Il credo del birraio casalingo: dogmi, precetti ed eresie nella pratica dell’homebrewing

No, non mi riferisco a quella divertente parodia birro-liturgica apparsa tempo fa sul newsgroup it.hobby.birra a firma di U-brewery, ma a quell’insieme di nozioni base che vengono inculcate nell’homebrewer appena questo oltrepassa la dimensione di principiante e comincia a documentarsi nei libri e siti di riferimento; nozioni ormai date per scontate, quasi dei dogmi che non vale la pena di mettere in discussione… o invece si?

credo

Basarsi sulle letture e sulle esperienze altrui in fondo è sensato: sono tali e tante le variazioni ed esperimenti possibili, che sarebbe una perdita di tempo rimettere in discussione anche gli aspetti su cui si può essere abbastanza sicuri. Tuttavia certi “pilastri” di saggezza birraria – alcuni divulgati da me stesso, lo ammetto! – possono essere rimessi in discussione: taluni da approfondire e altri forse proprio da ribaltare.

Prima però vorrei soffermarmi su alcuni dei “dogmi” che  invece non vorrei rimettere in discussione, ad esempio la sanitizzazione. Bisogna sgombrare il campo da un equivoco: molte volte ad esempio si sente dire: “io ho fatto decine di cotte, non ho mai sanitizzato i tappi (o le bottiglie, o i tubi o…) e non ho mai avuto una infezione”. Certo, per avere una infezione non basta dimenticarsi di sanitizzare, bisogna anche avere un agente infettivo!

La sanitizzazione non fa che ridurre le probabilità di un eventuale disastro. Trascurando questo aspetto, può anche andare bene, magari per 10, 15, 20 cotte, e alla 21esima buttare via tutto; oppure può andare sempre tutto bene, ma solo per 3 homebrewer su 4…

Ci sono invece altri precetti sulla cui validità vale la pena di soffermarsi… eccone alcuni.

1) L’estratto luppolato va bollito, 15 minuti o anche decisamente di più, che ne dicano le istruzioni.

In realtà non vi è una reale necessità per farlo: l’estratto ha già bollito prima di essere stato concentrato, le proteine in gran parte coagulate e rimosse, e la sanitizzazione non è necessaria visto che si tratta di un composto già pastorizzato e di elevata concentrazione zuccherina. Piuttosto, la bollitura provoca una certa caramellizzazione del mosto con relativo scurimento, poco gradito in certi tipi di birra. Per questa ragione alcuni esperti ora consigliano di non bollire i Kit. Il ragionamento viene esteso alle birre da estratto non luppolato: qui la bollitura è naturalmente indispensabile, per lo meno per amaricare, ma una tecnica raccomandata è quella di bollire fin dall’inizio solo una percentuale (ad. es. 20%) dell’estratto, e aggiungere quello rimanente solo negli ultimi minuti.

2) Usare solo lieviti liquidi per avere buoni risultati questo consiglio non è sbagliato, ma troppo restrittivo! Da alcuni anni ormai esistono anche ottimi lieviti secchi.

3) Non inseminare il lievito secco direttamente nel mosto! Reidratarlo o fare uno starter

Qui il discorso è più complesso. Cominciamo dallo starter: anzitutto, il fatto di mettere il lievito in una tazza di mosto tiepido un’oretta circa prima della inseminazione del mosto non costituisce uno starter! In  così poco tempo infatti il lievito non comincia neppure a moltiplicarsi. Un vero starter si dovrebbe fare un paio di giorni prima… ma in realtà non è necessario (perché in genere la quantità di cellule di una bustina di lievito secco è sufficiente) e, anzi, può essere perfino controproducente (perché si correrebbe il rischio di risvegliare il lievito prima del tempo oppure di aumentarne troppo la quantità ).
Va bene, ma almeno la reidratazione si deve fare? Forse… ma come? Io un tempo usavo farla versando il contenuto della bustina in una tazza di mosto tiepido, ma diversi esperti (alcuni proprio provenienti dalle ditte produttrici di lieviti secchi) raccomandano invece di farla in acqua, perché il lievito liofilizzato deve prima ricostituire la sua struttura assorbendo l’acqua, e solo dopo è  in grado di poter affrontare i primi zuccheri.
Altri studiosi per ragioni diverse (pressione osmotica) consigliano invece di farla nel mosto, arrivando in certi casi a sostenere che sia esattamente lo stesso  – se non meglio – inseminare direttamente nel fermentatore… insomma proprio la prima cosa che si insegna a non fare a un principiante!

4) Lo zucchero? Orrore! Mai aggiungere zucchero ai kit (o in generale nel mosto di birra)
In effetti anche questa raccomandazione è valida, ma non è – per l’appunto – un dogma! Lo zucchero fa inorridire i birrai teutonici fedelissimi del Reinheitsgebot, ma è ampiamente usato nelle birre belghe e in parte in certe ale inglesi. Oltre a questo, c’è chi sostiene che i malti preparati, proprio perché pensati prevedendo una successiva aggiunta di zucchero, siano realizzati in modo da bilanciare la secchezza risultante dal saccarosio con una maggiore corposità e un minore amaro; quindi senza aggiunta di zucchero i kit risulterebbero troppo “spessi” e dolci. L’osservazione non mi convince del tutto; può essere comunque accettabile sostituire solo una parte (sia pur la maggiore) degli zuccheri, e non la totalità.

5) Per ossigenare davvero bene è necessario un sistema di aereazione (pompa per acquario, filtro, diffusore)
Sorprendentemente, invece, i metodi più rudimentali sono stati riabilitati da più di una misurazione scientifica. Assodata la superiorità dell’uso di ossigeno puro (di non facile reperibilità e impiego), già qualche anno fa sono stati pubblicati sulla mailing list HBD dei dati interessanti: a parità di minuti, il classico “scuotimento” del fermentatore è altrettanto efficace della pompa di acquario, anzi leggermente migliore nei tempi brevi (presumo che l’efficacia alla lunga decada per intervenuta stanchezza dello “scuotitore”); e il metodo altrettanto rustico del travaso ripetuto fra due tini, se effettuato 5 o 6 volte è più efficiente di altrettanti minuti di aereazione con poma da acquario. Altre misurazioni effettuate dalla Wyeast privilegiano ancora di più questi metodi “muscolari”.

6) Dopo aver misurato la densità di un campione di mosto, non reimmetterlo nel fermentatore, grave rischio di infezione!

Concludo con questa  “raccomandazione” per la verità marginale, ma che mi ha sempre lasciato perplesso. Non capisco: se mi fido della mia tecnica di sanitizzazione per fermentatore, rubinetti, imbuti, tubi, bottiglie… perché devo aver dubbi della mia capacità di sanitizzare provetta e densimetro, con cui il mosto oltretutto ha un contatto molto minore in termini di tempo e quantità? Naturalmente bisogna aver sanitizzato questi strumenti, ma fatto questo… relax, and don’t worry!

Ci sarebbero altre certezze da rivedere, non dico perché penso vadano ribaltate, ma perché varrebbe la pena di verificarle; ad esempio, ci si può soffermare su alcune pratiche della produzione all grain: il mash out serve davvero, e per quale esatta ragione? Per non parlare degli effetti della sosta della proteasi, dove la pratica a volte non corrisponde alla teoria.
Lungi da me voler minare tutte le convinzioni e i precetti della tecnica birraria, ma penso sia giusto stimolare il senso critico dell’homebrewer.

E ora, dopo questa  “predica”, tutti in piedi a recitare il Credo del Birraio!

di Massimo Faraggi