Beer & Chips: come usare le scaglie di legno per fare birra
Durante l’evoluzione delle tecniche e dei materiali, tra plastiche ad uso alimentare ed acciai, nel corso del tempo il gusto delle birre è andato via via ripulendosi da componenti legnose che in passato erano conferite da tini di fermentazione e fusti. Potrebbe essere stata questa inconsapevole astinenza ad aver poi innescato un ritorno al passaggio in legno, da brevi periodi fino alle lunghe maturazioni rappresentate dal cosiddetto “barrell aging”. Anche nelle nostre produzioni casalinghe tutto ciò è possibile, pur non disponendo di una botticella, la quale spesso porta con sé problematiche relative alla sanificazione, all’elevata ossidazione con conseguente perdita di una parte di mosto e di grado alcolico (eccezion fatta per le fermentazioni spontanee, dove invece aumenta), ma che soprattutto più sarà piccola e più lascerà un’impronta aggressiva sulla birra. Il rapporto tra volume di birra e superficie a contatto è quindi fondamentale, cosicché più che modularlo scegliendo volta per volta botti di diverse dimensioni di cui difficilmente si dispone, si può applicare un ragionamento inverso: al posto di mettere la birra nel legno, meglio mettere il legno nella birra! I chips nell’homebrewing spuntano per questo, prendendo in prestito una pratica utilizzata nelle cantine vinicole.
TEMPI E MODI
A livello pratico, potremmo accostare l’operazione a quella del dry hopping, con l’aggiunta durante la seconda fermentazione e con dosi quasi simili. Mantenersi su 1 g/l è un buon punto di partenza, ma a seconda dell’impatto che vogliamo conferire alla birra ed agli aromi che già possiede, potremmo aumentare fino a 4 g/l il dosaggio, cercando sempre di non stravolgere eccessivamente la birra base: il rischio di ritrovare sensazioni che rimandano a segatura e compensati potrebbe essere alto. Chiaramente quando si parla di dosi, segue il discorso sui tempi: con dosaggio medio si può sperimentare da 1 a 2 settimane per birre di gradazione leggera e media, fino al mese e più per versioni imperial. Così come per il luppolo, possono essere tenuti in appositi hop bag, ma anche lasciati liberi nel mosto. Preferisco sempre questa seconda opzione, risolvendo il problema della rimozione come con i luppoli, e cioè con un passaggio a freddo per qualche giorno ed un travaso, facendoli decantare sul fondo senza trascinarmeli poco prima di imbottigliare. In questo modo si riducono i rischi di contaminazione, assicurando anche un’infusione più efficace.
STILI
Pur disponendo di libertà assoluta, la pratica ha senso per conferire complessità ed aggiungere spessore; in particolare dove storicamente lo stile lo contempli, come in molte ale inglesi. È la voglia di “old style” a muovere tutto, per cui oltre che in Brown Ale, Old Ale e Porter può essere interessante anche farlo con Belgian Ale e Saison, rintracciando le radici di quelle rusticità tanto decantate. Andando sul pesante, sono Imperial Stout, Barley Wine e Belgian Dark Strong Ale ad irrobustirsi ancor di più con questa pratica, arricchendosi appena, oppure trasformandosi in poderose versioni BA (Barrel Aged) che fanno quasi stile a sé. Ci si può sbizzarrire anche con qualche lager scura di stampo tedesco come una Doppelbock, o toccando di striscio il mondo delle Italian Grape Ale toutcour, anticipando l’infusione nel mosto dei chips con un lento passaggio in un bicchiere di buon vino.
METODI DI INFUSIONE E SANIFICAZIONE
I chips possono essere sanificati in diversi modi, ma mai con una soluzione sanificante perché se ne impregnerebbe inevitabilmente. Il più pratico è quello di porli in un vasetto di vetro, a sua volta posto a bagno maria in un pentolino: circa 15 minuti e saranno pronti per essere immersi nella birra in fermentazione, dopo qualche minuto di raffreddamento. Altra accattivante opzione è quella di sterilizzarli con dell’alcool, quello di un superalcolico: whisky, bourbon, sherry fino a grappe ed altro. Questi avrebbero, infatti, una seconda ma importantissima funzione, trasmettendo parte dei propri sapori ai pori del legno, che quindi li rilasceranno successivamente alla birra. Anche qui è fondamentale la moderazione ed un certo tatto nelle dosi e nei tempi, da giorni ad un paio di settimane a bagno in due dita di sostanza. Ma che sia un vero superalcolico e che non sia svampito da tempo, altrimenti è necessario anche qui bollire preventivamente a bagno maria per evitare che i microrganismi sopravvivano, scoprendo poi, dopo mesi, che una certa fermentazione acetica avrà rovinato tutto (ne so qualcosa). C’è chi sceglie anche le maniere forti infondendoli direttamente, in acqua bollente o ancora in vino o altro, facendo perdere così anche una serie di componenti meno nobili del legno, forse anche rinunciando ad una certa intensità tanninica benigna. Se il passaggio successivo o la stessa bollitura è con il superalcolico, di questo calo c’è meno di che preoccuparsi. Anche dopo la sanificazione possono essere tenuti a bagno in un buon vino, importante ed intenso, imitando così anche i passaggi in botti esauste tanto praticati dai birrai più audaci.
