Colta e brassata: fare la birra con fiori, frutti ed erbe spontanee
È piuttosto facile e comprensibile associare alla birra l’immagine di un prodotto che viene da materie prime coltivate. I cereali sono prodotti della terra che l’uomo ha impiegato fin dagli albori per brassare, prima selezionando le varietà e poi affinando le tecniche di trasformazione (maltazione, essiccazione etc). Da sempre il ristretto club degli ingredienti è esteso anche all’uso di spezie, erbe e fiori di ogni tipo, con il luppolo protagonista nei secoli recenti: aromi e sapori destinati anche all’uso alimentare, ricavati da piante opportunamente coltivate e raccolte. Il legame del birraio con la natura pura e selvaggia però non è mai venuto meno e probabilmente nel prossimo futuro è destinato a rafforzarsi ancora di più. Sono tanti i birrifici infatti che utilizzano i doni dei campi e dei boschi in purezza nelle proprie birre, con diversi approcci e obiettivi. Vediamo insieme i casi più emblematici registrati in Italia.
FIORI
Se si usa l’infiorescenza del luppolo, non c’è molto da rimuginare sul perché possano venire usati anche altri fiori: gli aromi derivati dal polline rappresentano una grande risorsa per birrai che vogliono giocare con le suggestioni e il tocco erbaceo o vegetale di un materiale fibroso che può aggiungere anche una nota di rusticità. Bisogna conoscere la botanica e avere informazioni affidabili nell’uso delle quantità, perchè non è detto che tutto si possa usare in ambito alimentare, e una combinazione di preparazione ed esperienza è fondamentale. La mia memoria ricorda come prime birre italiane che abbiano mai usato fiori la Fiori di testa, creatura della compianta realtà artigianale di Birra del Borgo, con fiori di gelsomino e acacia, e la Fleurette di Birrificio Italiano, una birra molto leggera e delicata caratterizzata da fiori di rosa moscata e violetta (introdotti in petali sia a caldo che in fermentazione). Siamo nel 2010 circa, quando questi maestri hanno forse aperto una strada. Poco dopo ricordo anche la comparsa della piacevolissima Roxy del campano Karma, con boccioli di rosa oltre che coriandolo e pepe rosa: l’aroma del fiore era davvero penetrante e probabilmente per quegli anni poteva essere semplicemente un divertimento andare a stimolare i sensi con sensazioni inconsuete. Sebbene spesso vengano usati secchi, quelli di ibisco sono tra i più utilizzati: si distinguono per il caratteristico colore rosa che donano alla birra, oltre che per il loro aroma a tratti speziato, delicato e dolce-acidulo. Basti ricordare la Fleur Sofronia di MC77 e ancora prima la Karkadè del Birrificio l’Olmaia o la Rosée d’Hibiscus dei canadesi di Dieu du Ciel, apripista del genere. Molto interessanti anche le sperimentazioni di uno dei birrai più creativi e visionari: Dany Prignon nelle sue saison Fantôme produce veri capolavori, aggiungendo da sempre i prodotti dei campi circostanti, nel vero spirito di una vera farmhouse. Fra tutte forse è la Pissenlit la più rappresentativa del filone, essendo prodotta con “dente di leone”, ovvero fiori di tarassaco. Questo fiore è molto utilizzato, anche per fare decotti, e pare abbia delle particolari doti amaricanti (oltre che diuretiche). In realtà sono diversi i birrifici americani che si sono cimentati nella produzione di queste birre: fra tutti i due colossi New Belgium con la Dandelion Ale e Magic Hat con Pistil, nonché la Vera Mae di Hill Farmsted. Sono passati anni dalla sua uscita, ma una delle più iconiche e pionieristica, probabilmente, è stata la Blossom dei danesi di To Øl, che in questa american wheat hanno deliberatamente aggiunto fiordaliso, calendula, rose, biancospino, fiori di ibisco e perfino foglie di lampone. Tra i fiori più preziosi ci sono sicuramente quelli che potenzialmente danno vita ai frutti e che quindi contano doppio in termini di valore: basti ricordare il frizzante aroma citrico della zagara (fiori d’arancio) usate nella Bianca Madeleine di Rebeers e nella Bianca del Gargano di Birra del Gargano, a rimarcare quanto questi boccioli siano diffusi sul promontorio pugliese. Una di quelle birre da menzionare è la belgian ale BiBì dei ragazzi di Cerevisia Vetus, nella quale sono i fiori di sambuco selvatico l’arma segreta. Un fiore che è spesso usato secco, ma quando è fresco aggiunge un ventaglio di fiori bianchi in grado di tenere letteralmente ancorato il naso al bicchiere. L’esempio più evidente è la Saison de Cazeau dell’omonimo birrificio, dove fruttato e floreale si combinano insieme in maniera esaltante. Non meno affascinanti sono le produzioni con gelsomino, la cui eleganza dei fiori bianchi attira molto birrai e bevitori. E tra i fiori di campo desta spesso interesse anche la camomilla, con le sue dolci e uniche note floreali, anche se raramente si utilizza fresca. Un fiore che ritroviamo ad esempio nella Monflowers dell’alessandrino Civale: una blanche primaverile speziata con lavanda, malva, biancospino, melissa e, appunto, camomilla.
