Gaston Debelder, padre di Armand e Guido, rispettivamente birraio e ristoratore dell’universo Drie Fonteinen, è stata una figura molto importante nel mio percorso di avvicinamento – e in seguito di approfondimento – al mondo del lambic, mondo che sarebbe poi diventato per me una vera e propria ragione di vita. Per parlarvi di lui non posso non partire dal grande scrittore Herman Teirlinck, il padre della moderna letteratura in lingua fiamminga, che nel 1936 si trasferì a Beersel stabilendo proprio nel caffè Drie Fonteinen in Hoogstraat, di proprietà di Tisjke Potter e di sua moglie Maree, la base del club artistico e letterario da lui fondato ventiquattro anni prima. Teirlinck ebbe un ruolo fondamentale nella storia della famiglia Debelder, diventandone dopo la morte nel 1967 nume tutelare e spirito ancora presente nel caffè-ristorante che affaccia sulla piazza a lui dedicata, di fronte alla chiesa di Sint Lambertus e a due passi dalla sua casa, ora trasformata in un piccolo e ben curato museo. Fu lui che, più che consigliare, impose al suo carissimo amico Gaston, miracolosamente scampato ai campi di sterminio nazisti ma talmente debilitato da non riuscire più a nutrirsi, di sforzarsi a bere una gueuze al giorno, facendogli tornare l’appetito e salvandogli di fatto la vita.
Nel 1953, quando Tisjke e Maree Potter chiusero l’attività cedendola a Gaston e a sua moglie Raymonde, non si usava imbottigliare il lambic, ad eccezione delle rimanenze di botte di massimo due settimane rimaste invendute. All’inizio Gaston, seguendo l’esempio dell’amico Jan-Baptist Vanderlinden, saturava la sua gueuze con anidride carbonica, ma ben presto grazie all’ennesimo consiglio di Herman Teirlinck provò ad adottare il metodo più antico, quello praticato dalla birreria Van Halen da cui comprava il lambic: fare la propria gueuze senza saturazione appunto, mossa che scatenò fin dai primi assaggi l’entusiasmo del grande letterato fiammingo.
Gaston divenne ben presto famoso per il suo “naso”, cioè quella sensibilità che ogni assemblatore di lambic può avere come dote naturale (come nel suo caso) o che può acquisire e incrementare con una costante applicazione, in entrambi i casi sempre lasciandosi stregare dalla passione per questa taumaturgica bevanda. La prima volta che lo incontrai a Beersel, sul finire degli anni Ottanta, ne rimasi folgorato, al punto che diventò una specie di rito il mio appartarsi a parlare con lui ad ogni arrivo, dando udienza ad Armand e Guido solo dopo una buona mezz’ora! In quel magico lasso di tempo Gaston, ormai non più meravigliato di trovarsi davanti a un italiano indemoniato, raccontava aneddoti e storie di vita vissuta che per la mia fame di conoscenza rappresentavano puro nutrimento. Naturalmente si toccavano anche particolari tecnici su come scegliere i vari lambic per creare la propria gueuze, affidandosi non solo all’olfatto, ovviamente fondamentale, ma anche all’impatto tattile al palato, e ancora alle sensazioni boccali che dirottano la scelta su certi lambic piuttosto che su altri, capaci di conferire l’impronta caratteristica che ti fa capire chi sta dietro a quel determinato risultato finale. Arte nella quale Gaston eccelleva tanto da meritarsi l’appellativo “il naso”, che per un assemblatore rappresenta qualcosa di veramente speciale.
Profondamente legato alla moglie Raymonde, morta nel marzo 2005 due mesi dopo dell’amatissimo marito, era molto orgoglioso dei figli Armand e Guido (oggi sessantadue e cinquantatre anni) a cui nel 1982, sessantacinquenne, passò il testimone rispettivamente di birreria e ristorante. Armand mi dice sempre che deve tutto al padre, che l’ha sostenuto, incoraggiato, consigliato ed aiutato sia psicologicamente che materialmente cercando di essere presente nei momenti più importanti, vedi le giornate dedicate al delicato atto dell’imbottigliamento. Tra i ricordi più belli che spesso riviviamo, come non citare le lacrime di Gaston nel vedere il figlio ritirare il premio assegnatogli dall’OBP (De Objectieve Bierproevers), e ancora l’emozione all’assaggio del primo lambic prodotto da Armand nel 1999. Grande Gaston, ricorderò sempre i suoi modi gentili, il suo parlare lentamente, il suo sorriso contenuto e il suo sguardo carico di umanità, vivo e divertito davanti alla mia eccitazione e al mio gesticolare così lontano dalla sua pacatezza tutta fiamminga.
Articolo tratto da Fermento Birra Magazine n. 12