Homebrewing

Fare birra in casa: riflessioni sullo sparging

Di recente alcuni articoli apparsi sulla rivista di homebrewing Brew You Own hanno suscitato un certo interesse fra gli homebrewer USA, stimolando un vivace dibattito sui forum americani – un po’ meno in quelli nostrani, anche se fra gli abbonati alla rivista non mancano appassionati italiani. Penso sia utile – anche a beneficio di chi non legge la rivista o non ha dimestichezza con l’inglese – soffermarsi su alcuni di essi.
sparging

Il dibattito più acceso e anche critico è stato suscitato dall’articolo di Steve Holle sullo sparging apparso sul numero marzo/aprile 2008. Il servizio illustrava un metodo di sparging intermedio – a giudizio dell’autore – fra il batch sparge e il fly sparge. A me e a molti la tecnica illustrata è sembrata in verità concettualmente più affine al fly, ma a parte questo il fatto che ha suscitato più reazioni è stata l’affermazione che il batch sparge sia una tecnica semplice ma inferiore, sul piano dei risultati e della qualità del prodotto. La ragione sarebbe dovuta al fatto che, tra un batch e il successivo, lo strato superficiale di trebbie intrise di mosto rimangono esposte all’aria e quindi per quel sia pur breve periodo di tempo sono soggette a ossidazione (in particolare i loro tannini); la successiva “raccolta” di mosto rimette in circolazione questa parte già un po’ ossidata deteriorando la qualità del prodotto.

Al di là delle diverse discussioni e disamine del problema, quello che più ha lasciato perplessi ed è stato oggetto di critiche è il fatto che a questa tesi molto “pesante” ai danni del batch sparge non sia stata supportata come meritava né da riscontri sperimentali né da un approfondito background teorico “specifico”.

Molti hanno ritenuto che “l’affossamento” anche parziale di una tecnica diffusa e apprezzata da migliaia di homebrewer avrebbe meritato ben più che una semplice citazione a margine nel contesto di un articolo.

Né io né altri possono mettere in discussione che possa effettivamente esistere un fenomeno di ossidazione nella situazione descritta; e nell’articolo ci sono riferimenti a studi che dimostravano le conseguenze in generale dell’ossidazione dei tannini. Ci si chiede però se sia possibile quantificarlo, e ad esempio confrontarlo in linea teorica e sperimentale con tanti altre fasi che al pari introducono possibilità di ossidazione nel processo. In parole povere, ha senso bocciare una metodologia perché introduce ossidazione dei tannini, se tale effetto sia (supponiamo) ben minore di altri passaggi che comunque sono presenti anche nel fly, o comunque in tutto il processo?

Dal punto di vista “pratico”, ovvero dei risultati, a molti non è bastato l’unico “riscontro”, cioè il fatto che le birrerie non impiegano il B.S. ma il Fly – riscontro del tutto indiretto, e che non tiene conto delle differenze di metodi e requisiti fra produttori PRO e casalinghi. Inoltre più di un homebrewer ha osservato come sia nella propria esperienza, che soprattutto nella partecipazione a vari concorsi, non sia mai stata osservata una migliore qualità delle birre prodotte con batch sparge rispetto a quelle con la procedura tradizionale.

A queste e altre critiche è stato risposto sia nelle colonne che negli stessi forum. Gli autori di BYO hanno osservato come sotto questo punto di vista non vi siano differenze fra produzione industriale e HB, che devono affrontare lo stesso problema e gli stessi effetti. Una cosa che potrebbe esser vera ma non è del tutto scontata. Un fattore che mi è venuto in mente è ad esempio il tempo di sparging, e quindi la durata del periodo in cui le trebbie sono esposte all’aria, tempo che per un HB è piuttosto breve (per me si tratta 5-10 min). Un altro fattore è il tipo di birre prodotte: è intuitivo che una limitatissima differenza di ossidazione potrebbe essere sulla soglia della percettibilità  in una lager chiara industriale ma diventi impercettibile in birre un po’ più caratterizzate. BYO ha poi giustamente osservato che il fatto di produrre buone birre con il BS e vincere concorsi non dimostra nulla, perché (estrapolando un po’ il concetto) è possibile che le stesse buone birre prodotte con il BS sarebbero state ancora migliori usando il fly-sparge. Giusto, ma il mio pensiero e quello di altri è che in un “processo” l’onere della prova spetti all’accusa! A supporto di questa tesi di inferiorità del BS, forse fondata ma “forte”, sono necessari precisi riscontri sperimentali (batch paralleli, blind tasting ecc) in mancanza dei quali rimane solo l’esperienza statistica personale e dei concorsi; certo non una prova scientifica, ma per la tesi opposta non c’è nemmeno quello!

In conclusione è rimasta in molti la sensazione che una tesi comunque interessante e capace di stimolare e “provocare” migliaia di HB tenacemente affezionati al BS, avrebbe meritato più approfondimento (approfondimento che lo staff della rivista ha comunque promesso nei prossimi numeri). Resta positivo il fatto di aver lanciato il sasso nel… mosto e di aver stimolato centinaia di homebrewers a interrogarsi sulla bontà delle loro procedure

di Massimo Faraggi

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