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English Pale Ale: storia ed evoluzione

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La storia delle Pale Ale ha il suo punto d’avvio nella Gran Bretagna del XVIII secolo: scenario in cui le modalità correnti di essiccazione del cereale (a fiamma diretta) trasferiscono in miscela semi cotti in modo tale da conferire al mosto colori sostanzialmente uniformi.

Attestati su tonalità di bruno più o meno intenso, non di rado alle soglie dell’ebano e con frequenti incursioni in territorio torrefatto-bruciato. Ebbene, questo quadro consolidato subisce uno scossone con l’entrata in scena (è il 1642) dei forni a getto d’aria; il cui funzionamento, consentendo di modulare le temperature di trattamento dei chicchi, permette di ottenere birre anche decisamente più chiare. Birre caratterizzate da un color ambra che se poste a confronto con gli standard cromatici di allora, possono ben risultare pallide. E infatti, pochi decenni dopo la loro iniziale comparsa sulla ribalta, ricevono (siamo ai primi del Settecento) il conseguente battesimo di Pale Ale. Il loro identikit in sintesi? Grado alcolico medio-leggero (nella gran parte dei casi attorno a quota 5% vol.); tematiche olfattive richiamanti biscotto, frutta secca e caramello, nonché il floreale e terroso dei luppoli di Sua Maestà (qui molto più avvertibili di quanto non lo siano sotto la tirannide delle poc’anzi menzionate note roasted e burnt); corpo tendenzialmente agile, attraversato da una curva gustativo-palatale fluida e bilanciata nella dissolvenza dolceamaricante. 

Il debutto della Pale Ale (ripetiamo, una novità assoluta, portatrice di una moda di assoluta avanguardia) smuove, nel panorama brassicolo del Regno Unito, la percussione tellurica di una rivoluzione, destinata a propagare le proprie onde d’urto in molteplici direzioni. Da un lato scompagina gli abituali equilibri di mercato, costringendo i produttori tradizionali di birre più scure (ai quali è interdetto l’accesso ai nuovi malti, dato il loro prezzo più elevato in conseguenza del costo tecnologico degli stessi forni a getto d’aria), a elaborare strategie di difesa e contrattacco.

Quelle strategie che porteranno alla nascita delle Porter e delle Stout. Su un altro fronte, poi, l’avvento delle modernissime ambrate pone le basi per la fondazione di una neonata genealogia stilistica; la cui messa in moto richiede un po’ di pazienza. Due sono i fattori che determinano questo effetto diesel: il primo è rappresentato dalla dispendiosità delle Pale Ale medesime (non a caso vengono spesso chiamate Twopenny, giacché questo è il loro valore, al banco, volendo berne una pinta, mentre per le altre si sborsa qualcosa come 1,25 o 1,35 pence); il secondo fattore frenante è costituito dal successo riscosso, a partire dal secondo quarto del Settecento, dal filone Porter-Stout, che ritarda l’offensiva delle rivali color rame. Ma è solo questione di lasciar scorrere le lancette dell’orologio universale. Passa un centinaio d’anni; la spesa per procurarsi i malti essiccati nei forni diminuisce; e così le Pale Ale escono progressivamente dal loro recinto dorato di bene di lusso (in principio appannaggio esclusivo dell’alta borghesia e dell’aristocrazia terriera, dalle quali sta sorgendo la classe capitalistica motore della rivoluzione industriale).

La platea dei consumatori delle pallide si allarga incessantemente, anche perché, nella cornice generale della progressiva costruzione di un esteso settore manifatturiero, cospicue quantità di lavoratori si trasferiscono dai campi alle officine, via via maggiormente meccanizzate, dove vengono a svolgere attività più alienanti, certo, ma comunque meno pesanti. E così, allo stesso modo, meno pesanti, meno bruciate e più rinfrescanti sono le bevute richieste da questo nuovo esercito di salariati, per placare la propria sete. Il XIX secolo segna il ciclo d’oro delle Pale Ale, l’impennarsi del ramo ascendente nella parabola delle loro affermazione, della loro crescita in popolarità. E, per la serie corsi e ricorsi (si veda quanto accadrà, a cavallo tra fine Novecento e primi Duemila, negli Stati Uniti, con le American Ipa), quando un genere birrario assume posizioni egemoniche, in automatico dà luogo a ramificazioni, orientate potenzialmente a elevarsi esse stesse alla dignità di stile. Detto fatto: da altrettante costole della Ale prendono vita alcune tipologie derivate; ognuna, sul medio-lungo periodo, proiettata verso l’acquisizione di specifici tratti caratteriali e fisionomico: le Irish Red Ale, le India Pale Ale e le Bitter.

