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Come funziona una macchina per lattine?

Il mondo della birra artigianale, si sa, si muove alla velocità della luce e spesso tende a contraddirsi da solo e a dire e fare tutto ed il contrario di tutto. E parlando di rivestimenti e contenitori, la lattina, dapprima accolta storicamente come rivoluzionaria, ha subito per decenni una forte declassazione a prodotto di qualità inferiore per poi ritornare in auge negli ultimi anni come simbolo di un nuovo modo di intendere il prodotto. La rapida metamorfosi dell’idea di birra da veicolare attraverso l’alluminio ha immediatamente allertato decine di produttori interessati, alcuni intenzionati a cavalcare l’onda di questa nuova moda e trarne un profitto di immagine, ed altri a mettere in atto un desiderio finora recondito di diffondere il proprio prodotto attraverso questo contenitore.

Sebbene il rivestimento di latta sembri diffondere l’idea di un prodotto “easy”, in realtà da un punto di vista tecnologico pone diverse difficoltà al produttore che decide di attuare questa tipologia di confezionamento, complicazioni che sono indubbiamente connesse all’importante investimento da considerare per poter rinchiudere in alluminio la propria produzione senza alcun rischio di alterazioni. Appare ineluttabile che, come già accaduto di recente con la diffusione esponenziale delle imbottigliatrici isobariche, ci sia una forte crescita dell’offerta di macchine inlattinatrici che va di pari passo con l’espansione di questo contenitore, e tra tutta questa proposta è inesorabile che ci possano essere macchine con caratteristiche non proprio ideali per il prodotto birra. Diciamolo, tolta la pratica del conto terzismo (ovvero affitti occasionali di macchine per inlattinamento), mettere la propria birra in lattina ha i suoi costi, spesa difficilmente sostenibile dai piccoli e dai piccolissimi birrifici, “goccifici” direbbe Kuaska. E farsi tentare da preventivi a pochi zeri non è mai una buona idea dal momento che una buona inlattinatrice deve garantire delle caratteristiche ben specifiche per il prodotto finito. Inoltre non bisognerebbe mai tralasciare la questione spazi che una macchina del genere occuperebbe, tra monoblocco, accessori e non ultimo i pallet di lattine.

Le lattine
Dei vantaggi che questo contenitore può garantire al prodotto finito se ne è già abbondantemente discusso. Oltre ai benefici ecologici, logistici e alla sicurezza che un prodotto non fatto di vetro può garantire, la lattina risulta essere di sicuro interesse anche per la gestione del contenuto. Da decenni le latte sono rivestite internamente di un polimero acquoso inerte nei confronti del prodotto ed insensibile a pH, alcol e temperature di stoccaggio. Inoltre, l’impermeabilità totale alle fonti luminose rispetto alle bottiglie anche scure assicura il prodotto da eventuali derive skunky, soprattutto nel caso di birre molto luppolate. Altro indubbio vantaggio è la refrattarietà pressoché totale all’ossigeno. Anche se il vetro è altrettanto impermeabile all’ossigeno, il limite delle bottiglie risulta essere il tappo a corona, dimostratosi essere un punto critico per la conservazione della birra grazie al passaggio di 0.002 ml di ossigeno al giorno.

Processo di inlattinamento
Il processo di riempimento delle lattine è in qualche modo simile a quello delle bottiglie ma con diverse modalità di processo legate alla differenza del contenitore stesso. In breve, vediamo quali sono gli step principali che portano una birra a rivestirsi di alluminio.

Trasferimento lattine e sciacquatura
Le lattine vengono trasferite, manualmente o in automatico grazie a delle pinze, su un trasportatore che le accompagnerà alla sciacquatrice, dove due circuiti separati di iniezione acqua/aria provvederanno a sciacquarle prima e ad asciugarle poi.
Fase di riempimento. Una volta trasferite alla riempitrice le lattine vengono poste, grazie a dei cilindri di sollevamento, sotto le valvole di riempimento (preferibilmente elettropneumatiche). L’operazione, eseguita in contropressione e con temperatura quanto più fredda possibile per evitare eccessiva formazione di schiuma (tra 0° e 4°), prevede dapprima il flussaggio di gas carbonico in modo da sostituire l’aria presente con gas neutro e dopodiché la colmatura con birra e successivo controllo del giusto livellamento. Dopo il riempimento le lattine subiranno, prima della chiusura, il processo di schiumatura con ripetute iniezioni di CO2, al fine di ridurre al minimo il contenuto di ossigeno nello spazio di testa.

Fase di aggraffatura
Le lattine vengono accompagnate e messe a contatto con i mandrini rotanti dopo che il distributore dei coperchi ha sovrapposto gli stessi sulle latte. Mentre le lattine sono in rotazione i rulli eseguono l’aggraffatura, ovvero i coperchi vengono sigillati al resto del corpo della latta.

Controlli e lavaggi
Le lattine sigillate vengono trasferite sulle celle di carico per il controllo del peso al fine di evitare eventuali mancati riempimenti e successivamente lavate esternamente per rimuovere i residui di schiuma fuoriuscita durante il processo di schiumatura.

