Northern Monk: intervista a Brian Dickson
Northern Monk, il birrificio di Leeds che negli ultimi anni ha saputo fare breccia tra gli appassionati anche italiani, vede la luce nel 2014 all’interno di un vecchio stabile industriale, che ristrutturato e adattato alle necessità del caso, ospita il loro primo impianto di produzione e la loro tap room. Dal 2017 hanno aperto una seconda sede operativa, situata a qualche centinaia di metri dalla sede originaria. Un mix vincente di creatività produttiva, approccio moderno, etichette molto curate e riconoscibili, ci ha spinti a contattare Brian, head brewer e fondatore del birrificio inglese.
Com’è cominciata la tua carriera nel mondo della birra?
Mentre studiavo musica a Huddersfield University ho iniziato a lavorare in un pub fantastico che si chiama The Grove. Era pieno di birre da tutto il mondo ed è così che mi sono innamorato di questo mondo! Quando mi stufai di studiare musica, il pub mi diede la possibilità di fare il volontario presso dei birrifici inglesi, così ho conosciuto Russel e ho dato inizio a Northern Monk.
Qual’è il tuo stile preferito da produrre e da bere?
Mi piace molto fare birre con un basso grado alcolico, mi piace la sfida di creare il più possibile corpo e sapore all’interno di una session. Sono ancora pazzamente innamorato delle Black IPA, ma sono consapevole di essere l’unico ormai. Bevo molte cose diverse a seconda del mio umore, dell’orario e delle occasioni. La maggior parte delle volte mi potete trovare con una IPA o una Helles Lager.
Le ricette nascono da un’idea tua o si tratta di un lavoro di squadra?
Continuo a scrivere personalmente le ricette ma le idee nascono dal gruppo. Incoraggiamo tutti in birrificio a proporre le proprie idee e ovviamente quando collaboriamo con altri birrifici e con gli artisti del progetto Patrons, si tratta completamente di un lavoro di gruppo.
Come decidete con quale birrificio collaborare? E come scegliete il tipo di birra da produrre?
Varia molto. Organizzare Hop City e Dark City ci presenta la grande opportunità di brassare con birrifici eccezionali da tutto il mondo, così come accade durante altri festival in UK. Proviamo a collaborare anche con birrifici promettenti, non solo nomi famosi, perché sappiamo per esperienza quanto sia importante interagire con realtà affermate e birrai con esperienza quando si sta iniziando. A volte invitiamo semplicemente un birrificio che rispettiamo o con cui non abbiamo collaborato da un po’ di tempo. Per quanto riguarda le birre che produciamo, normalmente ne parliamo via mail, chiediamo se c’è qualcosa di specifico che vogliano fare e partiamo da lì. A volte ci vogliono 5 minuti a decidere, a volte 5 settimane.
L’anno scorso avete lanciato una campagna di crowdfounding che ha portato nelle vostre casse 1.5 milioni di sterline. Vi aspettavate un successo così pazzesco? Come avete speso i soldi? Lancerete ancora un’iniziativa simile?
È stato incredibile! Lanciando la campagna eravamo ottimisti ma non avremmo mai immaginato di sollevare una tale cifra, tantomeno così rapidamente! Nel birrificio abbiamo investito i soldi in una nuova inlattinatrice, nuovi tanks, un magazzino più grande e una zona di stoccaggio a freddo e abbiamo ingrandito il nostro progetto di maturazione in botte. Abbiamo aperto una seconda taproom a Manchester e abbiamo passato 9 mesi a dare una rinfrescata al nostro marchio. Non abbiamo in programma di rifare una cosa del genere, perché oggi la gente appare meno incline a separarsi dai proprio soldi. Molti birrifici dopo hanno fatto crowdfounding e non per tutti è stato un successo. Ancora più importante per noi il fatto che non vogliamo sminuire gli investimenti dei nostri sostenitori, abbiamo intenzione di continuare a crescere e un giorno riconoscere a tutti un buon ritorno sull’investimento!
