Come realizzare una baltic porter
La genesi di queste birre non è semplicissima, ma è un altro degli stili ripescati e ammodernati che caratterizzano i nostri giorni. Non capita di bere moltissime baltic porter, ma i pochi esempi che ora sbucano anche da birrifici craft testimoniano il potenziale di questa robuste dark lager.
UN IBRIDO DI SUCCESSO
Non è insolito associarle alle cugine ad alta fermentazione di ispirazione anglosassone (come imperial stout o affini) ma andrebbero inquadrate diversamente, non soltanto per la differente genesi fermentativa ma perchè a volte lì dominano la prepotenza dei malti tostati e il loro uso smisurato. Parliamo sicuramente di una birra imparentata con le imperial stout e di cui c’è una enorme tradizione in tutto l’est Europa a seguito dell’eredità lasciata da Albert Le Coq e delle produzioni che già a inizio ‘800 compaiono sulle coste del Baltico. In alcune aree, specialmente in Polonia, la produzione si sviluppò più naturalmente usando lieviti a bassa fermentazione, date le temperature e la grande influenza che stavano avendo anche le scure bock bavaresi. Le tostature nelle lager solitamente non sono mai molto aggressive, tuttavia nelle baltic porter si tocca il punto massimo rispetto ad altre, anche per elevare la birra e andar dietro alla gradazione alcolica più spinta e al conseguente calore sviluppato, il che porta anche ad esaltare note di liquirizia e talvolta anche strascichi vinosi.
COSTRUIRE DAL BASSO
Per partire a costruire una baltic porter bisogna gettare delle solide fondamenta. Occorre ci sia fermentabilità e uno scheletro robusto che bilanci la pulizia che una lager abitualmente sviluppa dopo la maturazione. Motivo per cui spesso ad una buona parte di malto Pils (50-60%) si affianca in minor dose anche Monaco (20-30%) o magari Vienna. Il carattere dominante nella struttura maltata deve portare a sensazioni di prodotti da forno, di melassa e anche di uno strato vagamente caramellato: per questo motivo va costruito anche un layer più complesso, che attinge da malti speciali come un Crystal medio o scuro in qualche punto percentuale (5-7%). Per giungere tra i 7 e i 9 gradi alcolici le quantità devono essere abbastanza importanti, per cui probabilmente va scalata la cotta su un batch di dimensioni leggermente più piccole di quelle che il proprio impianto concede. Cedere alle tentazioni dello zucchero, tutt’altro che in linea con lo stile, nè particolarmente affine ai lieviti lager. Uno step unico a 67°C può andare bene in ammostamento, per assicurare facilità di fermentazione senza eccedere nella ricerca di destrine, conferite in parte anche dai malti caramello.
SI FA PRESTO A DIRE TOSTATI
Resta poco spazio per i malti tostati, ma non ci sono errori: il contributo non deve essere esagerato nelle interpretazioni classiche (4-7%), mentre nelle produzioni più attuali può sfiorare quasi quelle usate per le imperial stout (8-12%). Il consiglio è quello di affidare ai malti tostati la funzione cromatica, colorando la birra con sfumature dal violaceo all’ebano, mostrando certamente anche quei muscoli dei sapori di caffè e cacao ma senza appesantire la bevuta. Come in diverse birre del gruppo delle dark lager, le soluzioni più vincenti arrivano dai tostati decorticati, come i Carafa Special di Weyermann o analoghi di altre malterie. Per questo compito è importante distinguere i vari tipi, ma già con un Carafa Special I si apportano sufficienti note di moka e fava di cacao, impattanti senza strascichi astringenti e graffianti.
Un’altra soluzione può essere quella di usare del Pale Chocolate, un tostato molto delicato, o perfino del Brown o un Crystal Dark in dosi massicce, ma probabilmente una piccola dose di malto tostato decorticato può servire ugualmente per correggere il colore e portarlo sulla tonalità desiderata, tra i 15 e 30 SRM circa.
