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Vùdù, medaglia d’oro al World Beer Cup 2010

Si chiama Vùdù, la weizen che alle “olimpiadi della birra”, meglio note come World Beer Cup, ha stregato i giudici conquistando la medaglia d’oro nella categoria delle German-Style Dark Wheat Ale (leggi news). La sorprendente novità è che la dunkel weizen che ha primeggiato in una tipologia dominata per tradizione dai tedeschi, maestri indiscussi di questo stile, è italiana, precisamente prodotta dal Birrificio Italiano di Lurago Marinone (CO). Certamente un bel modo per festeggiare i 14 anni di vita per uno dei primi birrifici artigianali nati in Italia. Chi conosce le birre del Birrificio Italiano sa che non si tratta di un premio casuale e lo stesso palmares ce lo ricorda. Soltanto lo scorso anno Agostino Arioli, il birraio, era volato a Monaco  all’Euoropean Beer Star per ritirare ben due bronzi ricevuti in categorie molto combattute come quella delle kellerpils, vittoriosi con la Tipopils, e quella delle bock, con la Bibock, dimostrando di non temere il confronto con gli esperti mastri birrai bavaresi. Per saperne di più su questa vittoria e anche sul WBC, visto che Agostino vi partecipa regolarmente come giudice, abbiamo fatto qualche domanda al diretto interessato:

Come ci si sente ad essere premiati al World Beer Cup? Ti aspettavi un premio proprio dalla Vùdù?
Siamo molto soddisfatti e felici ogni qual volta un riconoscimento conferma il nostro lavoro e la nostra attenzione alla qualità. Sinceramente, non mi aspettavo un premio. La Tipopils che avevo presentato non era al massimo della forma, la Sparrow Pit, che ha me piace tanto, gareggiava, senza molta speranza, nella  categoria delle birre affinate in legno dove di solito prevalgono birre molto complesse, così dette “da concorso”. Poi c’era la Musa d’Autunno prodotta con uve nebbiolo con la quale mi avrebbe fatto piacere vincere perché iscritta in una categoria dove gareggiano le birre sperimentali ovvero birre che per ingredienti o tecniche produttive risultano innovative. Invece salta fuori un primo posto con la Vùdù, una birra che è cresciuta molto, merito anche delle energie profuse in questi ultimi anni per migliorare la tecnica produttiva delle due nostre weizen , la Vùdù e la Bi-Weizen.

Questa è la seconda edizione del World Beer Cup, a cui partecipi come giudice. Che idea ti sei fatto del concorso?
Sinceramente per come è organizzata è la manifestazione che preferisco. Si parte il martedì e mercoledì con le degustazioni alla cieca per poi lasciare spazio a conferenze dibattiti e ad uno spazio espositivo dedicato a servizi e prodotti per birrifici. Si conclude sabato sera con la cena e la premiazione finale. A me piace soprattutto come viene organizzato il momento della valutazione delle birre. A differenza di altri concorsi come ad esempio l’International Beer Challenge, al WBC si punta molto sui giudici-birrai. Sinceramente se il birraio è preparato alla degustazione riesce ad avere una marcia in più, una valutazione direi più intima del prodotto birra. Ovviamente il birraio non andrà mai a valutare categorie dove concorre con la propria birra. Un’altra cosa che apprezzo e che vorrei esportare in Italia è l’assenza dei giudizi nelle schede di degustazione. Non ci sono voti, né l’eventuale scarto delle schede con il punteggio più alto e più basso. Ci sono 3-4 giudici che valutano 12 birre circa e che devono individuarle 3 da mandare in finale. Dopo aver compilato la scheda ci si confronta con gli altri e si decide di concerto quali birre meritano l’accesso alla finale. Questo sistema permette secondo me di minimizzare la componente soggettiva che pur rimane. Ad esempio, un giudice può essere più sensibile ad alcune caratteristiche della birra o ad un particolare difetto e durante la degustazione può sfruttare questa abilità meglio di altri nel valutare alcuni aspetti. Dal confronto possono così emergere caratteristiche sulle quali un giudice non si è soffermato o che ha fatto fatica ad avvertire e la valutazione, diventata in qualche modo corale, risulta più precisa. Senza dimenticare che questo sistema offre un momento formativo, di arricchimento culturale, impagabile per il giudice stesso e per la crescita della manifestazione.

In questi anni si è assistito ad una escalation delle birre italiane che si sono messe in mostra sistematicamente in ogni appuntamento internazionale. Negli ultimi anni hai avuto la possibilità di testare birre di differenti paesi, come valuti lo stato di salute della birra italiana?
La birra artigianale italiana gode di punte di eccellenza che possono reggere il confronto con qualsiasi birrificio straniero. Purtroppo però esistono tante “schifezze” etichettate come birra artigianale che non fanno certo bene alla categoria, e poi c’è il problema annoso della costanza qualitativa. Non basta fare la birra buona ogni tanto.

Cosa ne pensi delle categorie dei concorsi sono un  bavaglio per le birre italiane visto che non abbiamo stili di riferimento?
Sicuramente le birre italiane, libere da schemi e retaggi culturali, sono difficilmente inquadrabili. E’ per questo che il concorso di UB, birra dell’Anno, non individua le categorie secondo lo stile. Secondo me un birrificio italiano che vuole iscrivere le proprie birre ad un concorso europeo deve essere bravo prima di tutto a saper individuare la categoria giusta. Sicuramente nei concorsi i giudici apprezzano l’attinenza allo stile ma ci sono eccezioni, nel senso che sono apprezzate anche leggere variazioni sul tema e accettate certe nuove tendenze. Ad esempio la mia Bibock è arrivata terza al European Beer Star pur non essendo propriamente una bock.

La vudu è stata prodotta per celebrare il secondo anno di attività del BI e ora diviene lei la festeggiata proprio  durante il vostro 14 anno compleanno. Cosa è cambiato nel birrificio italiano in questi anni e cosa è rimasto uguale?
In questi anni è cambiato tanto. Adesso c’è una squadra affiatata che lavora bene che con il tempo e l’esperienza ha preso consapevolezza dei propri mezzi. Le linee guide non sono cambiate: rigore tecnico e qualità accompagnate da caratterizzazione del prodotto. Negli anni abbiamo saputo creare una gamma di prodotti ampia che spazia da interpretazioni di stili classici a birre caratterizzate dall’alto tasso creativo, sempre e comunque equilibrate. Comunque la vera sfida, a livello birrario, la porto avanti con la Tipopils, una birra difficile da mantenere al top dove facilmente emergono difetti e cambiamenti da una cotta all’altra. Adesso poi  a differenza dei primi anni si respira un’aria di fiducia,  i rapporti sono più rilassati ed è molto più facile condividere la propria esperienza con altri birrai attraverso forme di collaborazione differenti. Ne sono un esempio i rapporti con le università, gli eventi nel nostro locale con ospiti altri birrifici, le collaborazioni birrarie fatte e da fare, ne è prevista una con Alessio Selvaggio del birrificio Croce di Malto. Cosa invece non è cambiato è l’etica che accompagna il mio lavoro. Per etica intendo avere come obbiettivo la qualità sempre e comunque. Lo dimostra il nostro lavoro maniacale sul controllo delle scadenze e delle modalità di conservazione della birra. In etichetta noi non scriviamo la data in cui la nostra birra va a male, ,a il momento in cui inizia una involuzione qualitativa. Per questo su alcune birre abbiamo scadenze brevi, scelta che ci ha fatto perdere diversi clienti.

Grazie Agostino e complimenti a tutto lo staff del Birrificio Italiano per il premio!