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Una trappista dall’anima americana

A breve arriverà sugli scaffali la terza birra di una produzione molto particolare. Si chiama Quad, ed è una quadrupel robusta per impostazione, carattere e gradazione alcolica. Le altre due sono state la Dubbel, la prima ad essere messa in commercio nello scorso marzo, e la Saison, una bionda estiva di 7% vol., che hanno già riscontrato un grande consenso fra gli esperti e i normali consumatori. Purtroppo soltanto americani, perché dalle nostre parti queste birre non sono ancora arrivate e non si sa se lo faranno in futuro.

Stiamo parlando delle birre del progetto Ovila, messo su dalla conosciutissima brewery americana Sierra Nevada, una dei “padri nobili” della rivoluzione americana della birra artigianale degli anni ’70-’80. La brewery ha la propria sede principale a Chico, in California, a pochi chilometri di distanza dall’Abbazia Cistercense di Clairvaux di New Vina, dove c’è una storica sala capitolare che si chiama, appunto, Ovila. Ken Grossman, fondatore di Sierra Nevada, affascinato estimatore della tradizione produttiva delle abbazie belghe, con la linea di birre Ovila si propone un doppio intento: rendere un vero un vero e proprio tributo a quella straordinaria storia produttiva e contribuire al restauro della storica sala capitolare dell’abbazia cistercense americana, che ha un passato alquanto singolare.

La sua costruzione iniziò, contestualmente alla realizzazione del resto dell’abbazia, nel 1190, vicino al villaggio di Trillo, in Spagna, dove i monaci vi rimasero per ben 800 anni. Nel 1835 l’abbazia fu secolarizzata da parte del governo spagnolo e dopo pochi anni la proprietà dell’edificio passò in mani private. Nel 1931 William Randolph Herst, magnate americano della stampa, acquistò una parte dei ruderi dell’abbazia e li trasportò pietra per pietra nella sua tenuta di Wyntoon, dove però non furono mai “riassemblati”. Nel 1994, i monaci dell’Abbazia di Clairvaux di New Vina rientrarono in possesso delle rovine, e ricominciarono la paziente opera di ricostruzione della storica sala capitolare, facendone un vero e proprio “progetto pubblico” , chiamato Sacred Stones.