Vintage, craft e wild. Tre fra le tendenze che più caratterizzano e contribuiscono a indirizzare gli attuali orientamenti del settore birrario: etichette old-style; recupero (autentico o meno autentico) degli elementi che costituiscono l’idea dell’artigianale; diffuse sperimentazioni con le alchimie sour o brett. E non di rado queste tre direzioni di marcia s’incontrano e si intrecciano tra loro. E’ il caso della recente iniziativa della Brasserie Dubuisson, di Pipaix, nella Provincia dell’Hainaut: che scavando negli archivi della propria storia, ha rinvenuto un marchio, “Surfine”, esistente, anzi florido, già prima del debutto della linea Bush (popolarissima punta di diamante del catalogo aziendale); e, sull’onda della suggestione emanata da quel brand così fascinosamente d’antan, ha deciso di riportarlo in vita, non in una forma ispirata a quella originaria (si trattava allora, fra il 1930 e il 1950, di una Belgian Ale), ma come produzione del tutto nuova, in stile Saison.
Così nasce la Surfine, appunto: una 6.5 gradi alcolici preparata secondo quel protocollo tipico della tipologia che la vuole secca e affilata; utilizzando non irrilevanti dosi di luppolo, che dall’anno prossimo sarà interamente provenienti da auto-coltivazione; ed eseguendo tre fasi di fermentazione, ciascuna inoculando un lievito diverso: l’ultima in bottiglia, affidata a una coltura, appunto, di inclinazione selvatica (evidenti i punti di contatto con il pattern Orval). Le prime prove d’assaggio parlano di un carattere erbaceo, floreale, pepato, agrumato e piacevolmente amaricante. Il priming con contaminazione controllata fa volgere però naturalmente lo sguardo ai risultati che si otterranno con l’evoluzione: in vetro esclusivamente, visto che per l’ultimogenita Dubuisson ha rinunciato ai fusti.
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