Degustare una birraFocusIn vetrina

Che puzza meravigliosa! Come lieviti e batteri danno vita a sensazioni contrastanti

Gli studi contemporanei di fisiologia ci rivelano come olfatto e gusto siano i sensi più sinergici e maggiormente connessi all’emotività: anche il più fanatico terrapiattista credo sia costretto ad ammettere questa duplice verità scientifica che ci si rivela di continuo nella vita di tutti i giorni. Ogni volta che pensiamo o esclamiamo “dolce” godendo dei profumi che fuoriescono dalla porta a vetri di una pasticceria, oppure “acido” di fronte a un cucchiaio di succo di limone o di aceto esperiamo infatti la sinergia tra olfatto e gusto. Una stimolazione olfattiva non può ovviamente toccare le nostre gemme gustative e dunque farci percepire realmente un sapore, tuttavia il nostro apparato sensoriale ci fa vivere un’esperienza anticipatoria e, per certi versi, analoga a ciò che andremo eventualmente ad assaggiare. Ancora più di frequente ci capita poi di reagire con un moto di desiderio o di repulsione a qualche aroma. La valenza emotiva di uno stimolo olfattivo può capovolgersi completamente a seconda delle occasioni e delle ore della giornata: il profumo di un cibo o di una bevanda che solitamente ci attira e ingolosisce può risultare stomachevole per un certo lasso di tempo dopo che ci siamo lasciati andare ad un’abbuffata o a una sbornia con l’uno o l’altra, mentre molte persone trovano l’aroma del soffritto o della carne alla griglia gradevoli e forieri d’appetito all’ora dei pasti e disgustosi o nauseanti di prima mattina appena dopo il risveglio. Last but not least, molto spesso le avversioni e idiosincrasie alimentari che parecchi individui portano con sé sono dovute proprio alle caratteristiche olfattive dell’alimento indesiderato. Non a caso le più frequenti sono associate ad alimenti dagli aromi aggressivi come i formaggi stagionati, i pesci, i molluschi, i crostacei e le Brassicacee (cavolfiore, cavolo nero, broccoli, etc..).

Riguardo alle nostre amate birre, le esperienze olfattive più estreme sono sicuramente connesse alle fermentazioni spontanee o miste e sono dovute alla presenza di Brettanomiceti, batteri lattici, pediococchi, enterobatteri e tutta la flora di lieviti e batteri selvaggi che possono rientrare nella compagine dei fermentanti di queste tipologie sempre più ricercate e, in un certo senso, alla moda nel mondo birrario. A questo proposito, nella mia attività di docente in corsi di degustazione seguita a una quasi ventennale esperienza da consumatore dapprima di Lambic e derivati e in seguito di wild beers di varia origine, ho notato un curioso fenomeno selettivo: molto spesso faccio fatica a percepire come off flavour alcuni loro sentori caratteristici, o, per meglio dire, mi è difficile, in presenza di birre privi di difetti per la loro tipologia e quindi di aromi oggettivamente sgradevoli e fuori luogo, trovare descrittori negativi perché il mio retroterra culturale genera una deformazione professionale che mi porta inevitabilmente a considerarli appropriati per quelle famiglie birrarie, a rincondurli alla loro origine nelle dinamiche produttive e quindi a virarli su descrittori più positivi. Prezioso mi è dunque il contributo della platea di ascoltatori e corsisti, specie se al loro primo approccio con queste tipologie birrarie, che, con i loro nasi “vergini”, prorompono in esclamazioni come: Sangue! Sbarre di ferro! Pneumatico dopo una sgommata! Pelle di salame! Pecorino vecchio! Zampone e lenticchie! In un paio di occasioni ho potuto incontrare anche una curiosa sineddoche olfattiva, con allievi che hanno trovato aromi di “ketchup” in birre a fermentazione mista come la Rodenbach Grand Cru e la Duchesse de Bourgogne: in questo caso il sentore dell’acido acetico generato dalla lunga permanenza nelle botti ha portato la persona a ricordare una preparazione gastronomica come la celebre salsa rossa anziché il suo ingrediente responsabile di tale sentore, l’aceto, ed è un ulteriore esempio della valenza chiasmatica e sinergica di olfatto e gusto.

Per quanto concerne la mia acquisita inabilità a reagire con descrittori negativi a fronte di una fermentazione spontanea o mista ben fatte, entrano sicuramente in gioco sia la familiarità e l’abitudine, che come insegnava David Hume sono le più tenaci ed efficaci guide all’agire umano, che la compresenza di aromi piacevoli e off flavour tipici. Un dualismo profumo/puzza che porta chi le approccia la prima volta a cogliere dapprincipio il lato sgradevole, perché più inaspettato e meno canonicamente associabile alla più diffusa idea di “birra” e dei suoi aromi. Anche in questo caso si può ricordare come avvenga qualcosa di analogo in ambito gastronomico con particolari tipi di formaggio o preparazioni culinarie come la bouilabaisse marsigliese, lo stinky tofu di Hong Kong o le salse fermentate a base di pesce della cucina thai (si può pensare a questo proposito all’analogia con il garum degli antichi romani, un gusto all’epoca popolarissimo e oggi totalmente al di fuori dei canoni occidentali). Il turista o consumatore occasionale viene di norma dapprima spiazzato o addirittura disgustato e solo in seguito ad ulteriori assaggi riesce ad apprezzare come positive alcune caratteristiche organolettiche, fermo restando che non mancano casi di amore a prima vista verso questi profumi e gusti estremi, né esempi contrapposti di persone per le quali queste esperienze resteranno per sempre off limits.