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Sogno d’estate tra Vallonia e Positano: gli spaghetti alla Nerano incontrano la Saison

Immaginate un’estate di oltre sessant’anni fa, la dorata dolce vita della Costiera Amalfitana, il mito di Capri e del Qvisisana sullo sfondo, le povere ricette del popolo riprese e placcate di preziosità nei ristoranti dei Due Golfi. Immaginate personaggi mitologici, lo smorfiatore, la massaia reggi-mondo alla maniera di Eduardo e il principino flâneur e lascivo come macchiette riprese da Totò. Date loro movimento e colore. Aggiungete cacio buono, basilico a pugni, i maccarrun e una bella dose di frittura (perché al Sud con quelle verdure si frigge anche, e soprattutto, d’Estate). Ne otterrete uno dei piatti più straordinari della tradizione recente campana: gli Spaghetti alla Nerano.

Nerano è una frazione di Massa Lubrense, comune italiano della città metropolitana di Napoli, situata nel punto della penisola sorrentina in cui il Tirreno ha già superato la scogliera di Punta Campanella, e digrada verso Salerno e la Baia delle Sirene. Delle tre spiagge di Nerano – Recommone, Ieranto e Marina del Cantone – è l’ultima il teatro della nascita dello spaghetto toponimico: opera qui infatti dal 1901, a ridosso di un piccolo pontile, il ristorante “Maria Grazia”. Rievocate ora il “principino lascivo” dall’incipit, e dategli il volto di Francesco Caravita di Sirignano detto “Pupetto”, l’Imperatore di Capri dal tavolo fisso in piazzetta (a lui si ispirò il De Curtis per il protagonista del film omonimo), organizzatore di mitologiche feste, tombeur de femmes e sedicente discendente di San Gennaro: da Maria Grazia andava spesso, per scorribande notturne, in compagnia di vitelloni dell’élite napoletana. Una sera arrivarono in tanti, a ristorante già chiuso. Sfidato dagli amici, col beneplacito della padrona di casa, decise di cucinare in prima persona un piatto per sfiziare la brigata; utilizzando ciò che avrebbe trovato in cucina., Complici il fato che assemblò gli ingredienti, e Maria Grazia che nella preparazione mise più che lo zampino, Pupetto portò a tavola un piatto di spaghetti mantecati unendo le zucchine fritte pronte per la scapece dell’indomani, abbondante basilico spezzato con le mani e fondi di formaggio: la Nerano era nata. Erano, gli ingredienti dell’epoca, con ogni probabilità assai meno specifici di quelli impiegati oggi nei ristoranti della Costiera che offrono il piatto: quella del “provolone del Monaco”, considerato ormai elemento-cardine della ricetta (prodotto da disciplinare a latte crudo, contenente almeno il 20 di latte di vacca agerolese e invecchiato dai sei mesi in su) è una denominazione d’origine protetta risalente appena al 2010. Chissà se il Principe di Sirignano usò per la sua impresa proprio uno dei caciocavalli trasportati dai “monaci” – pastori dalle lunghe cappe invernali – che calavano in aprile dai monti Lattari o se invece inserì tutti gli avanzi caseari che riuscì a reperire, senza andar troppo per il sottile. Certo è che ancora oggi, le poche ricette rese pubbliche e non murate da segreto artigianale, esprimano voci contrastanti sui formaggi da impiegare; e sembrino suggerire, come farebbero le più sagge delle nonne, che bisogni “usare quello che si ha in casa” – oppure, volendola vedere in chiave autoriale, una miscela di caci che cambia da cuoco a cuoco; un liqueur d’expedition che diventi cifra del ristorante rendendo ogni Nerano virtualmente unica. Se il pecorino è molto quotato come componente, lo è ancor di più il parmigiano; così come il fiordilatte di Agerola e una non meglio specificata “caciotta fresca” che fa capolino in alcune delle ricette. Si citano inoltre, tra i latticini, alcuni ingredienti cui sarebbe da ricondurre la straordinaria cremosità che è crisma di questo piatto: dal burro (pare che lo aggiungano anche nella versione “originale” di Maria Grazia… ma forse ammetterne l’uso non è che una forma di depistaggio per gli aspiranti imitatori!) alla cagliata di provolone fresco lasciata rassodare in frigo, e pronta a liquefarsi in crema al primo contatto con l’acqua di cottura della pasta. Pasta che istinto e tradizione vogliono esser Spaghetti, ed essendo a Napoli, Spaghetti di Gragnano. Uno spaghettone di buona fattura è la scommessa più sicura per la riuscita del piatto, nonché probabilmente la più filologicamente corretta per rievocare la magica notte della sua creazione: in alternativa, via libera a formati lunghi freschi (scialatielli, fettuccine, spaghetti alla chitarra). Sarà fondamentale utilizzare una pasta di qualità, affinché restituisca in cottura la giusta quantità di amido, aiutando la formazione di quel gran pezzo di Sacro Graal della Nerano che è la cremina. Sulle zucchine, il concilio dei ristoratori della Penisola Sorrentina sembra non avere particolari predilezioni tipologiche: come varietà sono ammesse tanto le genovesi dalla scorza scura che le ispide e verdine romanesche, quanto i dolcissimi “cucuzzielli d’Estate” cilindrici con scorza verde chiaro striata (zucchino bianco di Sicilia). A livello di procedimento, volendo conseguire un risultato degno, le cose si complicano ulteriormente: frittura in olio extravergine, di oliva raffinato o di semi? Qual è, in definitiva, il mix di formaggi da usare? Mantecatura al burro, all’olio o senza grassi aggiunti; in padella o fuori fuoco? E quando aggiungere il basilico? Andando per punti, proveremo a ricostruire una ricetta dal rapporto difficoltà/soddisfazione ideale.