LEGNO
Il legno utilizzato e reperibile online è quello di quercia, ma la provenienza e le tostature a cui è sottoposto possono fare la differenza. Il legno di quercia americano è più intenso di quello ungherese, che è più intenso di quello francese, in un decrescere di toni dolci e vanigliati. Questa dolcezza copre e si scontra con la componente tanninica del legno, che porta in dote una sensazione amara astringente per la quale è bene moderare dosi ed utilizzo dei chips stessi. Il livello di tostatura va da leggero a medio, fino a forte; approssimativamente possiamo dire che il carattere vanigliato e nocciolato ne è direttamente proporzionale. Se si vuol essere prudenti, meglio mantenersi sulle tostature leggere o medie variando semplicemente tempi, quantità ed eventualmente liquido dove immergerli precedentemente.
FORMATO
Non esistono in commercio solo i chips, in forma di irregolari scagliette. Ma a parità di peso offrono una superficie a contatto con la birra maggiore rispetto ai cosiddetti cubi o alle spirali. Questi ultimi, d’altra parte, garantiscono una più lenta, graduale e quindi controllabile infusione del legno ed una più semplice rimozione, seppur siano meno reperibili, se non su siti esteri. Inoltre cubi e spirali dovrebbero essere più indicati per fermentazioni spontanee o miste: microsacche di aria, infatti, resistono all’interno più facilmente a causa di uno spessore maggiore rispetto ai chips, garantendo quel serbatoio di microrganismi desiderato.
ACIDE
Possiamo anche scegliere di non sanificarli se cerchiamo la fermentazione spontanea, per lo più acetica, per avvicinarci al mondo del lambic e delle red flamish ale. Tuttavia, in questo caso si potrebbe anche scegliere ugualmente la strada dell’infusione in acqua bollente prima di gettarli nel mosto solo per togliere intensità, magari a basse temperature per non sterilizzarli volutamente e lasciare in vita qualche “animale” locale. È l’aria stessa incamerata nei piccoli pori di chips a diventare veicolo per l’inoculo di una fermentazione spontanea. Meglio se cubi, però, che incamerano più aria avendo più vuoti e degli spessori maggiori. Altra opzione è quella di immergerli direttamente in fondi di lambic o starter di lieviti selvaggi o batteri, dando una chiara direzione alla successiva seconda fermentazione. Per queste produzioni è interessante anche il discorso microssigenazione, come detto offerta da chips o cubi ma anche dalla porosità (minima ma non nulla) degli stessi fermentatori comuni in plastica. Se si usa il vetro, invece, per continuare a garantire il fenomeno si può tappare col sughero simulando ancora meglio le ossigenazioni delle piccole botti o barriques. Con l’ossigenazione ci si porta dietro una fermentazione acetica, quindi bisogna o volerla o concederne poca. Ma qui si entra in un altro campo, dove comandano quasi solamente l’esperienza e le conoscenze tecniche e scientifiche.
MATURAZIONE
Dopo aver valutato il desiderato contributo dei chips al mosto a seguito di una serie di assaggi e dopo l’imbottigliamento, c’è da aspettare che in bottiglia si arrotondi il tutto. Anche qui infilare assaggi una settimana dopo l’altra farà capire qual è il momento migliore, ricordando che in molti casi ci vorrà tempo e non si tratterà di berle molto fresche di produzione come per altri casi. I tannini, contenuti nelle fibre del legno, infatti, sono responsabili di quell’astringenza che può essere spigolosa nei primi periodi, ma che a lungo andare, attenuandosi, lascia la scena a tutta quella gamma di sensazioni di frutta secca desiderata. Lascio passare almeno dai 2 ai 3 mesi se la birra è non troppo strutturata, dai 6 ai 12 e più quando produco barley wine e strong ale. In questi ultimi casi, anche l’invecchiamento può essere sperimentato. Quasi sempre il tempo ha migliorato ulteriormente le cose, facendo svanire l’effetto via via ma fortunatamente mai del tutto.
WOODY BROWN ALE
RICETTA per 23 litri
OG 1051 – FG 1013
IBU 26 – ABV 5,1
Maris Otter 4,20 kg 79%
Crystal 70 0,10 kg 11%
Aromatic 0,30 kg 6%
Chocolate 0,15 kg 3%
Black 0,05 kg 1%
TARGET 11,1 AA% 15 g 60 min 17 IBU
EKG 5,4 AA% 20 g 30 min 8 IBU
FUGGLE 3,0 AA% 10 g 5 min 1 IBU
Chips di quercia, media tostatura 40 g
Lievito S04
Procedimento
Ammostare a 66°C per 60 minuti, quindi a conversione avvenuta passare a 72°C per 5 minuti. Portare a 78°C ed effettuare lo sparging. Ad ebollizione raggiunta aggiungere i luppoli secondo la successione, quindi far raffreddare ed inoculare. Fermentare a 19°C per 7 giorni, quindi travasare ed inserire i chips, precedentemente sterilizzati a bagno maria per 15 minuti. Fermentare ancora per 10 giorni a 18°C, quindi a 3-5°C per qualche giorno, travasare nuovamente ed imbottigliare aggiungendo 4 g/l. Da consumarsi almeno dopo circa 2-3 mesi dall’imbottigliamento.