con i suoi libri. Il mondo americano della craft revolution deve molto a Charlie Papazian, pioniere ormai congedatosi anche dalla sue creature American Homebrewers Association e Brewers Association. Insomma, stiamo parlando di un monumento che si è mosso tra i decenni più scoppiettanti della scena birraria, ancora teneramente legato ad un’idea romantica e intima del fare birra, tanto da concedersi umilmente a noi in una sincera intervista.

Ci spieghi cosa è stato The Complete Joy of Homebrewing per il mondo birrario americano degli anni 80?
Ho pubblicato le prime due edizioni in maniera indipendente nel 1976, mentre il libro completo fu pubblicato nel 1984 e all’epoca c’erano pochissimi volumi a tema in giro. Ce n’erano solo alcuni in UK e un paio americani in cui si accennava al processo, ma con quel libro avevo in mente di comunicare anche concetti ben precisi: l’homebrewing può essere un hobby molto divertente. Volevo anche stimolare il lettore a riflettere su quanto il processo di produzione di una birra fosse replicabile in casa e volevo aiutarlo a capire cosa fare in caso di errori e di dubbi. Lo scrissi con questa filosofia, fornendo principi tecnici e scientifici ma sottolineando sempre l’invito a divertirsi, seguendo il motto: “relax, have an homebrew”. Ci tenevo a ripetere spesso che le prime volte che si produce birra in casa molto probabilmente non ci si avvicina a quello che si ha in mente, ma di sicuro ci si diverte tantissimo e che ogni volta che si fa esperienza si diventa più consapevoli, più pratici, più bravi, avvicinandosi non solo a quello che ci siamo preposti, ma anche alla soddisfazione di aver prodotto qualcosa di unico.

Com’era l’American Homebrewers Association che te hai fondato alle origini?
Ufficialmente la AHA è nata nel dicembre 1978 con la prima pubblicazione del magazine Zymurgy ed fu per me una sorta di estensione di quello che facevo negli anni ‘70: dopo aver cominciato a fare birra in casa insegnavo per alcuni corsi di homebrewing. Erano già passate centinaia di persone da questi corsi e molti lamentavano l’assenza di testi specifici su cui continuare a studiare e scambiarsi consigli ed esperienze. C’erano libri tecnici ma per birrifici in grande scala, poco adatti per la pratica dell’homebrewing. Nel 1976 alcuni partecipanti ai corsi ebbero l’idea di creare una newsletter per aiutare la gente a produrre birre differenti e sempre più buone. Stavamo creando una sorta di social network prima che ci fossero davvero i social, connettendo diverse esperienze tra i vari stati americani e tra i diversi negozi e club di homebrewer. La AHA fu quindi un’estensione dei corsi e di quel network e divenne un gigantesco punto di incontro che prima non esisteva. Moltissimi anni dopo creammo un’organizzazione e cominciammo a comunicare sempre meglio, ma non avevamo particolari piani sul futuro, sulla pubblicazione editoriale, etc. Ora tutto questo c’è.

Come ti spieghi l’impatto che la cultura dell’homebrewing e della craft beer ha avuto sugli americani?
Ciò che ha prodotto la AHA è proprio la trasformazione dell’homebrewing da pratica di nicchia a hobby collettivo che conosciamo tutti nel mondo. Oggi, a partire dagli homebrewer fino ai birrai di piccoli e medi birrifici, si rintraccia questo spirito di condivisione e collaborazione, uno dei tratti distintivi del mondo craft. È stata questa la chiave della diffusione dell’homebrewing nel tessuto sociale americano e a seguire in tutto il mondo. Non vediamo collaborazioni tra grandi birrifici industriali, ma al contrario l’ambito craft è fatto di incontri, amicizia e condivisione. Tutto questo era necessario per crescere, far sopravvivere e rilanciare il mondo craft. E così è stato.

Ritenevi prevedibile che l’influenza americana sugli homebrewer e microbirrifici nel mondo sarebbe stata così evidente?
Se fai birra in casa, ti diverti e te la godi, tutto diventa possibile. È così è successo in tutto il mondo, in ogni quartiere, città, paese. Insomma: quando bevi e sai sognare, possono venire fuori azioni folli ma sorprendenti!

Rispetto a quando hai cominciato tu, è cambiato lo spirito con il quale si faceva birra in casa considerando il fenomeno che è diventato negli ultimi decenni? Oggi è più facile o è ugualmente una sfida?
È più facile rifornirsi di materie prime, ovviamente, mentre negli anni ‘70 si facevano solo birre con estratti di malto. Non c’era quasi nessuna esperienza con la produzione all grain, ma le cose cambiarono presto, a metà anni ‘80: in un concorso nazionale vinse una birra all grain e tutti fummo un po’ sorpresi che la birra vincitrice fosse realizzata con una tecnica che non era molto considerata allora. Tutti cominciarono a fare domande su questo processo e così si scese più nel dettaglio della produzione all grain, sia con la pratica che negli approfondimenti dei libri. Oggi è tutto più semplice, per la facilità anche di reperire attrezzature, ma soprattutto per l’accesso alla conoscenza e alle informazioni. Prima dell’era di internet dominava il passaparola, il confronto dal vivo e lo studio sui pochi libri, ma ora è tutto più accessibile e sicuramente più facile. Ma una cosa è certa: lo spirito dell’homebrewing non può perdersi nel tempo.

