Ok… il bicchiere è giusto!
Il bicchiere è necessario, per la birra. Per anni la comunicazione dell’industria – prima di iniziare a parlare di luppoli e di km0 – ha tentato di convincerci che fosse un accessorio di cui si potesse fare a meno e anzi, al contrario, ha mosso le leve del marketing per far passare il messaggio che bere la birra direttamente dalla bottiglia (bella ghiacciata, ovviamente) fosse decisamente più cool. Non solo, ci si è messa anche la cinematografia di matrice americana, dove la birra è quasi sempre bevuta “a canna”. Non va bene. Non è una questione di birrofighettismo, si tratta semplicemente di rendere giustizia al lavoro del birraio. Bere dalla bottiglia significa azzerare quasi completamente l’apporto olfattivo (che invece è fondamentale, nella piacevolezza complessiva di una birra) e non poter in nessun modo gestire il livello di CO2 presente in bottiglia, cosa che invece sappiamo essere molto importante.
Se vogliamo davvero capire una birra, oppure semplicemente godercela, allora il bicchiere è necessario: non è considerabile accessorio, né che si tratti di una degustazione ufficiale, né di una piacevole bevuta tra amici. Un concetto che – evidentemente – va ribadito, perché vedo che anche il marketing di alcuni birrifici (artigianali) a volte va nella direzione opposta, suggerendo di fare a meno del bicchiere. Sinceramente non capisco, mi pare un errore grave e un passo indietro rispetto alla “cultura” che in tutti questi anni si è costruita, con tanta fatica.
Occorre distinguere tra le situazioni di degustazione e quelle di consumo, per le quali valgono, a mio parere, regole piuttosto diverse. Per la degustazione – specie se subordinata ad un giudizio numerico, come ad esempio avviene nei concorsi – si sceglie un unico tipo di bicchiere e poi si usa quel modello per tutte le birre. Così facendo si finisce certamente per favorire alcuni stili, a discapito di altri, ma le degustazioni vengono sempre fatte per gruppi (a volte con un preciso riferimento stilistico, altre volte più eterogenei) e quindi il limite di un bicchiere non adatto alla tipologia è condiviso da tutti i campioni: ho assaggiato in bicchieri molto diversi tra loro, dal panciuto Balloon belga allo stretto Kölschglas tedesco e credo che la cosa più importante, per la validità del giudizio, sia che il degustatore conosca bene il bicchiere che si sta usando. Ogni bicchiere ha un proprio carattere, è in grado di sottolineare o, al contrario, di mascherare alcune caratteristiche della birra e nel giudizio bisogna cercare di tenerne conto, anche se non sempre è facile. Se ad esempio si usa il famoso Teku (nato specificatamente per la degustazione, in realtà oggi più utilizzato per la mescita, forse per la sua indubbia eleganza), bisogna ricordare che è uno strumento molto selettivo con la schiuma (difficile creare una buona schiuma, specie negli scarsi quantitativi che si servono in degustazione) e che tende a sottolineare molto alcuni off-flavour (una birra che evidenzia un piccolo difetto legato ai solfuri potrebbe essere giudicata molto meglio, se assaggiata in un altro bicchiere). Un bravo degustatore deve essere in grado di considerare questi aspetti.
Se spostiamo la nostra ottica sul consumo, allora il discorso cambia. Se è vero che, citando Kuaska, La birra non esiste, esistono le birre! allora si potrebbe dire che Il bicchiere non esiste, esistono i bicchieri! In commercio si trovano migliaia di bicchieri da birra, di forma e caratteristiche diverse (solo la tedesca Sahm elenca, nel suo sito, 129 modelli, e per ciascuno sono disponibili più formati) e moltissimi birrifici hanno associato bicchieri originali alle proprie birre. In alcuni casi si tratta soprattutto di “folclore” (penso ad esempio al bicchiere della Kwak, che sicuramente colpisce, ma che tecnicamente non credo sia un esempio da seguire), ma invece in molti altri il bicchiere scelto dalla birreria, la sua forma e le sue dimensioni, sono certamente indicazioni di cui tenere conto. In un locale della mia città (in cui, ovviamente, non vado più) mi è stata servita una Tripel in un boccale col manico della Forst Heller Bock e una XX Bitter in un bicchiere della Weihenstephaner Weissbier: due birre molto buone, in partenza, decisamente svantaggiate da una scelta criminale del bicchiere. La forma del bicchiere deve essere rispettosa delle caratteristiche della birra, della sua potenza aromatica, del suo livello di gasatura, della sua intensità alcolica. Senza scendere in dettagli – per fortuna sull’argomento è stato scritto molto – è fondamentale che per le birre molto esili e delicate sia scelga un bicchiere che non “apra” troppo, per evitare che la birra risulti povera al naso, mentre al contrario birre molto complesse e muscolari hanno bisogno di una coppa sufficientemente ampia per permette il corretto sviluppo dei profumi e per evitare che alcune note olfattive risultino troppo concentrate, “sovraesposte”. Si può fare – anche a casa – un semplice test, che chiarisce immediatamente il concetto. Si prendono due bicchieri di forma molto diversa (ad esempio uno stretto flûte e un ampio balloon) e due birre con caratteristiche opposte (ad esempio una semplice lager chiara e una complessa trappista scura); poi si assaggiano le due birre nei due bicchieri: la lager nel balloon sarà “vuota”, la trappista nel flûte sarà “troppa”. In entrambi i casi le due birre saranno fortemente penalizzate, mentre nei bicchieri adatti daranno il meglio di sé.