PICCOLI GRANDI DETTAGLI
L’importanza del luppolo in una birra del genere è quasi trascurabile: una volta che si è pensato a come e quanto amaricare, il lavoro è quasi finito. Bello quanto futile è cercare varietà esotiche, mentre con un luppolo da amaro con alti alfa acidi come Magnum o Perle si esaurisce il compito di conferire quelle 30-35 IBU necessarie. Bisogna anche calcolare che un piccolo contributo amaro i malti tostati dovrebbero darlo, per cui non è il caso di andare oltre. D’altra parte, bisogna bilanciare a dovere l’apporto destrinico dei malti, mantenendosi su un rapporto IBU/OG medio di circa 0,4. Luppolare in aroma ha poco senso, ma se proprio si vuole dare una sferzata erbacea con qualche luppolo come Saaz o Hallertau (meglio se non troppo moderni…rischierebbe ancora una volta di avvicinarsi a qualche imperial stout) per poco più di 0,5 g/L.
Nell’acqua non si può fare a meno di privilegiare uno schema salino a favore dei malti, per cui una composizione che insista sui cloruri più che sui solfati sarà l’ideale: in generale, servirà sempre un’acqua alquanto leggera ma con una media dose di carbonati e non molto sodio, che può dare spiacevoli sensazioni salmastre e di salamoia. L’acidità è da tenere bassa in fase di ammostamento, anche intorno a valori di pH 5,1-5,2 e perfino pH 5,0 a fine bollitura: non si fa molta fatica con una piccola dose di tostati, che essendo decorticati sono abbastanza innocui in tema di astringenza.
FERMENTAZIONE E…LETARGO
Il difficile viene quando si giunge al lievito. Non tanto per il ceppo da scegliere: possiamo affidarci tranquillamente a classici di ispirazione tedesca come Bavarian Lager o Munich Lager. Importantissimo è il pitching, che nelle lager è quanto mai fondamentale e con una birra con alta densità iniziale (OG 1065-1080 circa) determina un bel quantitativo di cellule da inoculare: se parliamo di lieviti secchi e di 23L, probabilmente saranno necessarie non meno di 4-5 bustine da 11g, mentre se si acquista qualche confezione di lieviti liquidi probabilmente il calcolatore suggerirà almeno due starter abbondanti. La spesa può diventare abbastanza importante, per cui potrebbe essere giustificato anche concatenare questa cotta a una precedente di lager (chiara o scura che sia) e sfruttare la vitalità del lievito dopo opportune operazioni di lavaggio, se necessarie. La temperatura di fermentazione non dovrebbe discostarsi molto dai 10°C al di là dei ceppi, con un inoculo anche di qualche grado superiore per permettere al lievito di propagarsi a dovere prima di affrontare la scalata. Un periodo di diacetyl rest è sempre consigliato, per cui a circa 2 / 3 della fermentazione si può pian piano salire con la temperatura fino a 15-16°C per restarci 3-4 giorni. Una rampa discendente di 1-2 °C al giorno è perfetta per portare la birra a lagerizzare, non meno di 3-4 settimane su circa 1-2°C: è essenziale che una birra così complessa non solo si rifinisca bene nel tempo ma che maturi a dovere, permettendo anche ai malti tostati di svettare delicatamente con qualche venatura più vinosa, spesso conferita da qualche benevola ossidazione delle melanoidine contenute al loro interno. Se confezioniamo con rifermentazione, anche 2,0 volumi di anidride carbonica sono sufficienti a dare la giusta gasatura senza che questa si metta di traverso alle leggere sfumature tostate che saranno presenti.
Una baltic porter non è una birra semplicissima da produrre: occorre un po’ di dimestichezza con il mondo lager e con le birre ad alta densità, ma è un diversivo interessantissimo per approfondire tutto un mondo, dominato dall’alto dalle imperial stout e in qualche caso da queste quasi cannibalizzato.
BALTIC PORTER (23 L)
OG 1076 – FG 1018
32 IBU – ABV 7,7
Efficienza 73%
Acqua Mash 25 L – solfati/cloruri 0,7 – pH 5,2
Acqua Sparge 14 L – solfati/cloruri 0,7 – pH < 5,8
Mash
4,70 kg Pils (59%)
2,3 kg Monaco (29%)
0,40 Carafa Special III (5%)
0,40 Crystal Medium 60L (5%)
0,15 Crystal Dark 120L (2%)
67°C – 50’
77°C – 10’
Boil 60’
60’ – Perle – 32 IBU
0’ – Hallertau – 0,5 g/L
Lievito Fermentis W34/70 – Bavarian Lager (55g)