Voi curate molto l’aspetto delle vostre birre: qual è il processo creativo dietro alle vostre lattine?
Abbiamo sempre cercato il modo di lavorare con altre realtà creative del territorio e così è nata l’idea del Patron Projects. Sviluppare le etichette a doppio strato ha cambiato tutto, dandoci la possibilità di raccontare la storia della birra e delle persone coinvolte e rendendo la birra non solo una bevande ma anche un’esperienza interattiva. Troviamo gli artisti in diversi modi: attraverso consigli, scoperte su Instagram, esposizioni, a volte sono semplicemente loro che ci contattano. Il processo di sviluppo delle etichette varia, a volta spieghiamo la birra che vogliamo fare e loro realizzano un’etichetta basandosi sulle nostre parole, a volte il processo è inverso, decidiamo un tema per la serie e poi produciamo una birra che rientri nei criteri scelti.
Una domanda un po’ complicata, qual è la tua creazione a cui tieni di più? C’è una birra che hai bevuto e ti sarebbe piaciuto fosse stata fatta da voi?
Una domanda molto difficile! Sono orgoglioso della nostra linea base come Eternal e Faith, particolarmente perché escono costantemente e proviamo a farle al meglio. Parlando di speciali, sono spesso le birre più tranquille o insolite, quelle con meno hype che apprezzo di più. Per quanto io adori le IPA robuste o simili, birre come la “Very Stable Genius”, una lager leggera con Citra dell’anno scorso, o più recentemente la Grape Soda IPA che abbiamo fatto con Pigs x7, mi danno molta soddisfazione. Per quanto riguarda una birra che avrei voluto ideare, fammi pensare: la prima volta che feci la Striding Edge ero convinto di aver raggiunto la perfezione per una birra da 3.0% o meno. Poi ho provato la “Northern Lights” di Whiplash l’anno scorso a Hop City. Quella birra mi ha sconvolto.
Riesci a provare birre italiane? Hai mai assaggiato qualcosa che ti è piaciuto molto o ci sono birrifici italiani con cui collaboreresti?
Qualche anno fa sembrava ci fosse una buona disponibilità di birra italiana in UK, ma adesso è un po’ che non ne vedo e non sono stato in Italia. Però quel poco che ho assaggiato mi è piaciuto e mi piacerebbe venire quest’anno! Sarei felice di fare qualcosa con Toccalmatto e fare una birra ispirata alla Landlord di Timothy Taylor, so che è la sua birra preferita! Sono un grande fan della Zona Cesarini!
Siete conosciuti per le vostre intense NEIPA. Qual è il tuo parere sulla frenesia hazy? Pensi che il genere abbia ancora sfaccettature da svelare e scoprire?
Assolutamente, con ogni IPA che facciamo impariamo costantemente, sperimentiamo, proviamo nuove tecniche e combinazioni. Le NEIPA hanno cambiato il modo della gente di approcciarsi alle IPA, sia come birrai che come consumatori e sicuramente non si può più considerare solo una moda. È uno stile stabile, fatto per restare. Mi piace vedere birrifici cominciare a unire le proprie conoscenze degli stili tra la costa est e ovest degli USA, per esempio unendo a un mouthfeel più morbido, le tecniche di dry hopping della east coast ma con il taglio amaricante o con l’uso dei malti della west coast. Mi piace molto anche trasferire queste conoscenze su stili con basso grado alcolico, è così che è nata la Striding Edge. Questi stili prendono le birre session, in cui il nostro paese si è specializzato per secoli e le portano su nuovi livelli. Questa del resto è l’idea produttiva di quando è nato Northern Monk.
Qual è la tua opinione sulle interferenze dell’industria nel mondo craft? Saresti disposto a collaborare con un birrificio che è stato comprato e/o a partecipare a uno loro evento? Hai mai pensato che un giorno potrebbe arrivare un’offerta importante anche a voi?
