A spasso per York, pinta dopo pinta
Tra le molte mete birrarie di grande seduzione messe a disposizione dal panorama europeo, lo scacchiere delle isole britanniche offre un ampio ventaglio di opzioni tra cui spaziare. Partendo da Londra e procedendo attraverso regioni quali la Cornovaglia, le Midlands, il Galles, l’Irlanda, la Scozia, nonché alcuni centri urbani meritevoli, nella loro singolarità, di essere scelti quale destinazione di un viaggio in cui il puro piacere s’intreccia all’arricchimento conoscitivo. Tra queste città e cittadine, spicca quella di York, il capoluogo del North Yoskshire. Città raggiungibile facilmente in auto, noleggiandone una tramite i servizi offerti dai diversi possibili aeroporti di sbarco: Leeds (a 40 chilometri circa), Manchester (sui 100), Newcastle (127), Liverpool (137) e Birmingham (174).
Superfluo premettere che trascorrere qualche giorno in Inghilterra significa potersi tuffare nel mondo delle real ales, ovvero le birre spillate non da keg (il fusto pressurizzato), ma da cask: le botticelle senza anidride carbonica aggiunta, nelle quali la birra stessa matura sviluppando naturalmente la propria carbonazione, destinata a rimanere perciò moderata e sottile. Non filtrata né pastorizzate, le real ales vengono servite tradizionalmente a caduta (direttamente dal cask) o a pompa senza escludere l’alternativa del confezionamento in bottiglia. A vigilare su queste consuetudini, sui loro riti e sui locali che meglio ne garantiscono la custodia, c’è il Camra (acronimo stante appunto per Campaign for real ales), organismo indipendente nato nel 1971, il cui sito è provvisto di una sezione riservata appunto ai pub. Inoltre, dal 1997 opera il Cask Marque, associazione a sua volta indipendente che si è data il compito di monitorare il rispetto delle regole di mescita da cask, assegnando una conseguente patente qualitativa ai locali in linea con gli standard adeguati.
Con queste premesse, e con questi supporti informativi, non c’è che da calarsi tra le vie e le piazze della bella York. La quale, non grandissima nelle dimensioni (210mila abitanti circa), spicca per il fascino delle proprie atmosfere e per la ricchezza del proprio retaggio secolare. Fondata dai Romani e successivamente capoluogo dello Yorkshire storico, dopo la riforma amministrativa del 1974 e la scomposizione della regione in quattro unità separate (ovvero South Yorkshire, West Yorkshire, East Riding of Yorkshire e North Yorkshire), la città – come anticipato – ha visto confermarsi il proprio titolo di principale centro amministrativo appunto nel contesto della nuova contea settentrionale. Tra gli elementi architettonici di maggior interesse, abbiamo senz’altro la cattedrale, il castello (o Clifford’s Tower) e la strada detta The shambles (ovvero delle macellerie all’aperto), risalente al Trecento e scandita da tipiche case a graticcio con avancorpi pensili.
Né delude, assolutamente, l’assortimento dei pub, che anzi sono numerosi e suggestivi. Tra essi, merita una il The Tree Tuns, locale indipendente e profondamente caratteristico, con i suoi ambienti in legno e muratura, introdotti da una facciata dalle peculiari geometrie irregolari. Una sosta anche veloce, ma appagante, permette di assaggiare alcune etichette – spillate a pompa – della gamma Rudgate Brewery (essa stessa con base a York): ad esempio la Mythicale, una Golden Ale (4.3%) sobria e fruttata (con note di pesca, in specie); e la Ruby, una Dark Mild (4.4%) piacevolmente tostata (noce), nonché percorsa da una lieve affumicatura.
Una breve passeggiata porta al The Old White Swan, locale del gruppo Nicholson’s d’impronta fortemente tradizionale, con luci basse, legno scuro, velluti, camino, travi a vista e così via. Al tavolo le portate – interessanti e ben confezionate – possono accompagnarsi con birre sia da keg sia da cask. Tra queste, numerose sono quelle in grado di assolvere il compito di ben irrorare il palato; come la Gaia della Stroud Brewery (appunto a Stroud, nel Gloucestershire, marchio specializzata in produzioni biologiche): si tratta di una Golden Ale (4.2%) luppolata con un pacchetto misto di varietà sia europee sia nuovomondiste; una sorsata fresca, non epocale, ma funzionale.
Altra fermata da mettere in conto, quella in corrispondenza del portoncino che introduce al The Blue Bell, il pub più piccolo di tutta York, orgogliosissimo della propria dimensione: A proper pub for proper pub people (un pub su misura per gente da pub) è il motto della casa. Ai piccoli tavoli del locale, familiare con le sue pareti pannellate in legno e il suo assortimento di sgabelli, sedie e poltroncine, arrivano birre spillate a pompa cn tutti i crismi: come la Farmers Blonde targata Bradfield Brewery, un’ariosa Golden Ale (4%) con luppolatura modernista; o come la Blue Bell IPA, la Session IPA da 4.5 gradi prodotta in esclusiva per il locale dalla Brass Castle Brewery di Malton e contrassegnata da un misurato intreccio tra agrumi e frutta esotica.
