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La birra è un dono di Dio! Ricordi di viaggio tra abbazie, monaci e birra

Il mio primo incontro con le birre fatte dai monaci fu virtuale e avvenne a fine anni 70 tramite “The World Beer Guide” del maestro Michael Jackson, il libro che mi cambiò la vita e che, ogni volta, non mi stanco di ricordare per rendergli il giusto merito. Ovviamente, tra le tante immagini, quelle che più mi colpirono, mettendomi al tappeto, furono quelle dei monaci trappisti. Passare poi dalle pagine ai divini liquidi, versati nelle apposite coppe, non fu difficile perché, cercandole bene, anche da noi, le si potevano trovare nei migliori pub e, in particolare le tre Chimay, anche in qualche supermercato.

Superfluo dire che in tutte le mie prime pionieristiche degustazioni pubbliche in Italia, in primis Mulligans di Milano e Frottola di Vigevano, inserivo sempre una birra trappista, specie Orval, Westmalle e Rochefort, per raccontare le storie e le origini di queste birre, che non rappresentavano uno stile in senso stretto ma piuttosto una denominazione rilasciata solo rispondendo a delle rigide condizioni. Vi ricordo che, all’epoca, predicavo nel deserto e che, quindi, instancabilmente utilizzavo delle frasi ben definite, tratte da un testo che avevo scritto a inizio anni Novanta. Ricorro eccezionalmente solo per voi, al famigerato “copia e incolla” per riportarvi un passo: “La produzione di birra monastica debutta all’epoca carolingia. Già nel 770 nell’Abbazia di Gorze in Mosella, il mastro birraio opera per i suoi silenziosi fratelli. I monaci perfezionano in modo significativo i metodi di brassaggio e diventano fino al XII secolo gli esclusivi detentori delle conoscenze e delle tecniche. Nella famosa Abbazia di S.Gallo in Svizzera, nascono le geniali tecniche che permettono di dividere la stessa produzione in più mosti. Il primo mosto che si estrae, ricco di zuccheri e destrine, dà una birra forte e prelibata, chiamata “prima melior”. Il malto utilizzato trattiene tuttavia una forte proporzione di zuccheri “imprigionati” che, con l’aggiunta di acqua seguita da una filtrazione, permette di ottenere una birra meno ricca di zuccheri e destrine, più leggera e di minor valore (“da tavola”) chiamata “secunda” per il consumo dei monaci che potevano (a seconda delle regole del singolo monastero) berne dai 5 agli 8 litri al giorno! Un’ulteriore diluizione poteva essere fatta per ottenere la cosiddetta “tertia”, la birra offerta ai mendicanti.”

Tornando ai viaggi, per prima cosa devo dire che, sarà perché non era costume visitare le abbazie per le birre prodotte e soprattutto perché l’invasore era un “posseduto” autostoppista italiano, ma dopo un attimo di legittimo stupore, venivo affettuosamente accolto da monaci, vestiti con abiti diversi secondo il loro specifico ordine, ma sempre con i loro sorrisi beati. I primi, ripetuti e frequenti contatti furono in Vallonia sia per la lingua, che parlavo fluentemente, che per l’alta densità di abbazie che producevano birre, o che se le facevano produrre da birrifici vicini, non ancora catturate dalle avide mani delle multinazionali. La procedura era quasi sempre la stessa. Arrivavo con in mano l’indirizzo, non sempre facile da trovare per l’isolamento delle abbazie spesso raggiungibili solo da strade sterrate. Non suonavo o tiravo la catena ma aspettavo di incrociare qualcuno, meglio se fosse un monaco ma, a volte, bastava una persona che entrasse, fornitore, visitatore e così via. Avevo tanti indirizzi perché ogni volta i monaci mi davano informazioni sui loro confratelli che fossero in qualche modo legati alle birre. Dopo avermi spiegato di quale ordine fossero e la loro filosofia (dopo un po’ cominciai a riconoscere i vari ordini per i colori degli abiti) mi facevano vedere l’impianto, spesso piccolo ma in un ambiente pulito rispetto ai birrifici belgi cui ero abituato, per poi assaggiare le birre e i formaggi, fatti da loro o da confratelli. Ogni volta mi sentivo in paradiso e forse lo era davvero.

trappista monaco

A tappeto, me le feci tutte, tutte bellissime. Monaci norbertini in stupendo abito candido a Leffe, Floreffe e a Grimbergen (appena sopra Bruxelles), i benedettini di Maredsous, di Affligem e di Keizerberg invece erano tutti con abito nero così come molti cistercensi. Ma tra quelli della regola della media osservanza, come credo fossero a Cambron, Aulne e Bornem o della stretta osservanza come tutti i trappisti, facevo un po’ di confusione perché alcuni erano in nero e altri in bianco e nero. Sinceramente non ricordo se in altre abbazie come Val Dieu, Bonne Esperance, Termonde e Tongerlo incontrai monaci o solo i birrai, ma ricordo bene le birre che erano spaziali e, ad eccezione di Val Dieu, oggi meno complesse e interessanti. Ho avuto la fortuna di poter entrare, mai da solo però, in tutte le sei iconiche birrerie trappiste in terra belga e di aver inoltre visitato più volte l’Abbazia di Koningshoeven nei Paesi Bassi, a soli otto km dal confine col Belgio, così come la bellissima e storica Tre Fontane a Roma dove fu decapitato l’apostolo Paolo nel 67 D.C.  

