Sud Africa, storia e novità dall’altro capo del mondo birrario
La storia della birra si perde nella notte dei tempi. Sorprende sapere che esistono testimonianze di produzione birraria fin dall’era del neolitico e soprattutto che la sua diffusione avviene a macchia di leopardo, con produzioni primordiali realizzate contemporaneamente da civiltà molto distanti tra loro. L’Africa, la terra che sembra sia stata calpestata per prima dall’uomo erectus, conosce l’arte della produzione della birra fin dalla notte dei tempi. Non tutti però sanno che nel paese dell’arcobaleno, il Sudafrica, la bevanda di Gambrinus è piuttosto apprezzata e sta vivendo un momento particolarmente vivace grazie al fenomeno homebrewing e all’exploit della birra artigianale. Storicamente la passione per la birra in Africa è scoppiata con l’arrivo dei coloni europei che esportarono conoscenza e tradizione birraria nel nuovo continente. Del resto tra gli emigranti c’erano popolazioni amanti della birra come gli olandesi, qui fin dal 1650, e successivamente arrivarono anche gli inglesi.
In breve tempo si sviluppò un mercato interessante e vivace che portò alla creazione anche di multinazionali come la SAB, South African Breweries, nata nel 1895 e poi fusa nel 1999 con il colosso inglese Miller. Una multinazionale che oggi controlla molti marchi in Sudamerica, Cina e anche in Italia (Peroni) con una produzione seconda soltanto a AB-Inbev. Tra le birre più bevute in Sud Africa merita menzione la Castle Lager, una chiara di 5° alc., semplice e beverina, prodotta con orzo e luppoli africani. Mentre tra i neri, probabilmente anche per motivi di orgoglio razziale (non dimentichiamoci dell’apartheid), spopola la Black Label prodotta dalla canadese Carling e la Castle Milk Stout. Sicuramente più affascinante la primordiale produzione realizzata dalle popolazioni autoctone, come gli Zulu e Xhosa Sotho, che perpetra una tradizione risalente a molti secoli prima delle colonizzazioni europee. Stiamo parlando di bevande fermentate che partono da mosti di cereali come sorgo e mais, caratterizzate da una bassa gradazione (3% vol. circa).
Per gli Zulu la birra è parte integrante della vita quotidiana, un rito che spetta alle donne compiere. I cereali vengono rudimentalmente maltati immergendoli in acqua fino a quando non germogliano. Una volta seccati su stuoie di erba i chicchi vengono macinati a mano su una pietra piatta, poi immersi in acqua e cotti. La fermentazione avviene in maniera spontanea per circa cinque giorni. La birra tradizionale Zulu viene servita in grandi vasi di terracotta che a seconda della dimensione vengono chiamati “ukhahlamba”, se media, o “umancishana” se piccola. Come gli Zulu anche gli Xhosa fanno una loro birra chiamata Umqombothi, prodotta con mais in parte maltato, sorgo maltato, lievito e acqua. Umqombothi viene prodotta in alcuni casi ancora con metodi primitivi, ha un aroma forte e decisamente acido. La gradazione alcolica non è molto alta, di solito meno del 3% e si presenta di un colore marroncino lattiginoso forse non troppo invitante.
In Sudafrica non mancano le birrerie indipendenti da qualche anno in netta crescita. Tra le più conosciute la National Sorghum Breweries che realizza anche ricette tradizionali con l‘impiego del sorgo. Tra i primi pionieri della birra artigianale sudafricana segnaliamo il micro Shongweni Brewery situato vicino a Durban, che realizza una gamma di birre non filtrate e rifermentate in bottiglia chiamata Robson’s. Molto interessante il recente progetto Bierwerk realizzato da un birraio il cui nome non risulterà nuovo a molti appassionati, Christian Svokdal Andersen, danese giramondo conosciuto e apprezzato per le sue birre prodotte con il marchio Beer Here (foto a lato). Dal 2010 a Città del Capo, si è buttato in un originale progetto che prevede la realizzazione in loco di birre molto caratterizzate da prodotti tradizionali come il caffè ad esempio o ancora da materie prime a km0, come luppoli e malti sudafricani.