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¡Vamos a Tapear! Tre golose tapas incontrano la birra

L’Italia è terra, tra le altre cose, di antipasti. I salumi, i formaggi, i sottoli del classico antipasto all’italiana, insieme a quella sfilza di sfizi caldi o freddi che include virtualmente versioni ridotte di qualsiasi portata possibile, sono un vezzo che nello Stivale amiamo smodatamente – talvolta, in segreto, persino più della pasta; nonostante non osiamo ammetterlo a noi stessi. Dalle carni, alle zuppe di cereali e legumi, ai pesci e ai frutti di mare, ai vegetali preparati in qualsiasi modo, pressoché tutti i secondi e i contorni (e persino alcuni primi) possono diventare “antipasti”. Basta servirli prima del resto! E niente, questa cosa ci manda giù di testa.

Sarà per questa devozione allo sfizio ghiotto, unitamente all’intima ammirazione per l’energia travolgente che luogo comune vuole animi i cugini iberici, che noi italiani siamo senza dubbio, oltre le frontiere spagnole, tra i più lieti recettori di una tradizione che popola ormai stabilmente le nostre fantasie. Stiamo parlando dell’“antipasto senza pasto” made in Andalusia, della singolare forma di snack fuori orario, per cui ancora più imprevedibile e golosa, che accende i barrios di Madrid; della ricercatezza gastronomica fondata sul capriccio, e pensata per accompagnare la convivialità e una buona bevuta, che riempie di colori e suoni i nostri ricordi di Barcellona: le tapas!

Il nome di questo variopinto ensemble di piattini da accompagnare all’aperitivo alcolico a qualsiasi ora, significa letteralmente coperchio, e se ne fa risalire l’origine alla Siviglia del Settecento, e alla necessità di tenere mosche e vespe lontane dai calici ricolmi di birra o di jerez. Gli osti del tempo avrebbero sviluppato l’usanza di tenere gli insetti lontani dalle bevande coprendo i boccali serviti con un piattino, la tapa appunto. Dal porre il piatto in cima al bicchiere, al riempirlo con qualche oliva, pezzetto di formaggio o di jamon, il passo fu breve: così nascevano le tapas, in una forma embrionale ma già simile a quella che conosciamo oggi. Altre possibili origini della sequela di piattini, per la verità tutte abbastanza fantasiose, vengono collegate alla dinastia dei Re di Castiglia: certi sostengono le tapas siano nate per la prima volta quando Alfonso X guarì da un misterioso male che lo affliggeva “curandosi” con calici di vino accompagnati da piccoli snack, consumati a cadenza regolare. Una pratica forse discutibile a livello medico, ma certo più gratificante dell’omeopatia! Altre leggende fanno risalire la genesi delle tapas a una visita di Alfonso XIII a Cadice, e all’idea di un oste geniale che per proteggere la bevanda del re dalla sabbia e dal vento della città avrebbe posizionato sull’orlo del bicchiere, a mo’ di coperchio, una fetta di prosciutto. Lo stratagemma sarebbe gustato parecchio al sovrano, che conclusa la bevuta, avrebbe immediatamente ordinato un secondo calice… con tapa. Ultima ipotesi regale, infine, è quella che vorrebbe le tapas “emanate”, più che inventate, per regio decreto, e per l’esattezza legherebbe l’usanza a una legge promulgata da Felipe III, che avrebbe obbligato gli osti ad includere, con l’acquisto di ogni bevanda alcolica, una piccola porzione di cibo. La trovata avrebbe dovuto assolvere allo scopo di assorbire parzialmente l’alcol ed attenuare, specialmente tra soldati e marinai, gli effetti dell’ubriachezza molesta.

Quali che ne siano le origini però, il tapeo, o ir de tapas, versione ispanica e “around the clock” del nostro aperitivo, è una componente essenziale della cultura gastronomica iberica; che pur variando nei nomi al mutare delle aree geografiche (le tapas sono conosciute come pinchos, o pintxos secondo la grafia basca, nelle regioni del Nord) non varia nella sostanza: quella dell’uscita in compagnia, passando di bar in bar, bevendo bene e stuzzicando l’appetito con preparazioni calde o fredde di diverso genere.

Ma quante tapas esistono? Beh, come per gli antipasti, la gamma di offerte possibili è pressoché infinita: dagli embutidos (jamon, chorizo) ai quesos (manchego in primis), dal marisco cotto o crudo (chipirones fritti – ossia calamari – o boquerones, alici, in tutte le salse, ma anche bacalao, gambas o pulpo) ai vegetali (patatas bravas, ensaladilla rusa, pimientos de Padrón ma ovviamente anche aceitunas, olive servite sotto sale, condite con olio e aceto o al naturale, talvolta farcite con pezzi di peperone o anchoa) passando per le carni cotte (albondigas, polpette), e le salse (salmorrejo e alioli). Tutto o giù di lì, se servito in mini-porzioni insieme a una bevanda fresca, può essere tapa. Ci sono tuttavia alcuni classici intramontabili, senza i quali il mondo delle tapas semplicemente non è pensabile: tra questi, ho scelto di illustrare la preparazione di tre ricette emblematiche che ne incarnano alla perfezione gli ideali di semplicità e sfiziosità, come anche il fatto che sia stato concepito appositamente per accompagnare la bevuta.

