Cinquanta sfumature di luppolo: come, quando e perché aggiungere il prezioso fiore
La galassia delle IPA comprende una serie di “sistemi solari” fra cui quello a cui l’acronimo si riferisce, le India Pale Ale, oltre alle APA, le IIPA, ovvero Double IPA (conosciute anche come Imperial IPA), le Black IPA, scure e resinose, e via dicendo. Se tale galassia fosse visibile avrebbe con ogni probabilità una forma ‘conica’, un’aura di colore verde acceso e il luppolo sarebbe senz’altro la molecola base e vitale di questa utopica “Via Luppola”! Tutti i descrittori dello stile sono infatti incentrati sulle caratteristiche donate da quest’ultimo, che abbracciano il tono di amaro, le note profumate e la complessità aromatica: erbaceo, terroso, speziato, citrico, agrumato, amaro, astringente, floreale, resinoso. Sensazioni che derivano da un utilizzo in genere ‘dissennato’ della verde pianta rampicante.
Gli americani, ossessionati dalle classificazioni, tendono a riassumere le peculiarità dei vari stili attraverso il rapporto tra la densità della birra e la quantità di amaro: in particolare “OG/IBU”, dove con OG sono indicati i punti di gravità (ovvero le due cifre più a destra lette sul densimetro) che andremo a dividere per il numero di IBU. Solitamente in una birra equilibrata tale rapporto si assesta attorno allo 0,5: bene, quando parliamo di IPA questo rappresenta in genere il valore di partenza, raggiungendo in certi casi l’equivalenza (per cui il rapporto di 1 a 1) e a volte anche di più!
Un aspetto secondario se si pensa che l’indicazione dell’amaro rappresenta solo una piccola caratteristica al cospetto degli altri elementi sopra elencati. Ecco quindi che la formulazione delle ricetta di una IPA diventa molto più complessa con riferimenti alla fase di aggiunta del luppolo, variando a seconda delle sue qualità, delle tempistiche di discesa in campo e ancora delle quantità utilizzate. Il luppolo è normalmente unito in fase di bollitura del mosto. Durante i minuti di ebollizione, come sappiamo tutti, avviene un interessante processo di isomerizzazione per cui gli alfa-acidi cambiano conformazione, trasformandosi in iso-alfa-acidi deliziosamente amari e con una serie di proprietà toccasana per la birra (stabilizzatrici della schiuma e antisettiche su tutte).
Le complessità aromatiche prendono invece vita a seconda di tempo e modalità di aggiunta. Quella classica, conosciuta da centinaia di anni, consiste nel frazionare la quantità di luppolo in parti proporzionali, poi inserite in varie fasi della bollitura. Considerando che le resine e gli oli essenziali sono estremamente volatili, mettere il luppolo verso fine bollitura permette di mantenere integre gran parte delle sue caratteristiche olfattive. Questa tecnica tradizionale è stata estremizzata da uno dei più grandi esponenti del movimento artigianale americano, Sam Calagione, che da oltre quindici anni porta avanti i suoi cavalli di battaglia, le “60, 90 e 120 minutes IPA”. Per tutta la durata della bollitura, indicata dal nome della birra, è aggiunta una piccola quantità di luppolo al minuto: un procedimento, chiamato “continuous hopping”, che aiuta a catturare l’intero profilo aromatico del fiore.
Dato che l’estro dei birrai non conosce limiti, capita che dagli errori si raggiungano a volte nuovi traguardi. È quello che è capitato a Leonardo Di Vincenzo, fondatore di Birra del Borgo, che racconta come durante la produzione di una cotta di ReAle dimenticò di aggiungere il luppolo in bollitura, ricordandosene solo a minutaggio quasi scaduto e decidendo di unire comunque l’intero quantitativo per il tempo rimanente. Il risultato fu eccezionale, una birra delicata, estremamente floreale e beverina: ecco come è nata la ReAle Extra. Questa tecnica, che concentra l’intera luppolatura nell’ultimo quarto d’ora di bollitura, è conosciuta come “hop bursting” ed era già ampiamente utilizzata.
