Hall of Fame. Capitolo IX. Blackwatch Black Ipa
Nello scegliere nomi e volti da eleggere all’interno della nostra personalissima Hall of Fame, abbiamo necessariamente compiuto numerose incursioni nel passato lontano e molto lontano; non volendo però trascurare il rilievo da riconoscere anche ad alcuni degli sviluppi più recenti sullo scenario delle classificazioni birrarie, ci è piaciuto incoronare uno stile (e con esso la sua probabile capostipite) tra quelli che hanno segnato la storia recentissima delle pinte e delle schiume: parliamo delle Black Ipa. Tra le versioni scure delle American Ipa, l’antesignana sembrerebbe essere quella lanciata, già nel 1994, col nome di Blackwatch, dal Vermont Pub & Brewery, a Burlington, nel Vermont.
Anzitutto qualche doveroso cenno sul processo di canonizzazione della tipologia e, soprattutto, della sua definizione: la quale, entrata in scena nella seconda metà del decennio scorso, è stata adottata formalmente prima (nel 2010) dalle Style Guidelines della Brewers Association; e poi, nel 2014, dal Bjcp (il Beer judge certification program), sotto la voce, appunto di Black Ipa.
Una denominazione attorno alla quale si è discusso parecchio (e con buone ragioni, in sostanza: basti constatare come contenga un acronimo il cui svolgimento, Black India Pale Ale, contenga una contraddizione evidente, perché una birra, in effetti, o è Black o è Pale); una denominazione alla fine comunque accolta (sulla base del presupposto concettuale per cui IPA, ormai, contraddistingue un profilo organolettico prescindente dal connotato cromatico originario), dopo un lungo ballottaggio con diverse formule alternative e concorrenti: da Cascadian Dark ad American Black, passando per India Black Ale. Passando invece all’indagine sui primordi dello stile (e traendo spunto dalle ricostruzioni di Christopher Hughes per il Boston Magazine), scopriamo che le testimonianze a favore della Blackwatch come esemplare iniziatore della nuova specie sono non molte, ma autorevoli e concordi.
Scorrendo all’indietro negli anni, Mitch Steele – brewmaster alla Stone di San Diego – pur avendo battuto sul tempo tutti quanti nel commercializzare come tale una Cascadian Dark (la Sublimely Self-Righteous Ale), ammette di essersi ispirato a una bevuta firmata da Shaun Hill (oggi omonimo e titolare della Hill Farmstead di Greensboro, Vermont: marchio produttore per antonomasia di Black Ipa) quando ancora si trovava lontano anni luce dalla posizione e dalla notorietà attuali. L’episodio risale al 2006: Hill presentò la sua cotta d’esordio al Boston’s Extreme Beer Fest, rassegna annuale che è meta di culto dei passionisti di tutto il New England.
Ebbene, tuttavia, per trovare le fonti delle American Ipa in nero occorre risalire ancora. Perché lo stesso Hill, in quella sua performance, stava rendendo omaggio a uno way of brewing che, in quel segmento settentrionale della East Cost, aveva come detto messo già solide radici, restando però confinato nel territorio di nascita, senza riuscire, fino ad allora, a fare proseliti. Il suo ideatore? Il fondatore, appunto, del Vermont Pub & Brewery, Greg Noonan: il quale, aperto il suo impianto con mescita nel 1988, divenne un pioniere del movimento craft, lasciando, anche dopo la sua scomparsa nel 2009, un’impronta profonda e importante. Quanto al debutto della Blackwatch, sembrerebbe databile addirittura già al 1994: a dirlo un altro personaggio attendibile, John Thompson, responsabile della comunicazione di Smuttynose, affermato brand di Hampton (New Hampshire).