Pan con tomate/Pa amb tomàquet

A parte le aceitunas e i boquerones serviti nudi e crudi, è la tapa più essenziale che esista: tipica della Catalogna ma diffusasi gradualmente nell’intera Spagna, può essere considerata una parente della bruschetta al pomodoro all’italiana. Si compone di cinque elementi: pane, pomodori, aglio, olio extravergine d’oliva e sale. Sul pane, magari tostato alla brace, vengono sfregati energicamente l’aglio, che lascia tutto il suo profumo, e successivamente dei piccoli pomodori molto dolci e maturi; che andranno a imbibire con i loro succhi la superficie bruscata della fetta, inzuppandola e insaporendola. Un pizzico di sale, un giro d’olio et voilà, vi troverete d’improvviso seduti alla Cerveceria Catalana in un pomeriggio di Settembre con la caña di birra fresca tra le mani. È possibile anche “barare” e aggiungere qualche fetta di jamón serrano: matrimonio divino.

Tortilla de patatas

Difficilmente è possibile pensare a una tapa più emblematica della tortilla española. Uova, patate, cipolla (se la si desidera), sale, olio: questa frittata alta e soffice è una costante di qualsiasi taperia, e vanto di innumerevoli bar che si fregiano di proporre, ognuno a dispetto degli altri, “la migliore del Paese”! La ricetta, in effetti, si presta a personalizzazioni e variazioni: c’è come dicevamo chi usa la cipolla e chi no, chi taglia le patate a fette sottili, chi a pezzi grossi, chi cuoce i tuberi in acqua bollente salata e chi direttamente soffriggendoli in padella, chi aggiunge formaggio o jamón e chi, purista, invece no. La versione che proporremo su queste pagine è quella di una classica tortilla de patatas senza ingredienti aggiuntivi, con cipolla, patate a pezzi grossi rosolate in padella e, naturalmente, uova. Pelate tre patate medie e tagliatele, nel senso della lunghezza in parallelepipedi dell’altezza di circa 1 cm. Sbucciate due cipolle, tagliatele a metà e riducetele in una julienne non troppo sottile. Rosolate le patate in abbondante olio d’oliva finché non sono tenere, evitando preferibilmente che dorino, e separatamente soffriggete le cipolle. Ponete i vegetali a intiepidire in una ciotola, salate. In un altro contenitore sbattete quattro uova grandi con un pizzico di sale e pepe. Unite il composto di patate e cipolle cotte alle uova sbattute e amalgamate il tutto. Scaldate una padella da circa 24 cm unta con un velo d’olio, versate il composto e cuocete a fuoco moderato finché la superficie cessa di essere liquida. Rovesciate su un piatto da portata e fate di nuovo scivolare nella padella, ribaltando la tortilla. Cuocete ancora qualche minuto, fino a doratura: rovesciate su un piatto da portata e servite.

Pulpo a la gallega

Anche conosciuto con il nome di polbo á feira, “polpo delle feste” in dialetto galiziano, è una preparazione quintessenziale sia entro il panorama delle tapas che per la cucina tipica spagnola in genere. Polpo, patate, cipolla, olio extravergine e una generosa spolverata di pimentón gli ingredienti che danno vita a questo piatto squisito! La ricetta: ponete a bollire una capiente pentola d’acqua con mezza cipolla. Pulite il polpo da viscere e rostro e lavatelo. Una volta che l’acqua sarà giunta a bollore, afferrate il polpo dalla testa ed immergetelo per qualche secondo nell’acqua, facendo arricciare i tentacoli. Ripetete l’operazione per almeno tre volte, poi deponete il mollusco nella pentola coprendo con un coperchio. Lasciate cuocere a fiamma bassa, considerando come tempo di cottura circa 25 minuti per un polpo da 1kg, e 10 minuti in più per ogni kilogrammo di peso extra. Finita la cottura, lasciate riposare il polpo nella sua acqua per altri 15-20 minuti, poi rimuovetelo dalla pentola mantenendo il brodo di cottura. Mentre il polpo cuoce, pulite accuratamente tre o quattro patate medie sotto l’acqua corrente eliminando qualsiasi residuo di terra. Cuocete le patate con la buccia nell’acqua del polpo, poi lasciate intiepidire e pelate. Componete la tapa disponendo un suolo di patate tagliate a fette, poi il polpo tagliato a rondelle leggermente oblique, condite con abbondante pimentón affumicato (paprika) sia dolce che piccante, olio extravergine d’oliva, sale. Salud!

Nel bicchiere

Il rito del tapeo impone di spostarsi di bar in bar, consumando per ognuno dei luoghi visitati almeno un paio di cañas con tapas annesse. Si tratta di lunghi tour sociali che richiedono bevande leggere, dissetanti (per spegnere la sapidità dei piattini) e decisamente sessionabili: a tal proposito, perché piegarsi alla dittatura delle macro lager più becere e non riempire i nostri bicchierini da 0,2L con un’ottima gose? Leggera, fresca, salata quel poco che basta per reintegrare gli elettroliti esauriti spostandosi tra un posto e l’altro e corroborata da un’acidità lattica appena accennata, utilissima per sgrassare olive, formaggi e i sentori di nocciola di quell’iberico de bellota che avete appena decimato. La birra di Lipsia (o meglio, di Goslar) si presta perfettamente, con la sua versatilità, ad accompagnare le serate in cui si decida di ir de tapas; assecondando brillantemente tanto i piatti più complessi (fritti come le croquetas ad esempio) che quelli più semplici come il pa amb tomàquet; senza calpestare la delicatezza delle preparazioni di mare (da provare assolutamente con le navajas – i cannolicchi stufati che troverete nelle taperie migliori!).