Domatori di difetti: come imbrigliare in produzione le sensazioni wild
Quando ordiniamo una birra alle spine del pub spesso sappiamo già quello a cui andremo incontro. Un bevitore consapevole, soprattutto se appassionato, desidera trovare la semplicità maltata in una pils, esteri generosi in una tripel, frutta esotica in una NEIPA e così via. La crescita del livello qualitativo degli ultimi anni di birra artigianale ci ha abituato a cercare e trovare standard e canovacci ben delineabili, che spesso distinguono una birra componendo un puzzle che poi chiamiamo stile. Le tendenze attuali sembrano lasciare poco spazio a smagliature e imperfezioni, che invece in alcuni stili sono il marchio di fabbrica imprescindibile, nonostante in alcuni casi possano sembrare difetti indesiderati. Queste piccole dissonanze a volte tengono vivo un modo di produrre audace e verace, spesso legato a tradizioni autentiche più che a sperimentazioni ardite.

Molto spesso è il campo delle birre sour a sobbarcarsi questa nomea di avere aromi non convenzionali e sono molti i produttori che giocano sulla soglia dell’off-flavor, con grande conoscenza e consapevolezza, facendo rivivere una serie di aromi che altrimenti sarebbero relegati a semplici difetti. Ma non sempre è così, perché ci sono semplicemente aromi che non siamo abituati a sentire quasi da nessuna parte, e che poi su quello stile ci possono e ci devono stare. Sicuramente tra tutti gli aromi originali, quelli sviluppati dai Brettanomyces sono tra i più noti proprio per conferire un carattere quasi animale, con suggestioni di stallatico che ricordano la sella di cavallo, il pollaio, il cuoio, oltre a tutta un’altra sfera fruttata molto variegata. Non è facile rendere questi aromi piacevoli e ben inseriti in un contesto organolettico strutturato, tantomeno lo è mettersi a produrre queste birre quasi da zero, senza una tradizione birraria alle spalle come quella del Pajottenland.

“Per me è stato facile assecondare il lavoro del Brett perché ho la fortuna di avere botti e condizioni ambientali che mi hanno permesso di sviluppare le mie idee ottenendo qualcosa di elegante e di cui vado fiero” racconta Luigi Recchiuti di Opperbacco. “Per le birre della linea Abruxensis utilizziamo molto il Brett, per alcune inoculando direttamente due ceppi di Brettanomyces e uno di lievito Torulaspora fornitici dall’Università di Teramo, per altre ci aiutiamo con fiori di sambuco, acacia o bucce d’uva per l’innesco di una fermentazione spontanea. Abbiamo notato che quando inoculato il Brett è più aggressivo, entra prima in competizione con gli altri lieviti e avendo più zuccheri a disposizione aumenta la produzione di etilfenoli, che cominciano a farsi sentire quando arrivano intorno a concentrazioni di soglia 300-400 mg/l: per questo diventa molto più caratterizzante e aumenta l’intensità di descrittori come la sella di cavallo, pelle di salame e stallatico, senza sfociare in asperità e conservando la sua eleganza.”
Anche nel mondo inglese, tra gli stili più tradizionali come bitter e mild si insinuano aromi non facilmente decifrabili, che si distinguono dalla rotta di leggeri fruttati per spingere su descrittori come il terroso o quel tanto discusso straccio bagnato, dovuto presumibilmente alla presenza del metantiolo o altri mercaptani, e che rappresenta uno dei tratti più riconoscibili di una bitter autentica. “Senza dubbio il servizio a pompa, le sue imperfezioni classiche e la bassa gasatura nel bicchiere, sono da sempre gioie e dolori di queste birre” concorda Moreno Ercolani del Birrificio L’Olmaia, che da più di un decennio con la Starship propone esattamente questo modello di birra: “Uso da sempre soltanto luppoli inglesi, li adoro tutti, dal Fuggle al Challenger, dal Target all’East Kent Golding, passando per il Northern Brewer. I luppoli americani ci hanno ben abituati e quasi drogati (per carità, con grande merito) ad aromi netti e puliti, ma pochi riescono a dare spazio a luppolature alternative, per certi versi estreme. Non ho mai voluto camuffare quel tocco campagnolo e rude di questa birra, anzi ho cercato di esaltarlo, per quanto possibile. La difficoltà in questo consiste nel bilanciamento e l’apporto di una base di Maris Otter che ha il compito di riequilibrare il tutto a una situazione di normalità, senza il bisogno di ricorrere a luppoli più accattivanti. Pur intravedendo spiragli, non mi sembra ci sia una vera rivalutazione di questi aromi, ma per fortuna la maggior parte dei consumatori, seppur all’oscuro di tutto, non li percepisce come difetti e forse è questo quello che conta davvero.”