La frittura. Le ricette di Nerano di più facile reperimento, e la cultura culinaria del Meridione d’Italia in genere, suggeriscono la frittura in olio extravergine d’oliva. La difficoltà nel determinare l’esatto punto di fumo di quest’ultimo, per via delle importanti oscillazioni tra extravergine diversi rispetto ai fattori che influenzano la soglia di bruciatura (pH, antiossidanti, percentuale di grassi mono- e polinsaturi/saturi), ha nel tempo determinato negli ambienti di cucina una generale diffidenza verso questo genere di pratica; spostando la preferenza verso oli raffinati di altra natura e dal punto di fumo più alto (oli di arachide, girasole). Trattandosi nel caso della Nerano di una frittura dolce, che richiede temperature non altissime, opteremo per una soluzione “mista” che si avvantaggi di tutte le caratteristiche dell’extravergine usato come base di frittura (aroma, colore, presenza di polifenoli antiossidanti) aumentandone leggermente il punto di fumo con un taglio di olio di arachide. 

I formaggi. Come scritto in precedenza, trattandosi fin dall’origine di una ricetta preparata “con quello che c’è in casa”, la Nerano ben sopporta riadattamenti in termini di ingredienti: in questo caso però cercheremo di trovare la proporzione perfetta per un gusto ricco e la giusta crema. Via con due parti di Provolone del Monaco grattugiato, due di Parmigiano Reggiano, una di Pecorino Romano.

La mantecatura. Nonostante da Maria Grazia sostengano di usare il burro, e faccia lo stesso uno dei migliori interpreti del piatto – Alfonso Caputo della Taverna del Capitano, sempre a Nerano – sembrerebbe improbabile ammettere che l’ingrediente fosse presente nella dispensa del ristorante in cui l’enigmatico spaghetto venne creato. Altrettanto ridondante sarebbe aggiungere olio extravergine a crudo, quando è già presente nel piatto quello di frittura rilasciato dalle zucchine e quello del soffritto d’aglio in cui ripasseremo gli spaghetti. Opteremo quindi, in uno sforzo filologico, per una mantecatura fuori fuoco senza grassi aggiunti, in cui a legare la pasta e formare la crema siano i formaggi e l’acqua di cottura.

Il basilico. Se come me ne amate il profumo, sarete d’accordo nell’ammettere che di basilico, più ce n’è, meglio è. Fermo restando che non vada cotto, per non disperderne il prezioso aroma, è vero che le sue foglie verde brillante si giovano di tepore per spandere a dovere gli oli essenziali che contengono. Laviamolo e poggiamolo delicatamente, a grandi manciate, a prendere temperatura sulle zucchine fritte ancora tiepide; che magari non serve a niente a livello tecnico, ma fa colore e poesia. E la poesia in cucina serve, sempre.

