Stili da riscoprire. Stati Uniti: le North Shore Pale Ale
Il cospicuo giacimento degli stili birrari decisamente più di nicchia, se non propriamente nascosti, abbraccia non esclusivamente ricette archeologiche, da immaginare leggendo qualche prezioso volume o qualche altrettanto preziosa testimonianza sulle pagine di portali di approfondimento. No, in realtà, avendo la voglia di andare a frugare nelle pieghe di quei dispersi e disorganici depositi di contenuti conoscitivi, risulta evidente come piuttosto numerosi siano i casi di tipologie brassicole assolutamente in vita, ma confinate in ambiti territoriali di lavorazione e consumo alquanto limitati. È la fattispecie in cui si rispecchiano le North Shore Pale Ales, genere statunitense che vede la propria definizione derivare dal distretto geografico di riferimento, quello del North Shore (appunto) of Lake Superior, la riva nord del Lago Superiore, uno dei cosiddetti Grandi Laghi, il maggiore delle Americhe (e il secondo al mondo, dopo il mar Caspio, che però è salino), con la sua superficie distesa a cavallo fra gli Stati Uniti (con gli Stati di Minnesota, Michigan, Wisconsin) e il Canada (Ontario).
Ecco, la North Shore va da Nipigon, giusto in Ontario, a Duluth, nel Minnesota; ed è qui che prende forma, negli anni tra il 1999 e il 2015, il profilo del beer style di cui parliamo nella circostanza: ideatore del quale è un mostro sacro della pinta artigianale a stelle strisce ovvero quel Dave Hoops che, nato proprio a Duluth, dopo aver studiato da alchimista delle fermentazioni (prima alla University of California, quindi al Siebel Institute di Chicago), per poi farsi le ossa alla Goose Island e alla Pyramid, ritorna, esattamente nel 1999, nella città natale, assumendo le funzioni di responsabile della sala cotte (ruolo passatogli dal fratello Mike) alla Fitger’s Brewhouse. Questo il contesto in cui matura il Dna della North Shore Pale Ales: alla base del quale c’è l’utilizzo della stessa acqua, dolce e fine, che costituisce la massa liquida del lago e che ovviamente innerva di sé l’adiacente bacino idrico. Una materia prima che compendia almeno un paio di requisiti distintivi: il basso contenuto salino; e un pH iniziale tale per cui, in ammostamento, si scende attorno a quel livello di 5.5 circa giudicato, da Hoops medesimo, un parametro operativo sostanzialmente perfetto.
Per il resto, la tipologia (pur non ufficialmente codificata) presenta – dato per assodato un colore ambrato da chiaro a pieno – caratteristiche così riassumibili: una vigorosa dorsale maltata (di timbro panificato e, in parte, caramellato); inoculo di lieviti atti a conferire non invadenti esterificazioni di matrice fruttata e agrumata; gettate di luppolo transnazionali, includenti (in proporzioni variabili, ma sempre tali da cercare una sintesi improntata alla sobrietà) varietà statunitensi e tedesche di estrazione nobile. Connotati che si trovano ad esempio nella Danger Ale targata Castle Danger (Two Harbors, Minnesota), così come nella primigenia Starfire, quella elaborata appunto da Dave Hoops nel suo lungo periodo alla Fitger’s, chiusosi come detto nel 2015, quando ha imboccato una strada in solitaria dando vita, nel 2017, a un proprio marchio autonomo la Hoops Brewing, sempre a Duluth.