Caratteristiche ideali di una inlattinatrice
Veniamo ora al punto focale della discussione, ovvero quali dovrebbero essere le caratteristiche ideali di una macchina inlattinatrice destinata ad un prodotto come la birra. Abbiamo già accennato all’eterogeneità dell’offerta del mercato di queste macchine, sia per i costi sia per le tecnologie messe a disposizione per garantire una idonea shelf life del prodotto. Il “risparmio non è mai guadagno” dice un vecchio proverbio napoletano, e mai come in questo caso questo detto risulta essere icastico: un prodotto ben realizzato, testato e con risultati dichiarati e comprovati risulta essere la migliore garanzia di efficacia. Di sicuro l’acquisto andrebbe ben ponderato in base alla presenza di determinate caratteristiche che permettono di scegliere tra i diversi competitor di macchine per lattine. La scelta di una macchina compatta dovrebbe essere preferita rispetto alle altre in quanto tra inlattinatrice, accessori ad esso connessi e soprattutto i pallet di lattine vuote vanno perduti diversi metri quadri di spazio nel proprio sito di produzione. Molti produttori propongono macchine in formato monoblocco dove, in pochi metri, vengono eseguite la maggior parte delle operazioni (lavaggio interno, riempimento, aggraffatura, lavaggio esterno ed eventuale etichettatura). Sembra scontato asserire (mai sottovalutare questo punto) che tutte le parti che entrano a contatto col prodotto birra (che ricordiamo essere sostanzialmente acido ed alcolico) dovrebbero possedere l’idoneità alimentare ed essere inerti al passaggio dello stesso, quindi sia plastiche che acciaio. Quest’ultimo viene proposto come AISI 304 o a richiesta o su macchine più esose come AISI 316. Un punto fondamentale dovrebbe essere la facilità di accesso alle procedure di lavaggio, detersione e disinfezione della macchina. Alcuni produttori forniscono incluso nella macchina un sistema CIP integrato (Cleaning in Place) con annesso programma per CIP programmabile e personalizzabile dall’operatore. Ovviamente il sistema dovrebbe sollecitare, con le soluzioni detergenti/sanitizzanti necessarie, tutta la linea dove viene a contatto la birra, quindi tubazioni, serbatoi, valvole e via discorrendo. Una buona macchina, oltre ad essere automatizzata e programmabile dall’operatore (tempi di riempimento, eventuali sgasature o flussaggi di CO2 multipli), dovrebbe prevedere una produzione oraria di non meno di 1200 lattine ed essere idonea per la lavorazione di liquidi gasati che limiti al minimo la formazione di schiuma, non basta quindi essere idonea all’inlattinamento di soft drink generici. Alcuni sistemi, in maniera opzionale o meno, possono lavorare anche diversi formati di lattine, sia per forma che per volume, in questo caso il prezzo di acquisto tende a diventare più cospicuo.

La linea di riempimento dovrebbe essere costituita da almeno 4/6 valvole di riempimento, preferibilmente di tipo elettropneumatico. Approdiamo ora al punto nodale, ovvero la capacità della macchina di ridurre al minimo il contatto del prodotto finito con l’ossigeno. È lapalissiano affermare che minori sono le concentrazioni di ossigeno introdotte nel sistema, maggiore sarà la capacità del prodotto di durare nel tempo e di mantenere le caratteristiche organolettiche. Fondamentale pertanto deve essere la richiesta da parte dell’acquirente della concentrazione massima di ossigeno, espressa in ppm (ma sarebbe ben più rassicurante che il dato fosse in ppb), che il prodotto assorbe durante le procedure di inlattinamento. La macchina deve essere esente da punti di presa per l’ossigeno nella linea che porta alle valvole di riempimento, grazie alla presenza di serraggi e di raccordi che reggano la pressione al passaggio della birra e garantire una corretta aggraffatura. Basilare inoltre deve essere la presenza di sistemi di pre-evacuazione che permettano di sostituire l’aria presente nelle lattine vuote con gas neutro e di apparati, come il bubble breaker e gli iniettori di gas carbonico, che permettano di limitare al minimo i residui di ossigeno nello spazio morto, grazie al processo di schiumatura e saturazione. Un’altra qualità che dovrebbe possedere la nostra macchina per lattine è la garanzia del check-up dei prodotti ottenuti, tramite il controllo dell’avvenuto riempimento e la funzione di interruzione della macchina in caso di mancato o parziale riempimento. In conclusione, il lauto investimento di una macchina inlattinatrice richiede una oculata e avveduta scelta tra le differenti proposte delle diverse aziende competitor. Anche perché bisogna sempre tenere a mente che il consumatore finale è sì affascinato dal mondo del beer canning e dalle sue diverse personalizzazioni grafiche ma è sempre più vigile e guardingo circa la qualità del prodotto ed eventuali e manifesti gap rispetto alla stessa produzione in fusto o in bottiglia.