Ancora a un tiro di schioppo, ecco The Market Cat, ampia e moderna struttura appunto di fronte alla zona del mercato, con luminosa alternanza di mattoni, vetro, legno chiaro e scuro, ottone, sedie e sedili dallo schienale imbottito in pelle. La gestione è sotto il diretto controllo della Thornbridge Brewery (a Bakewell, nel Derbyshire); la cui gamma propone qui un’ampia cartuccera di referenze in mescita da keg e da cask. Tra queste, da annotare, è ad esempio la Lord Marples, nome d’arte della Best Bitter (4%) che vanta il titolo di prima birra prodotta in assoluto dalla Thornbrdrige: luppolata con solo Golding, manifesta un elegante temperamento biscottato e fogliaceo (con suggestioni da tabacco e tè). A ruota, la Crackendale, guizzante American Pale Ale (5.2%) luppolata in regime monovarietale con gettate di Citra e conseguentemente contraddistinta da un refrigerante naso agrumato. Poi non può mancare la Jaipur, iconica American IPA (5.9%), luppolata con generose gettate di Chinook, Centennial, Ahtanum, Simcoe, Columbus e Cascade, che le conferiscono una decisa personalità fruttata e agrumata. Infine, la Market Porter, interpretazione modernista ma assolutamente ponderata della tipologia di riferimento: esiguo dazio alcolico (4.5%), elevata densità sensoriale, giocata calando le carte della torrefazione (caffè, cacao) e delle impressioni prative (erba falciata, fiori di campo).
Sempre in quel fazzoletto di vicoli e slarghi, sarebbe poi peccato grave non fare rotta verso il Pivní world beer freehouse. Si tratta di un magnifico pub indipendente nelle immediate vicinanze della strada detta The shambles (ovvero delle macellerie all’aperto), pittoresca via del centro storico risalente al Trecento e caratterizzata dalle tipiche case a graticcio con avancorpi pensili. Il pub, dal canto suo, è allestito in edificio a sua volta storico: datato al XVI secolo e strutturato su tre piani, collegati da una ripida scala a rampe contrapposte, in un contesto di materiali e arredi dal temperamento decisamente caldo, quali mattone, legno scuro, luci a bassa intensità. Qui, in un’interessante selezione di prodotti in mescita tanto da keg quanto da cask, si punta sui secondi; e sul banco d’assaggio arrivano, nella circostanza, per prima la Skylark Stout (4.6%) targata Three Acre Brewery (di Uckfield, East Sussex), tradizionale nella luppolatura e pregevole nella fattura; e poi, invece, una referenza modernista come la Jericho APA (4%) della Tapped Brew Co. (a Sheffield), lavorata con gettate di Cascade, El Dorado, Centennial e Chinook.
Giusto un minuto a piedi per il giro di giostra successivo, che ci porta sotto le insegne del The Golden Lion, pub a marchio del gruppo Greene King (Bury St. Edmunds, Suffolk), spazioso negli ambienti e luminoso nelle atmosfere. Anche qui keg e cask; e anche qui merita concentrare l’attenzione sulle birre spillate a pompa: ad esempio un’etichetta della casa, ovvero la Abbot Ale, elegante Strong Bitter (5%), luppolata con varietà tradizionali quali Challenger e First Gold; alla quale poi può far seguito una referenza ospite, come la Old Peculier, intramontabile Old Ale da 5.6 gradi e autentica bandiera liquida della Theakston Brewery, a Masham (North Yorkshire).
Dopo tanto tradizionalismo, ci sta peraltro anche un’immersione nella contemporaneità. Detto fatto: basta dirigersi con fiducia (a piedi neanche 20 minuti) verso la Brew York brewery and tap-room, realtà giovane e risolutamente modernista, che in una struttura informale e dagli spazi assai voluminosi (per la planimetria come per l’altezza dei soffitti), mette a disposizione una batteria sconfinata di prodotti freschissimi (il locale di mescita è organico all’impianti di brassaggio) somministrati sia da fusto pressurizzato sia da cask. Avvalendosi dei tasting flights – le palette (paddles) per piccole campionature di assaggi (nella fattispecie 6 mini-pinte, ciascuna ovviamente con una birra diversa) – ci si tuffa in un’immersione praticamente completa di quanto propone la tap-list di giornata. Di seguito, la carrellata di alcune tra le referenze della scuderia locale. La Osprey, American Light Lager (4.1%), con mais, riso e luppolatura da Hallertau Mittelfrüh; la Beluga, American Pale Ale luppolata con Cascade e Nelson Sauvin (4%); la Calmer Chameleon, altra American Pale Ale, ma con CTZ, Idaho 7, Mosaic e Simcoe (4.1%); la Coney, Hazy Session IPA con Citra, Mosaic e Simcoe (4.5%); la Splinter, Yuzu Pale Ale, ancora una APA (4%), ma con l’aggiunta di Yuzu e altri agrumi (arancia, pompelmo, lime); la Beverly Hills Hop, West Coast IPA (7.1%); la Fairytale of Brew York, Milk Stout con ciliegia e aroma naturale di pistacchio e (4.9%); la Custard Cream, White Stout (5.5%) con aggiunta di lattosio, caffè, estratto di vaniglia e altri aromi naturali; la Only Noodles Michael, IGA (4.5%) con uve a bacca bianca e lime; la Here’s Johnny, Pastry Sour (5%) con lattosio, ciliegia, guava, vaniglia e altri aromi naturali; e per chiudere la It’s showtime, Pastry Sour, (6%) con uve a bacca nera, lampone, limone, vaniglia. Bum! Il fuoco d’artificio finale per un arrivederci alla sorprendente York.