FOGLIE
Sembra ancor più improbabile dei fiori l’uso di queste parti “verdi” delle piante, eppure anche le foglie hanno un potenziale da esprimere. Essendo nient’altro che materia fibrosa, sono molto ricche di polifenoli che in qualche caso possono conferire originali note amaricanti che vanno a correre in sostituzione di alcune gettate di luppolo. D’altra parte, lo scopo del gruit era proprio questo. Nel suddetto filone si inserisce di diritto l’idea del progetto abruzzese La Casa di Cura, che qualche anno fa ha prodotto almeno un paio di IPA one shot con utilizzo di foglie, tutte variazioni sulla birra di bandiera TSO, affiancate anche da luppoli che si abbinassero nel bouquet: con le foglie di ulivo hanno realizzato la Bramling Cross, con quelle di alloro l’Horizon, con le foglie di assenzio il Columbus, alle foglie di cedrina lo Styrian Dragon, solo per citarne alcune. Originale è anche l’idea di Gino Perissutti di Foglie d’Erba che ebbe ormai una decina di anni fa, quando cominciò a utilizzare quello che i boschi circostanti il birrificio friulano potevano offrirgli: gemme di pino mugo e aghi di pino silvestre hanno arricchito birre della gamma come Haraban, Ulysses e Hopfelia o nuove etichette come la Mountain Pale Ale, di ulteriori aromi resinosi e balsamici, creando un connubio romantico con natura e territorio. Una tipologia di birra che ha avuto un suo seguito anche in USA, dove qualche anno fa le Spruce Ale (birre con utilizzo di gemme di conifere, ma anche aghi e pigne) si sono timidamente diffuse, specialmente tra gli homebrewer. Attinge a temi più boschivi e visionari l’utilizzo di foglie di quercia la Oud Bruin Oak Leaf dei belgi di Verzet, abili nell’inserirle nel contesto di una acida dal forte legame con legno e territorio.
ERBE E FRUTTI SPONTANEI
Quello che abbiamo capito dal mondo birrario è che il concetto di limite è in continuo mutamento, ma allo stesso tempo la sensibilità del produttore porta sempre a scegliere materie prime che esprimono un legame inevitabile con aromi e sapori della propria terra. Se una volta le erbe erano relegate al leggero contrappeso amaro e aromatico dei gruit medievali, oggi hanno l’opportunità di essere più centrali nelle relazioni con gli altri ingredienti. C’è un crescente interesse, per esempio, nell’uso di erbe aromatiche: un caso tipico è quello del lemongrass, arbusto dai mille nomi (erba luigia, limonetto, cedrina, citronella ecc) ma dall’aroma unico e inconfondibile di limone, usata ad esempio dal birrificio Godog nella loro blanche Birra del selvatico. Interessante anche la sperimentazione del birrificio altoatesino Monpiër de Gherdëina, che nella sua Edelbais usa due tipici prodotti delle loro verdi montagne: il fiore della stella alpina e quello dell’asperula (detta anche stellina odorosa), pianta che si associa spesso allo stile berliner weisse e a quello sciroppo di colore verde usato per tagliarne l’acidità come tradizione vuole. Particolarmente audace è la saison Ardiva prodotta da Bionoc’ all’interno della gamma Asso di Coppe, che fa uso di asperula, Galium Verum (caglio zolfino), Galium Italicum e santoreggia, oltre che dal secondo taglio di fieno detto proprio ardiva. Sta diventando pratica comune soprattutto in birrifici orientati a imitare le farmhouse di un tempo l’uso di paglia, fieno e simili nella pratica della filtrazione, contestualmente donando qualche sfumatura aromatica che richiami proprio quella campestre sviluppata da lieviti saison. Originale e fantasioso è l’estro impiegato nelle produzioni di Cantina Errante, progetto parallelo del birrificio San Gimignano, che si dedica a fermentazioni spontanee con l’uso di botti: da segnalare la Primavera, che nell’edizione 2019 vede l’utilizzo di erica, alloro, acacia, rosmarino, sambuco, ginestra in un mix di fiori e foglie di matrice campestre entusiasmante. Una gamma che fa propria una filosofia produttiva incentrata sulla di raccolta di prodotti spontanei che la natura offre e dove trovano spazio erbe aromatiche ma anche frutta come albicocche, mele, visciole e susine, tutte fresche e raccolte in loco, usate in differenti produzioni. Tra i birrifici europei più all’avanguardia sembra essersi inserito con giusto piglio l’olandese Nevel, che attinge da tutte le possibili categorie per tirar fuori birre come Meander (foglie di ribes nero e rabarbaro), Ontij (fiori di salvia, issopo, artemisia e semi di carote), Nijmegen (mirabella, detta ciliegia susina) e tantissime altre originali creazioni frutto di ricerca. Molte piante aromatiche stuzzicano la fantasia dei birrai, ma spesso sono davvero difficili da inquadrare nel contesto birra, se non portando il suo gusto verso acidità maggiori e intensità aromatiche più officinali. Alcune varietà di salvia hanno dato vita a ottime birre come la Rex Grue di Montegioco, così come la buonissime saison americane Cellar Door di Stillwater e la Colorado Wild Sage di Crooked Stave. La menta ha forse delle caratteristiche più nette e fresche e in Italia è stata usata, tra gli altri, da Croce di Malto per la sour ale Bad Motor e dall’abruzzese Opperbacco con la sua Bianca Piperita. A dimostrazione di quanto siano attuali e potenzialmente infinite le combinazioni aromatiche regalate dall’uso di erbe, fiori e foglie c’è anche il birrificio inglese Yonder, che nel Somerset miscela le tradizioni da farmhouse alla pratica del foraging, ovvero di andar per campi e boschi alla ricerca di erbe tutto ciò che c’è di spontaneo, raccogliendo quanto possibile senza danneggiare la natura. Lavanda, olmaria, achillea millefoglie, bacche e tante altre essenze contribuiscono ad arricchire birre nate da fermentazioni ibride e passaggi in botte.