Ancor più complesso è poi il discorso legato a un altro grande spettro per tutti i birrai, spauracchio perfino di molti produttori di sour e spontanee. L’acetico, infatti, è quasi sempre considerato negativo nella maggior parte delle birre convenzionali, dimostrandosi spesso con soglie di percezione molto basse (dovrebbe bastare pochi mg/L per avvertire la sua presenza) e per questo relegato a presenza indesiderata, sebbene in qualche tradizionale flanders red ale sia un fattore chiave caratterizzante. Come conferma Stefano Botto di Cantina Errante, la sua gestione nelle bottaie non è semplice, perché i batteri acetici si sviluppano appena gli si dà la possibilità di entrare in contatto con l’ossigeno, facilmente reperibile all’interno di una botte in mancanza di orlo colmo e adeguata umidità. “Produciamo 100% spontanee con koelschip, tenendo il mosto sempre vivo e di fatto facendone una coltura madre di cui è difficile conoscere la composizione variando anche nel tempo, ma non cerchiamo volontariamente la produzione di acido acetico e dei suoi aromi, né lo favoriamo. In alcune produzioni, però, può starci e può perfino avere un senso, in quanto completa il bouquet olfattivo donando una certa complessità. Per far sì che sia in equilibrio con il resto, però, va gestito al meglio attraverso un apposito blend”. Alcune produzioni spontanee del Pajottenland sono note per la loro acidità spinta e a tratti acetica come quelle di Hanssens, ma lo sono soprattutto le flanders red ale del filone capitanato dalle produzioni di Rodenbach, a volte associate alle moderne oud bruin che invece mostrano una più accettabile acidità di tipo lattico. “Anche la nostra bruin si rifà alle oud bruin e non alle flanders red ale, nonostante il passaggio in botte possa teoricamente facilitare lo sviluppo di aromi e sapori acetici. Abbiamo blendato recentemente una nuova birra non ancora lanciata sul mercato, in cui ben un quarto del blend proviene da una botte con un acetico importante, ma abbiamo sempre notato che queste proporzioni non sono mai la fine di un percorso, e che anche l’acetico a volte si evolve integrandosi con il resto.”
Anche la stessa acqua può essere veicolo di caratterizzazioni organolettiche per la classica variabilità della sua composizione in termini di ioni disciolti. Si parla spesso di solfati nelle birre storiche di Burton e Dortmund e di sodio nelle gose, che ben prima di condizionare la sfera gustativa e imprimere sapidità può veicolare un aroma tipicamente salmastro. Questo concetto trova la sua applicazione anche in alcune gose moderne e innovative, come ormai è sempre più frequente trovare, partendo dal presupposto che lievi note salmastre possono trovare in questo tipo di birra una collocazione che li elevi da difetto a nota di pregio. Giovanni Petroni di Birrificio dei Castelli, per esempio, racconta di come l’aroma di salmastro sia il tema della loro Mare Nostrum: “In questa versione di gose volevamo qualcosa che riconducesse inequivocabilmente al mare delle coste marchigiane, per cui su una ricetta di gose abbiamo aggiunto il paccasassi, una pianta grassa che succhia salsedine dall’aria marina, insieme a molluschi tradizionali come moscioli e le più classiche cozze. Oltre che al gusto, è già dall’aroma che il contributo sembra decisivo, con note iodate di salsedine conferite dalle aggiunte e dalla base salata della gose, avendo usato anche un’abbondante dose di sale per 1,5 g/L e l’immancabile coriandolo. Come sempre bisogna cercare anche l’equilibrio e lo stesso paccasassi, con note leggermente speziate che si aggiungono a quelle del coriandolo, riesce nel miracolo.”
Il mondo dei batteri può essere responsabile anche di un altro aroma in grado di influenzare di molto lo spettro olfattivo di una birra. La presenza indesiderata di alcuni batteri, quando massiccia, comporta l’insinuarsi di un caratteristico aroma lattico, collegabile a una sfera ampia che va dallo yogurt magro alla limonata. Non sempre questa supposta presenza può comportare una forte acidità avvertibile al gusto, ma spesso questi aromi fanno immaginare sostanze acide e di conseguenza anticipano al naso quello che il palato avverte in seguito. Il mondo dei LAB (Lactic Acid Bacteria, una famiglia molto numerosa) spesso convive insieme ad altri microrganismi, che vedono in fermentazioni spontanee o miste il loro habitat ideale. Andrea Filippini di Siemàn afferma di lavorare molto sulla loro gestione per tirar fuori gli aromi più gentili dalle fermentazioni in cui sono coinvolti. “Quando scappa di mano il controllo dei batteri lattici, gli aromi che non mi piace avvertire sono quelli di yogurt e di limonata. Ci è capitato di notarli su berliner weisse e altre sour ale, spesso quando abbiamo inoculato direttamente i microrganismi. Attraverso un inoculo, infatti, i batteri lattici si trovano a fermentare molto velocemente per le proprie caratteristiche e a surclassare altri microrganismi, producendo anche composti che emanano aromi minerali e di zolfo. Per questo, ultimamente abbiamo fatto la scelta radicale di produrre esclusivamente (e non più in parte) con 100% koelschip, assicurandoci però che queste fermentazioni spontanee non solo partano a temperature basse, ma che fermentino sempre relativamente fredde e senza picchi di calore, evitando di produrre già dalla primavera e fino all’autunno inoltrato. Un aroma lattico molto intenso può anche essere interessante, specie su qualche berliner weisse, ma sul fronte gustativo si traduce in acidità molto taglienti, con pH molto bassi, in contrasto a eleganza e complessità di un lattico ottenuto da fermentazione spontanea, dove anche gli altri attori come il Brett riesce a ripulire alcune puzzette rancide prodotte dal lavoro dei batteri.”. Viene da pensare, per esempio, alle berliner weisse moderne estremamente acide, come le birre del produttore berlinese Schneeule, che propone versioni molto interessanti e invitanti con aromi intensi di yogurt, ma talvolta di impatto estremo proprio per il forte gusto acido.
Più si allarga la visione sul mondo della birra, più è evidente come sono pochissimi i difetti assoluti che siano tali su qualsiasi stile o tipologia: molto spesso sono il contesto, le tradizioni o le tendenze moderne a definire i confini tra flavor e off flavor.
