La poesia degli esteri, i responsabili degli aromi fruttati della birra
Indipendentemente da quanto prendiate sul serio la birra artigianale sarete senz’altro arrivati a comprendere che si tratta di una bevanda per certi versi cerebrale, capace di spingere palato e mente in posti mai raggiunti prima. Per me, come per milioni di altre persone, è fonte di discussioni profonde e appassionate, articolate, provocanti, di quel genere insomma solitamente riservato ad argomenti come arte, sport e cibo. Bene, con questo spirito andiamo ad affrontare un argomento in apparenza non troppo accattivante, quello relativo agli esteri (avete capito bene sì, proprio gli esteri!). Anzitutto, cosa sono esattamente gli esteri? Si tratta di una famiglia di metaboliti dai profumi fruttati creati dall’azione del lievito durante la fermentazione, percepibili nell’aroma e nel sapore delle birre prodotte in maniera artigianale. Per quanto la risposta “didattica” possa apparire piatta e noiosa, dietro a queste sostanze si cela in realtà molta poesia. Credo intanto che tra l’essere consapevoli dell’importanza che alcune sostanze derivanti dal lavoro dei lieviti hanno o non esserlo per niente, passi la stessa differenza che c’è tra ascoltare una canzone in un supermercato mentre si fa la spesa e spararsela a casa in cuffia, seduti sulla propria poltrona preferita, concentrandosi su strumenti ed arpeggi e godendosi ogni minima sfumatura.
Come nella musica infatti, anche nella birra artigianale è possibile capire come ciascun elemento sia in grado di influire sul risultato finale. Lo ammetto, gli esteri giocano un ruolo fondamentale nel mio gusto birrario. Mi gratifica parecchio collegare ogni singolo componente aromatico e gustativo all’azione del lievito, destreggiandomi fra esteri, fenoli, diacetile, acetilaldeide, alcol e via dicendo. “Gli esteri danno un’anima alla birra” ha detto Chad Henderson, mastro birraio di NoDa Brewing Company a Charlotte, North Carolina. “Penso ai malti come alla spina dorsale di una birra, mentre agli esteri come coloro che le danno definizione. Anche se interpretano ruoli diversi a seconda dei vari stili, i derivati dal lievito, e soprattutto gli esteri, svolgono un ruolo di assoluto rilievo contribuendo alla formazione del carattere che ci si aspetta da quel determinato stile. In alcuni questa componente risulta più importante: le birre belghe possono ad esempio utilizzare i malti e i luppoli più comuni, ma sono gli esteri a creare quell’autentico mondo di sensazioni aromatiche che le caratterizza. In tali tipologie tutti gli altri ingredienti sono scelti in funzione del lievito”.
Ma che cos’è il lievito da birra?
Semplice, verrebbe da dire: è un organismo vivente che “trasforma l’acqua in birra”. Cerchiamo di essere un po’ più tecnici: il ruolo del lievito è quello di aggredire gli zuccheri presenti nel mosto trasformandoli in diossido di carbonio (anidride carbonica), il gas responsabile della gasatura, e alcol.
La fisiologia degli esteri
In genere gli esteri con sensazioni fruttate sono il risultato di fermentazioni portate avanti ad alte temperature, superiori ai 19 gradi, percepibili dunque più comunemente nelle ale. La maggior parte delle lager (per lo più fermentate a temperature inferiori ai 10 gradi) contengono invece quantità troppo basse per essere percepite. Il livello e il tipo di esteri presenti in una birra dipendono dal ceppo di lievito utilizzato, dalla temperatura di fermentazione e da alcune altre variabili. Ad esempio, una birra fermentata con lieviti tedeschi da weizen avrà il caratteristico odore di banana (isoamil acetato), lo stesso che ha reso famoso le birre di frumento bavaresi. Nell’Oxford Companion To Beer di Garrett Oliver la natura degli esteri è spiegata in maniera molto più tecnica: “durante la fermentazione l’etanolo (un tipo di alcol) reagisce con l’acido carbossilico producendo esteri”.
Come giocare con gli esteri
Durante le mie avventure birrarie ho letto e sentito i seguenti descrittori aromatici applicati agli esteri: fruttato, fruttato e ancora fruttato. Ma accidenti, c’è di più! Espandete il vostro vocabolario degustativo e provate ad individuare una categoria un po’ più specifica, tipo mela, albicocca, banana, ribes, ciliegia, fico, pompelmo, kiwi, pesca, pera, ananas, prugna, lampone, mirtillo.
La birra artigianale personificata
Come scritto da Randy Mosher in Tasting Beers, una quantità eccessiva di qualunque cosa può essere, semplicemente, troppo. Anche alcuni esteri, se presenti con alti livelli di concentrazione, possono dare sensazioni non proprio piacevoli di solvente o acetone: uno dei principali responsabili è l’etilacetato, che quando presente invece in maniera più moderata regala piacevoli richiami di mela verde. Il troppo, come si dice, stroppia, ma una giusta quantità di esteri fruttati è una delle caratteristiche fondamentali delle birre artigianali moderne. “Ciò che amo degli esteri è la personalità che danno alla birra”, dice Jason Oliver,mastro birraio alla Devils Backbone Brewing Company di Roseland. “Se il lievito le dà vita, gli esteri aiutano a forgiarne carattere e personalità. Mosti diversi fermentati con altrettanti ceppi di lievito daranno vita a birre anche agli antipodi fra loro, proprio a causa degli esteri”. Ricordate: nessuno potrà mai dirvi esattamente cosa state percependo, poichè ognuno di noi è unico, proprio come il suo palato. Ciò nonostante i descrittori sopra elencati restano un eccellente punto di riferimento per aiutarvi ad identificare quanto provato, supportati dalla vostra esperienza e dalla familiarità che avete con quelle stesse sensazioni.