Sinfonia italo-tedesca: formaggi caprini e Berliner Weisse
Spuntino tra due pasti principali, se non piuttosto pranzo o cena veloci, ma anche chiusura di un menù più articolato: un plateau di formaggi ha sempre e comunque la propria ragion d’essere. Data la stagione in cammino verso le temperature più calde, ne proponiamo un’edizione monografica, dedicata in toto ai caprini. Si tratta di una tipologia casearia dalle caratteristiche particolari: vocata anche alle versioni fresche e di breve stagionatura; contrassegnata da una composizione chimica del latte d’origine che lo rende il più simile a quello umano (fra l’altro, può essere consumato da chi abbia allergie alle proteine del latte vaccino); dotata di una frazione grassa più digeribile in quanto meglio assimilabile; capace di far raggiungere più velocemente il senso di sazietà, grazie a un maggior contenuto di minerali, in primis ferro e calcio. Insomma, un ambito tipologico che occhieggia in modo esplicito alla primavera e all’estate.
Quali le caratteristiche sensoriali dei caprini? Variabili, ovviamente, in funzione delle lavorazioni. Tuttavia, oltre ai lineamenti intrinseci della materia prima (con il suo corredo odoroso tipicamente animale, la ricorrenza di alcuni trattamenti (come la coagulazione acida nelle versioni fresche), stabilisce alcuni comuni denominatori. Tra essi una fibra materiale non di rado medio leggera e una consistenza tra il cremoso e il morbido; profumazioni che interessano i descrittori del latte fresco e dello yogurt; un’architettura gustativa che innesta, su un sostrato grasso e tendenzialmente dolce, correnti acidule e, talvolta, di leggera sapidità.
Di cosa si ha bisogno, nel bicchiere, a fronte di bocconi del genere? Tenendo conto di come i valori nutrizionali medi parlino di un 60% circa d’acqua, di un 18,5% circa di proteine e di un 21,5% circa di lipidi (il resto sono ceneri, zuccheri, altri carboidrati, sali minerali), è abbastanza intuitivo volgere lo sguardo verso birre essere stesse a tendenza acida (per l’attenuazione reciproca con gli analoghi orientamenti del morso) e di buona effervescenza (per gestire i grassi appena citati); dotate di un corpo non certo massiccio; propense a esprimere un’olfattività lattica, per giocare, nella fase del sorseggio e in quella retronasale, una partita basata su linguaggi sensoriali di sostanziale affinità. Beh, l’identikit lo abbiamo tracciato; non resta che dargli un nome: e non potrà essere che quello della Berliner Wesse. Secondo copione, eccone quattro suggerimenti, da mettere in campo senza aggiunte di pur tradizionali sciroppi (stellina di bosco, lampone o qualsiasi altro): la tedesca 1809 Berliner Style Weisse della beerfirm Professor Fritz Briem di Freising (5 gradi); la connazionale (nonché quasi omonima) Berliner Style Weisse di Bayerischer Bahnhof a Lipsia (3 gradi); la piemontese Berliner Weisse firmata ad Alessandria da Canediguerra (3 gradi); e l’altrettanto italiana (nonché altrettanto leggera) Gaballus sfornata a Monza da Carrobiolo, attestata sui 3 gradi e 3. Quanto ai caprini su cui puntare, anche qui alcuni spunti: la piemontese Robiola di Roccaverano (a pasta molle); i lombardi Fiorone (molle a sua volta) e Formaggella dei Luinese (semididura).