Credo però che – a patto di scegliere un bicchiere dalla forma macroscopicamente adatta alla tipologia di birra – sia bene, qui come altrove, cercare di evitare gli eccessi: non sono convinto che sia vero che “ogni birra ha il suo bicchiere”, penso si tratti di un approccio troppo rigido, troppo “liturgico”, che non porti a nulla. Confesso che faccio molta fatica, per fare un solo esempio, a bere l’Orval in un bicchiere diverso dal suo bellissimo originale, disegnato dall’architetto Henry Vaes. Ma mi rendo conto che la ragione è affettiva, non certo tecnica: Orval ha spesso rappresentato la prima tappa delle mie innumerevoli gite belghe, facile capire come quei posti (e quella birra) siano, per me, qualcosa di molto speciale. Fatta però la tara “sentimentale”, credo che nella scelta del bicchiere vada evitato un approccio troppo dogmatico; ricordando sempre la natura popolare e socializzante della birra, bisogna fare attenzione agli eccessi di formalità e di rigidità, che non penso aiutino nel piacere della bevuta. Se il sottobicchiere non ha lo stesso marchio del bicchiere o se il bicchiere non è girato con il logo verso il cliente, non credo che la qualità della birra ne risenta più di tanto (anche se queste attenzioni sono belle e apprezzabili, perché manifestano cura del cliente). Credo però sia più importante – piuttosto che badare a questi aspetti “formali” – concentrarsi sui fondamentali del servizio, partendo da un corretto lavaggio del bicchiere (se il bicchiere è proprio quello della birreria, ma è da una settimana appeso al bancone a prendere aria ne preferisco uno diverso, ma ben pulito) e prestando grande attenzione alla spillatura. Non basta scegliere il bicchiere giusto, bisogna anche gestire bene la mescita, in particolare rispetto al livello di gasatura: una weizen troppo “rotta” (con un servizio troppo estremo, grande distanza del bicchiere e molte pause) è una birra seduta, noiosa, mentre un buon livello di anidride carbonica è necessario per sottolinearne la freschezza, l’acidità; all’opposto una birra molto maltata, molto rotonda, è penalizzata da un livello di gasatura elevato, necessita di maggiore rottura, per poter valorizzare le componenti morbide e avvolgenti.
Ultimo aspetto, a parer mio piuttosto importante. Il bicchiere è uno degli elementi più visibili, in un locale. Tutti lo usano, non dico che sia la prima cosa che si nota, ma certamente è una parte non trascurabile dell’immagine e dell’atmosfera di cui un locale pubblico vive. In questo senso la scelta del bicchiere è anche “politica”, esprime lo stile e le idee che stanno alla base del progetto. Se si entra in un pub e sulle mensole ci sono solo pinte americane è fin da subito abbastanza chiaro quali sono le idee birrarie del proprietario e quali birre troveremo in linea (anche al di là del fatto che la pinta è sovrapponibile e sicuramente molti l’hanno scelta anche per questo!). Mi è molto piaciuta la scelta fatta da Pietro Fontana nel suo nuovo locale di mescita in centro a Monza: un bicchiere molto “rustico” – decisamente insolito in Italia – che è secondo me perfetto per lo “stile” di Pietro e del suo Carrobiolo: birre molto solide, concrete, ma pensate per essere bevute, senza troppa degustazione e masturbazione mentale. Scegliendo (non per tutte le birre, sarebbe stato un errore!) un boccale che fa pensare immediatamente alle birrerie praghesi come lo storico bicchiere della mitica U Zlatého Tygra, si fa una precisa presa di posizione, che magari non è così esplicitamente ed immediatamente comprensibile a tutti, ma comunque molto importante.