Incontrare personalmente i monaci delle varie abbazie è sempre stato molto bello, emozionante e appagante, ma incontrare i trappisti rappresentò per me qualcosa di ancora più speciale. Ho avuto la fortuna di conoscerne molti e di poter scambiare opinioni con loro. Ogni volta si ripeteva un rituale consolidato. Per fare un paio di esempi, a Chimay, tappa fondamentale era una sosta davanti alla sepoltura di padre Théodore; invece, a Orval un vivace batti e ribatti con Monsieur “bastian contrario” Jean-Marie Rock dal caratterino non troppo facile, ma che in fondo mi voleva bene, come io a lui. Ma direi che sia ora che io parta con qualche aneddoto sul mio rapporto con i monaci, trappisti e non solo. Ne avrei mille, ma provo a raccontare i più divertenti, tentando una difficile collocazione temporale.

Sono entrato due volte nella birreria dell’Abbazia di Sint-Sixtus a Westvleteren, la prima, a metà anni Novanta, con un ristretto gruppo di membri del CAMRA e la seconda, circa 15 anni fa, con un amico, giornalista di Anversa. So che questo rappresenti il sogno di molti appassionati di tutto il mondo ma, non lo dico come “la volpe e l’uva acerba”, questa non è certo la visita  più bella e suggestiva rispetto, ad esempio a quella di Rochefort e Orval con le loro sale cottura mozzafiato, d’altronde il rame è sempre il rame e l’acciaio non avrà mai lo stesso impatto emotivo. Ho sempre trovato belli i loro motti “Beata solitudo, sola beatitudo” e “Ut vivant me coquunt, non vivant ut me coquant” (libera traduzione: facciamo birra per vivere, non viviamo per fare birra). Nel giugno 1999 fui testimonial del lancio della Blond per la riapertura dopo la ristrutturazione, del loro locale In De Vrede. Conservo gelosamente una foto in t-shirt gialla della Oerbier con davanti tre coppe colme della Blond. Scrissi le note gustative, padre Filip mi ringraziò ma, seppur cortesemente, mi impedì di portare un amico americano che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di poter entrare a visitare il birrificio. 

L’abbazia trappista con la quale ho avuto più rapporti è paradossalmente stata quella di Rochefort, considerata la meno accessibile e l’unica senza un locale dove poter degustare e comprare le birre. L’amicizia con il fantastico e timido birraio Gumer Santos di origine spagnola risale a diversi decenni fa. Fu mio ospite in un memorabile laboratorio organizzato al Salone del Gusto dell’ottobre 2004. Trovo geniale il loro motto “curvata resurgo”. Grazie a Dio è risorta davvero, dopo aver subito le distruzioni della Rivoluzione Francese e delle truppe napoleoniche, per regalarci questi liquidi capolavori. Recentemente è andato in pensione il priore padre Pierre col quale ci facevano delle sacrosante bevute, all’ora del tè, di coppe di Rochefort 10 da 11,3 gradi alcolici, in quanto, in perfetto accordo con Gumer, riteneva la 6 come birra “leggera” (7,5 gradi alcolici!) da bere tutto il giorno, mentre la 8 (9,2 gradi) la birra da abbinare ai cibi. Non gli chiedevo più se gli fosse consentito bere così tanto e così tanto alcolico perché sapevo, come ho già scritto in queste pagine, che mi avrebbe risposto: “dono di Dio”.

Nel maggio del 2010 ho avuto il privilegio di condurre una straordinaria degustazione delle birre a marchio La Trappe della citata Abbazia olandese di Koningshoeven, abbinate a piatti ad hoc, presso l’Open Baladin di Roma con al mio fianco il priore padre Isaac, in una delle sue rarissime uscite. Prima di cominciare, gli chiesi se fosse la sua prima volta a Roma e, come immaginavo, mi disse di sì. Allora gli chiesi se fosse andato a San Pietro e, di nuovo, come immaginavo, me lo confermò. Al che, mi venne spontaneo domandargli se avesse provato un’emozione particolare. Con mia sorpresa, mi disse che non si era sentito a suo agio per l’eccessivo sfarzo che lo aveva messo in imbarazzo se rapportato alla loro filosofia di vita impostata sulla povertà, l’umiltà e la modestia.

Nell’aprile 2022 ho varcato per la prima volta il cancello del Monastero Benedettino della Comunità dei SS. Pietro e Paolo in località Cascinazza, a Buccinasco, meno di 20 km a sud di Milano. I monaci mi volevano incontrare per farmi assaggiare e valutare le loro birre prima di averli ospiti in diretta a Radiofreccia. Mi vengono incontro sei monaci di età differenti e uno dei più giovani, dichiarandosi mio fan, si inginocchia davanti a me. Rimango sbalordito ma poi mi riprendo e gli ricordo che il suo capo sia un altro, un po’ più in alto! Il rapporto di stima e di amicizia che mi lega a questi simpatici monaci della Cascinazza si è sempre più rinsaldato. Nei primi assaggi della loro Blond, ben fatta, apprezzarono la mia franchezza perché domandai come mai avessero utilizzato solo luppoli bavaresi per una birra di chiara ispirazione belga con i tipici sentori dei lieviti dei loro colleghi valloni e fiamminghi. Risposero alla mia osservazione chiedendomi quale luppolo avessi da suggerire. Dissi loro: “Orval, Chimay, Rochefort, Westmalle, Westvleteren e Achel aggiungono lo Styrian Golding. E quindi quale luppolo aggiungerete voi nella prossima cotta della Blond?” Mi risposero senza parlare, ma con un sorriso estremamente rivelatore. Ripassai da loro poco tempo dopo e mi resi subito conto di come la loro nuova Blond avesse una marcia in più!