Come ti venne in mente la creazione del filtro Zapap?
Nei primi ‘90 sono stato in viaggio per la prima volta in Europa e in particolare in Inghilterra. Lì ho visitato molti piccoli birrifici, ho visto come producevano birra e ho parlato con i piccoli produttori sulle tecniche, sulle modalità che alcuni del posto adottavano per scalare alcune ricette sui loro impianti. Penso sia stato proprio qualcuno di questi che a un certo punto mi fece notare che per filtrare bastava bucherellare il fondo di un secchio in plastica alimentare facilmente reperibile. Pensai che in effetti sarebbe stata una bella idea, e allora cercai di combinare un secchio forato con un altro secchio intero per assemblare un filtro Zapap e per separare le trebbie dal mosto. Il concetto alla base di questo filtro era quello di dare un’idea pratica, di semplice realizzazione e che liberasse da timori, ansie, frustrazioni legate al dilemma di come filtrare al meglio il mosto. Funzionò, nonostante i dubbi su quanti fori andassero fatti e sulle dinamiche della filtrazione, e per tutti quelli che cominciavano a fare birra fu fondamentale per individuare chiaramente questa fase del processo e per eseguirla in un mondo tutto sommato efficace.

Noti differenze di mentalità, di approccio e di ricerca del risultato negli homebrewer europei rispetto agli americani?
Oggi c’è una grande differenza tra americani e europei nel modo di approcciarsi all’homebrewing. Ad esempio gli appassionati che vivono in UK, Australia, Canada, Nuova Zelanda spesso si avvicinano all’homebrewing perché i governi applicano tasse parecchio alte e i prezzi della birra sono elevati. Quindi in molti sono mossi dal risparmio. Gli americani, invece, hanno cominciato a produrre birra in casa solo quando, viaggiando in Europa, si sono accorti che c’erano in giro birre decisamente migliori di quelle americane prodotte dai grandi birrifici industriali, spesso noiose e omologate, seppur economiche. Noi volevamo fare buone birre, ma inizialmente la maggior parte delle materie prime che venivano importate erano di provenienza inglese e spesso contenevano l’occorrente per produrre birre di qualità mediocre ma economiche, perché quello era l’obiettivo per il quale in quei paesi si produceva in casa. Le birre venivano bene, aveva il sapore di una birra, ma non era sufficiente. Io volevo che le birre fossero buone ma migliori di quello che si trovavano in giro e simili ad alcune birre europee più note (Guinness Stout, Bass Ale e le lager commerciali tedesche). In generale gli europei sono partiti più tardi con questa filosofia, probabilmente perché avevano accesso a birre di qualità e a prezzi più ragionevoli rispetto agli americani.

Ritieni che l’homebrewing abbia anticipato, influenzato e dato direzioni produttive ai microbirrifici in modo importante?
Un tempo i birrai quasi sempre avevano un’esperienza da homebrewer alle spalle e diventavano tali semplicemente trasportato il loro hobby ad un livello più alto, nel mondo professionale. Credo che ancora oggi avvenga spesso questo processo e credo che i birrai continuino a essere ispirati dagli homebrewer. Oggi prendono il sopravvento mode e birre più inflazionate, come si registra nei concorsi, che sono invasi dalle varie NEIPA e Imperial Stout, ma ci sono anche delle belle e sorprendenti sperimentazioni, un po’ pazze. Penso che tuttora alcune idee innovative nascano da alcune illuminazioni dopo che un birraio ha assaggiato una birra di un homebrewer.

Fai ancora birra in casa?
Sì, certo, sono ancora un homebrewer. Ho prodotto proprio lo scorso weekend. Nel fermentatore in questo momento ho una IPA e una Schwarzbier. Amo molto le lager europee. Ho in lagerizzazione una via di mezzo tra una Helles e una Pils di ispirazione tedesca a cui ho aggiunto molto luppolo in dry hopping, come una di quelle birre a volte chiamate Italian pilsner. Faccio diverse birre, anche fuori dagli schemi. Coltivo anche miei luppoli: uno di questi l’ho scoperto casualmente su un’isola del Maine, probabilmente sarà stato piantato un paio di secoli fa e nessuno sa da chi. Forse sarà stato introdotto da qualcuno che proveniva dalla Germania, perché sembra molto vicino a quei luppoli nobili tal tocco erbaceo molto elegante. Faccio birra circa 20 volte l’anno, ogni volta i classici 20 litri (5 galloni) alla volta, quasi sempre all grain: non voglio produrre batch più grandi perchè amo fare birra, mi piace l’odore del malto e del luppolo e cerco di farlo più spesso che posso.

Secondo te quale sarà la prossima “next big thing” nell’homebrewing?
Di solito le grandi tendenze arrivano una alla volta, ma oggi sono tantissime le novità che si sono presentate contemporaneamente davanti agli homebrewer di tutto il mondo. Tra le più interessanti ricordo la diffusione dei lieviti kveik dalla Scandinavia destinati a cambiare ulteriormente il mondo dell’homebrewing, perché certi ceppi sono decisamente interessanti. Anche le varietà di luppolo si stanno ulteriormente espandendo e ulteriori novità saranno in grado di trainare ancora il mondo craft. Un’altro aspetto importante è la riscoperta di ricette del passato, di uno o due secoli fa, molto interessanti da calare nel presente e dal grande potenziale.

Il tuo cucchiaio con cui producevi è stato esposto al celebre museo di storia americana Smithsonian’s: che sensazione hai provato quando l’hai saputo?
Ne sono rimasto molto sorpreso, non ci potevo credere. In pratica, è stato talmente importante come avvenimento che forse ha creato più interesse verso l’homebrewing di tutti gli anni passati nella divulgazione. Ho avuto un sacco di affetto da gente che ha esultato per questa piccola conquista. Quel cucchiaio è stato davvero usato da migliaia di miei corsisti a tal punto che davvero ciò che è esposto rappresenta una comunità di homebrewer. E ne sono molto contento!