Le possibilità di aromatizzazione si incrementano notevolmente quando parliamo di aggiunte post-bollitura (“post-boiling hopping”), che permettono di estrarre gli oli essenziali senza alcuna trasformazione e solubilizzazione di iso-alfa acidi, limitando l’ulteriore aumento di amaro. L’hopback è un piccolo filtro che sfrutta questa filosofia di lavoro: nato per separare il luppolo dal mosto bollito, aggiungendone di fresco durante il passaggio del mosto stesso si trasforma in efficace strumento di aromatizzazione. Momento del processo produttivo felicemente adattabile allo scopo è quello del whirlpool: utilizzato per dividere il mosto dai coaguli proteici che si formano in bollitura, diventa perfetto per aggiungere varietà aromatiche in grado di regalare sensazioni erbacee e fruttate. La tecnica più importante resta però quella del “dryhopping”. Nata alcuni secoli fa, era utilizzata dai birrai britannici all’interno dei fusti di birra. I plugs, pastiglie di luppolo pressato, furono create proprio per facilitarne il dosaggio nei cask: il loro utilizzo preveniva infezioni batteriche e, in particolare, problemi di acidità, oltre a donare un intrigante aroma luppolato senza aumento dell’amaro finale. Oggi il dry hopping si può eseguire durante la fermentazione del mosto, la maturazione e l’infustamento. Grazie all’aggiunta a temperature non superiori ai 25-30 gradi, tutti gli oli essenziali e le resine, non bollendo, rimangono in soluzione nella birra, portando un incremento di aroma tale che praticamente tutte le versioni di IPA in commercio utilizzano questa tecnica. L’equazione è semplice: tanto dry hopping uguale tanto aroma; altrettanto semplice è la tecnica base: aggiungere il luppolo nel fermentatore. Sempre a proposito di luppoli ci sono poi diversi fattori da tenere in considerazione.
VARIETÀ
Ovviamente le varietà di maggiore interesse sono quelle con un timbro aromatico spiccato, in primis le statunitensi, dalle note citriche, agrumate e intriganti, e le neozelandesi, esotiche e parecchio pop(olari). Non escluderei tuttavia quelle nobili tradizionali europee, nonché le varietà con alfa acidi alti, dal tipico utilizzo da amaro: Target e Magnum ad esempio, utilizzati in miscele con altri luppoli aromatici, in dry hopping danno risultati unici.
QUANTITÀ E FORMA
Non esistono formule simili al calcolo delle IBU in grado di misurare empiricamente la quantità di aroma: sono l’esperienza ed il gusto del birraio a fare la differenza. Più luppolo si usa, più potente ed erbaceo sarà l’aroma nella birra. A fine anni ‘90, le (rare) ricette che si trovavano consigliavano pressoché tutte fra gli 8 e i 15g massimo di luppolo ogni 23 litri. Oggi 20-40g sono considerati quantità media per una IPA, con punte di 100-150g ed oltre per le più potenti Double IPA. Sotto forma di pellet o fiori, poco cambia. Beninteso: differenze ce ne sono, ma riguardano più aspetti tecnici (come i tempi minimi di dry hopping necessari ad aromatizzare la birra) che non qualitativi, dato che negli ultimi dieci anni le tecniche di trasformazione e confezionamento hanno fatto passi da gigante.
TEMPI
Solitamente 10-15 giorni sono un tempo medio adeguato per il dry hopping, sia esso effettuato in fermentazione o in maturazione. Dopo 24-36 ore il procedimento inizia a diventare efficace, mentre oltre le due settimane l’aroma evolve verso l’er- baceo, il fieno ed il terroso: in tal caso possiamo eventualmente ovviare al problema eliminando il luppolo vecchio ed aggiungendone di fresco.
TEMPERATURE
A seconda del momento in cui si effettua l’aggiunta, le temperature della massa di birra saranno ovviamente diverse, causando risultati altrettanto differenti. In fase di fermentazione la birra produce calore, con il livello che oscillerà tra i 18 e i 25 gradi per l’alta fermentazione e fra i 10 e i 14 per la bassa: temperature più alte facilitano la solubilità degli oli e delle resine, e in più la fermentazione indotta dal lievito trasforma molti composti, che sono spesso precursori di gradevoli aromi che altrimenti non si troverebbero nel bicchiere (pur senza dimenticare il rischio di estrarre anche profumi più erbacei e tannici). Altri momenti del processo produttivo, caratterizzati da temperature più basse (vedi maturazione e lagerizzazione), permettono invece di estrarre lentamente e delicatamente tutti gli aromi, allungando però i tempi necessari per l’efficacia della tecnica. Per lavorare col luppolo, in particolare a fine bollitura e in dry hopping, ben poche formule ci vengono in aiuto. Solamente una produzione costante e cosciente può aiutare a comprendere e conoscere i segreti di ogni varietà. Costante, nel senso che riprodurre batch nel tempo, magari molto simili tra loro, aiuta la memoria del birraio a rimanere focalizzata su certe caratteristiche. Cosciente, invece, perché va focalizzata l’attenzione sui risultati delle eventuali modifiche da batch a batch: se cambio una varietà di luppolo, se modifico la miscela di malti o, ancora, i quantitativi in dry hopping, dovrò ricercare le differenze nella birra finita. Spesso i birrai per le loro prove utilizzano la ricetta standard di una birra normalmente in produzione. Immaginate una nuova varietà di luppolo: è più facile identificare ciò che funziona da quel che è sgradevole in una birra ben conosciuta piuttosto che in una ricetta estemporanea, no? Insomma, col luppolo non si smette mai di imparare, ogni raccolto ha caratteristiche diverse e varietà o blend differenti di luppoli combinano gli oli essenziali e le resine in mosaici sempre nuovi.
Le IPA in questo senso sono le birre più adatte per sbizzarrirsi, per spingere il luppolo là dove non avete mai osato!