La ricetta

Dosi per 4 persone.
400 grammi Spaghettoni artigianali, di Gragnano se volete essere talebani
700 grammi di zucchine fresche di mercato
80 grammi Provolone del Monaco grattugiato
80 grammi Parmigiano Reggiano grattugiato
40 grammi Pecorino Romano grattugiato
Abbondantissimo basilico fresco
350ml olio extravergine d’oliva + 150ml olio d’arachide (per friggere)
Olio extravergine d’oliva
Uno spicchio d’aglio
Sale e pepe nero q.b.

Lava e asciuga le zucchine, affettandole a rondelle (o mezze rondelle) di circa 2mm di spessore. Friggile nella miscela d’oli a 180º, finché sono dorate (è importante che non si bruniscano eccessivamente per evitare il retrogusto amaro); scolale con una schiumarola e ponile a riposare su un piatto foderato di carta assorbente o per fritti. Sala, lava e asciuga il basilico e lascia a prendere temperatura sulle zucchine tiepide. In una padella d’alluminio grande abbastanza per saltarvi la pasta, fai soffriggere in un giro abbondante d’olio extravergine uno spicchio d’aglio a fuoco moderato. Nel frattempo cuoci la pasta in abbondante acqua salata. Quando è appena dorato, elimina l’aglio e aggiungi alla padella le zucchine già fritte; lasciandole sfrigolare a fiamma bassissima. Scola gli spaghetti molto al dente e riserva la loro acqua, aggiungili alla padella e completa la cottura aggiungendo gradualmente liquido e girando con un forchettone. Qualche secondo prima di ritirare dal fuoco aggiungi il basilico e il pepe nero. Versa la pasta e zucchine in una boule e aggiungi gradualmente ma rapidamente i formaggi, mescolando continuamente e regolando la densità della crema con eventuale altra acqua di cottura. Impiatta. Mangia caldissimo.

 

Nel bicchiere

Un piatto estivo come lo Spaghetto alla Nerano non può che essere goduto in coppia con la birra estiva per definizione, che l’Estate la porta addirittura nel nome: la Saison, la (bella) Stagione. Stile squisitamente vallone, veniva storicamente brassata in Inverno e Primavera nelle fattorie belghe di confine francese includendo le spigolature della raccolta dei cereali; e servita in Estate ai braccianti come parte della paga, bevanda dissetante, nutriente, corroborante. Molte oggi le varianti contemporanee, con dry hopping o speziature peculiari; sempre validissime le interpretazioni classiche, capisaldi della cultura brassicola mondiale.

Saison e Spaghetti alla Nerano sembrano pensati per il consumo in abbinamento, col profilo aromatico (citrico, fenolico) della prima che completa la dolcezza e la sapidità dei secondi, pepe nero su zucchine, limone su basilico, rusticità su morbidezza, la secchezza della beva che asciuga il residuo grasso dei formaggi ed invita a un nuovo boccone. Suggestivo pensare a un calice a tulipano fresco, coronato da una montagna di schiuma pannosa e forse per una volta un po’ più freddo del normale, accanto a una porzione di spaghetti ben mantecata, “gialla” e cremosa; che attendono il sorso e la forchettata su un tavolo che si porta dietro il colore e la brezza del mare. Suggerite in particolar modo la Vermontoise di Brasserie De Blaugies/Hill Farmstead, di grande secchezza e capace di ingranare una marcia in più grazie alla luppolatura decisa con varietà USA, capace di aggiungere al piatto la sua dote di note erbacee e di pompelmo; una ultraclassica Saison Dupont, impossibile da non citare quando si parli dello stile, la nostrana Vieille Saison a fermentazione mista “Nessun Dorma” di Ca’ del Brado; acidificata naturalmente con lactobacilli, pediococchi e brett nel corso di un lungo invecchiamento in botte per uno sposalizio lussurioso quanto elegante e cerebrale.