Prima di tutto, non c’è nessuna intenzione di vendere il birrificio a un altro birrificio. Cosa facile da dire ma vedo quotidianamente quanto Russel sia appassionato e quanto intenda tenere il business il più indipendente possibile e sotto il suo controllo. Esistono enormi possibilità che Northern Monk passi ai suoi figli un giorno. Non ritengo ci possa essere una “giusta offerta” che faccia cambiare idea. Il punto è che la birra è un business, e personalmente non boicotto automaticamente un birrificio se vende: né io, né nessun altro siamo in diritto di giudicare come un birrificio gestisce la propria attività. Questo però rende molto improbabile che noi, in quanto birrificio, lavoreremo nuovamente con quel birrificio acquisito, anche se onoriamo ogni impegno preso prima della vendita, come per esempio la nostra partecipazione l’anno scorso a Beavertown Extravaganza. Gente aveva già comprato i biglietti oltre a viaggio, hotel, etc. Abbiamo ritenuto giusto partecipare, per i clienti principalmente. Proviamo a leggere come un’opportunità la vendita di un birrificio come Beavertown. Ci sono stati infatti molti bar che hanno deciso di non tenere più le loro birre in vendita, un sacco di spine di Gamma Ray sono state improvvisamente liberate e ciò presenta un’opportunità per birre come la Faith. Ma è un fuoco di paglia. Nel lungo termine tutto diventerà più difficile per i piccoli produttori, i grandi cominceranno a ricomprare la loro fetta di mercato e ridurranno il numero di pub a cui sarà possibile vendere.
Ci dobbiamo aspettare qualche nuovo progetto?
Abbiamo appena concluso la serie “Northern Powerhouse”, continuando il lavoro di Wylam dell’anno scorso. Si tratta di una celebrazione dell’industria e della creatività dell’Inghilterra del Nord. Abbiamo realizzato 7 birre coinvolgendo 7 dei migliori birrifici del nostro territorio, passando da una Smal IPA da 3.3% vol., fino a un Imperial Maple Brown da 10% vol. Adesso stiamo muovendo i primi passi di un progetto di fermentazione mista. Ci vorrà del tempo, ma state sintonizzati!
Abbiamo letto che con il vostro nuovo impianto potete arrivare a 24 mila ettolitri, state attualmente lavorando a capacità massima?
Da ottobre 2018 abbiamo raggiunto la capacità massima ma ancora abbiamo bisogno di affinare i procedimenti al 100%: possiamo ancora migliorare e crescere.
Come riuscite a stare dietro all’aumento di richiesta?
La chiave è quella di essere sempre ambiziosi e di focalizzarsi sul migliorare costantemente la qualità. Durante il nostro primo anno non avevamo molta esperienza ma abbiamo imparato molto attraverso le collaborazioni con altri birrifici. Quando abbiamo cominciato eravamo gli outsiders e dovevamo dimostrare il nostro valore. In termini di crescita scegliamo sempre partners che condividano i nostri stessi valori.
Avete piani di espansione?
Abbiamo piani, idee. Ci saranno probabilmente nuovi bar in un altro paio di città. Forse Londra.
Come è nato il progetto Patrons?
Siamo stati avvicinati da una società che produce etichette peel&reveal e abbiamo pensato “cosa possiamo fare con queste?”. Abbiamo deciso di collaborare con vari artisti del nord dell’Inghilterra e dedicare parte dell’etichetta alla spiegazione del loro lavoro. Abbiamo iniziato con un fotografo e con una torrefazione di caffè. Doveva essere un progetto unico, soprattutto per il prezzo delle etichette, ma hanno avuto così tanto successo, vincendo anche dei premi, che siamo riusciti a negoziare un’offerta col produttore. Abbiamo iniziato a collaborare con più persone e artisti e abbiamo continuato.