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Quali sono le birre da mare?

Un mare di birra, una birra da mare, una (t)IPA da spiaggia… l’ultimo calembour è una mia creazione e lo utilizzai qualche anno fa sulla lavagna del Beer Garage per fornire la descrizione tipologica di una Session NEIPA particolarmente leggera in tenore alcolico e dissetante al massimo grado grazie all’aromaticità tropicale e agrumata del bouquet congiunta a un amaro assertivo ma privo di durezze.

Pur essendo la birra un prodotto agricolo e, di conseguenza, con le radici profondamente affondate nella terra, la nostra bevanda preferita intrattiene uno speciale legame anche con il mare, il vasto pelago a cui Omero riserva ripetutamente il triste epiteto “sterile” proprio in contrapposizione alla fertilità del suolo (probabilmente il poeta non amava le grigliate e le crudità di pesce) ma che alla maggior parte di noi evoca ricordi, emozioni e aspettative decisamente positive o addirittura gioiose.

Le ragioni dell’affinità elettiva tra i due liquidi euforizzanti sono di molteplice natura: in primo luogo estetica, con l’accomunante presenza di schiuma e bollicine; logistica, dal momento che mari e oceani sono sovente stati (e tutt’ora lo sono) fluttuanti strade blu su cui carichi di birra viaggiano, si trasformano e a volte si perdono per essere magari ritrovati secoli dopo; climatica, specie in paesi come l’Italia in cui lo spumoso nettare d’orzo è ancora soggetto a una forte stagionalità di consumo e un’estate più torrida o più fredda e piovosa può incidere in modo significativo sul fatturato del comparto birrario; e infine, ma non meno importante, filosofica ed esistenziale.

Il mare è infatti indissolubilmente legato a una pulsione di libertà ed evasione dagli steccati della routine quotidiana: l’orizzonte sgombro, i grandi spazi aperti delle spiagge, abbigliamenti ridotti all’osso che mai ci permetteremmo di indossare in città, la modulazione dei tempi quotidiani sui ritmi del sole e delle maree: le vacanze dell‘homo oeconomicus del XXI secolo sono probabilmente una mimesi impallidita dello slancio verso l’ignoto che motivò gli esploratori marittimi dei secoli e millenni passati e della fregola d’insofferenza che spinse uomini cui stavano stretti tutti i panni della civiltà terrestre a unirsi alle ciurme di pirati nell’epoca d’oro della filibusta.

La birra, bevanda eminentemente socializzante, non può che supportare e incoraggiare la dinamica, sia presentandosi sotto le vesti tentatrici della pinta o del boccale gustati a metà mattina o in un indolente pomeriggio come mai potremmo fare in un giorno lavorativo (publican e degustatori esclusi, ovviamente) che quella festosa o addirittura goliardica del brindisi con nuovi compagni di avventura.

BIRRE DA MARE

I triti e fotocopiati servizi di TG e giornali che ci ricordano di bere molta acqua e preferire un’insalata nizzarda a uno stracotto di manzo con funghi e polenta nei mesi estivi, possono generare  talvolta un tale rigetto da farci rivalutare la lezione di illustri uomini di mare come Lorencillo, Michel de Grammont e Henry Morgan, che usavano sorseggiare rum puro sulla tolda dei loro velieri da assalto. La prudenza e il buon senso consigliano però di privilegiare, in tempi di canicola e con la fronte asciugata dalla brezza marina, birre a basso tenore alcolico e dal corpo non troppo strutturato.

Pils, Helles e tutte le declinazioni di Keller e Zwickl chiare in cui l’Italia sta facendo scuola ci possono fare piacevolmente compagnia anche sotto l’ombrellone dissetandoci con la loro chiusa erbacea, ma sono forse le Session IPA ad essere maggiormente evocative di atmosfere balneari grazie alle fragranze tropicali, agrumate e resinose donate dalle massive luppolature a freddo: in particolare le IPA di ultima generazione grazie alla consistenza setosa e a tenori di amaro non eccessivamente spinti possono anche essere una chiave con cui conquistare nuovi consumatori, che magari non amano le caratteristiche tipiche delle tradizionali lager chiare e nei mesi caldi prediligono i cocktail a base di frutta.

Per chi è insofferente all’amaro, le Blanche o Wit di scuola italiana, meno spinte rispetto alle originali belghe in termini di esteri e di dolcezza residua e più incentrate sull’aromaticità degli agrumi, spesso di provenienza nazionale o magari rare tipicità territoriali dell’areale del birrificio, sono un’ottima soluzione: in questo caso, ma non è l’unico, rileggere in chiave locale o nazionale uno stile senza limitarsi a ricalcare pedissequamente l’originale diviene un chiaro punto di forza.

Anche le Sour ale con o senza aggiunta di frutta, un altro territorio stilistico in cui, non a caso, i birrifici italiani si stanno creando una solida fama, si possono rilevare particolarmente vocate al consumo estivo e litoraneo: la loro intrinseca propensione all’abbinamento gastronomico può inoltre trovare un ulteriore fattore di versatilità nella temperatura di servizio. L’idea è stata suggerita dallo chef Gennaro Esposito nel corso della presentazione della Opera di Baladin, birra sour italiana ispirata alle fermentazioni miste fiamminghe: la stessa birra può essere servita più fredda come aperitivo o in accompagnamento a un crudo di mare e a temperatura leggermente più elevata con un dessert alla crema pasticcera o alla frutta, studiando ovviamente gli opportuni ponti gustativi tra birra e piatto.

La temperatura di servizio un po’ più bassa rispetto ai canoni può anche essere un antidoto al pregiudizio che vede le birre scure poco adatte al consumo estivo anche se di bassa gradazione alcolica: se tutti amano il caffè freddo, perché non gustare una Schwarzbier o una Dry Stout di un paio di gradi più raffreddate rispetto a quello che il manuale del bravo publican impone.