 

L’evoluzione

Tra Settecento e Ottocento la filiera della Pale Ale compie passi importanti non solo in termini di accessibilità economica (grimaldello per conquistare il settore di mercato occupato dal consumatore dotato di un modesto potere d’acquisto), ma anche sotto il profilo del perfezionamento delle tecniche produttive e, quindi, della resa qualitativa.

S’impone, ad esempio, la vocazione – verso il segmento delle ambrate – da parte di distretti territoriali baciati dal possesso di condizioni specificamente propizie alla loro preparazione: come quello circostante la cittadina di Burton on Trent, attraversato da acque dure in solfati (di gesso e magnesio), inclini ad amplificare le resine amaricanti messe in circolo dal luppolo. Requisito che risulterà determinante, per quest’area dello Staffordshire, al fine di ritagliarsi una posizione di spicco nell’avanzata vittoriosa delle pinte ambrate (e, soprattutto, nello sviluppo delle loro gemmazioni più luppolate, le già ricordate Ipa). Per farla breve, in virtù di un articolato intreccio di fattori, quella che è stata, agli albori, una presenza elitaria sul palcoscenico birrario del Regno Unito, diviene gradualmente un genere di larga diffusione. Ed eccoci a un secondo snodo cruciale del nostro racconto: la genesi, a partire dal Dna Pale Ale, di una progenie birraria che del patrimonio cromosomico di provenienza è gemmazione ed erede diretta, quella delle Bitter.

La tipologia madre, che è ragionevole supporre fosse preparata con quantità tutto sommato moderate di luppolo (la designazione Ale e non Beer, accanto a Pale, rende legittima una simile ipotesi), conosce, nei decenni, uno sviluppo distributivo e di fruizione tale da costituire, esso stesso, una piccola rivoluzione nei costumi inglesi. Le pallide, infatti, in virtù della diffusione del vetro, incontrano un consistente successo sul fronte del consumo domestico, nelle versioni in bottiglia. Bottiglia al cui interno mantengono fragranze e freschezza, presentandosi, alla bevuta, in forma migliore rispetto alle corrispettive edizioni destinate alla spillatura nei pub (a pompa, direttamente alla mercè del contatto con l’aria, dunque dell’ossidazione e dello svigorimento delle prerogative sensoriali).

Ebbene, per compensare questo svantaggio, le Pale non imbottigliate prendono a essere preparate con alcuni accorgimenti: impasti di cereale pensati per ottenere, insieme a note più marcate di biscottato, anche una colorazione tendenzialmente più scura (sul ruggine, tale da reggere meglio gli accennati processi ossidativi); una gradazione mediamente minore, così da velocizzare lo svuotamento dei fusti in legno; maggiori dosi di luppolo (se non in assoluto, in proporzione alla struttura del prodotto, più leggero in corpo e alcol), onde avere un’amaricatura più netta e decisa, a rappresentare l’elemento saliente nell’esperienza complessiva del sorseggio. Un’amaricatura in virtù della quale s’impone spontaneamente l’appellativo di Bitter, con cui rapidamente vengono a essere designate per distinguerle dalle altre. Di fatto, emerge e si profila un’ulteriore categoria stilistica; sulla comparsa della quale, tra l’altro, non è fuori luogo una sottolineatura con cui sgombrare il campo da possibili fraintendimenti. Il radicamento di queste birre nell’ambito della somministrazione al pub, secondo la liturgia più storica (senza confezionamenti in acciaio, ma attingendo direttamente dalle botticelle in legno, appunto con spillatura a pompa o a caduta) ha fatto sì che le Bitter siano poi divenute per antonomasia le pinte della tradizione: percepite, in un certo immaginario collettivo, come più antiche; mentre al contrario, come tipologia in senso specifico, vedono la luce appunto nel corso dell’Ottocento.